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Anatomia del “Deep State”: come funziona lo Stato profondo negli Usa

Deep state stato profondo

Anatomia del “Deep State”: come funziona lo Stato profondo negli Usa

Torna sulle nostre colonne Lucio Mamone, che approfondisce le dinamiche riguardanti il cosiddetto Stato profondo statunitense da lui precedentemente analizzato partendo dal saggio di Mike Lofgren sul tema.

Nella precedente controstoria del “secolo americano” abbiamo potuto osservare sotto quali condizioni, secondo Lofgren, lo Stato profondo è sorto, si è sviluppato ed infine imposto come principio di governo della prima potenza mondiale. Da tale cronaca è emersa una spiegazione per lo più impressionistica ed intuitiva di cosa lo Stato profondo sia, mentre è rimasto ai margini della trattazione il confronto con quelle domande fondamentali a partire dalle quali è possibile definire in che modo la nozione di Stato profondo sia esattamente da intendere e come si differenzi non solo da tutta una serie di fenomeni apparentemente più o meno analoghi, ma anche da quegli usi erronei del termine ricorrenti nella retorica politico-giornalistica. Per far questo, pur mantenendo l’opera di Lofgren come principale riferimento, dovremo ora estendere la nostra prospettiva a concetti e problemi spesso ignorati dal dibattito pubblico, esplicitando innanzitutto quali siano tali domande fondamentali da porci per orientarci verso una discussione rigorosa, e non propagandistica, sul tema.

Stato profondo: soggetto o situazione?

In una delle sue formulazioni più sintetiche Lofgren definisce lo Stato profondo come «un governo ombra» che opera al di fuori delle istituzioni rappresentative e «presta scarsa attenzione ai semplici dettami costituzionali»[1]. Questa descrizione apparentemente autoevidente ed esaustiva, in realtà, apre ad un ampio spettro di possibilità interpretative; la prima disambiguazione che si rende necessaria riguarda la seguente questione: lo Stato profondo è da concepire, in senso stretto, come un soggetto, quindi come un attore o una serie di attori che si pongono in antitesi rispetto al potere “ufficiale”, o piuttosto come una situazione, quindi una specifica configurazione dei rapporti di forza e di interazione tra le diverse istituzioni che reggono lo stato e, più estensivamente, la società? In parole semplici, la domanda che dobbiamo porci per cogliere i tratti essenziali del concetto di Stato profondo è “Chi fa parte dello Stato profondo?” o piuttosto “A quale insieme di condizioni politico-sociali corrisponde una situazione di Stato profondo?”? Ben inteso, qui non si sta negando che entrambe le domande siano, ciascuno a suo modo, legittime, ma si sta piuttosto cercando di cogliere quale sia la domanda che qualifica il concetto e che dunque predetermina la nostra comprensione dello Stato profondo.

Il “settore pubblico” dello Stato profondo

Prendiamo dunque in considerazione la prima domanda, “Chi fa parte dello Stato profondo?”, e verifichiamo quanto la risposta ad essa risulti esplicativa rispetto al nostro quesito originale. Come accennato, l’idea di Stato profondo presuppone certamente un trasferimento di potere decisionale dagli organi rappresentativi, parlamento e governo in primis, ad organismi non elettivi e costituzionalmente non deputati a prendere decisione di interesse politico generale, come ad esempio gli stessi dipartimenti, o ministeri, che operano in autonomia persino rispetto ai propri segretari e ministri. Lofgren fornisce un lungo elenco di quelli che, a suo dire, sono i centri del potere di fatto all’interno dello stato nordamericano: «Lo Stato profondo non comprende l’intero governo. È un ibrido di sicurezza nazionale e forze dell’ordine, più parti chiave di altri settori con ruoli sensibili. Il Dipartimento di Difesa, il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Sicurezza interna, la CIA, e il Dipartimento di Giustizia sono tutte parti dello Stato profondo. Noi includiamo anche il Dipartimento del Tesoro per via della sua giurisdizione sui flussi finanziari, la sua estesa burocrazia dedita all’applicazione delle sanzioni economiche internazionali, e la sua organica simbiosi con Wall Street. (…) Certe aree chiave del giudiziario appartengono allo Stato profondo, come la Corte di Sorveglianza dei Servizi segreti stranieri (nominata dal capo della Corte suprema), le cui azioni sono misteriose persino alla gran parte dei membri del Congresso. Inclusi sono anche una manciata di vitali tribunali federali, come il Distretto orientale della Virginia ed il Distretto meridionale di Manhattan, dove sono condotti procedimenti sensibili per casi di sicurezza nazionale. L’ultima componente governativa (e probabilmente l’ultima in ordine di precedenza tra le branche ufficiali del governo previsto dalla Costituzione) è un tipo di Congresso tronco composto delle leadership congressista e diversi (ma non tutti) i membri dei Comitati di Difesa e Intelligence[2]

Ecco dunque emergere un mosaico di apparati che disloca e disarticola la decisione politica, sottraendone ciascuno un pezzo alla presidenza e, soprattutto, al congresso. In questa maniera settori della burocrazia statale e del potere giudiziario vengono elevati al rango di decisori politici indipendenti rispetto all’autorità a cui dovrebbero essere formalmente sottoposti o, quantomeno, di cui dovrebbero porre in essere la volontà. L’autonomia di questi soggetti non si limita però al solo momento della decisione, ma riguarda in egual misura l’(im)possibilità, in questo caso essenzialmente da parte del solo congresso, di esercitare anche solo ex post una qualche funzione di controllo. Sono vari gli strumenti attraverso cui ciò può avvenire, il più emblematico e drastico dei quali è il ricorso alla classificazione degli atti amministrativi, spesso con il grado di segreto di stato, grazie al quale la burocrazia ottiene un’efficace schermatura circa l’impiego dei propri fondi, gli obiettivi perseguiti, i metodi adoperati ecc. L’andamento esponenziale della tendenza alla classificazione ha portato, negli Stati Uniti, alla significativa cifra di 183 mila decisioni classificate all’anno, nonché alla nascita di una singolare procedura come la «classificazione derivata»[3], per cui la stessa motivazione in forza della quale una certa decisione è stata a suo tempo secretata, viene a sua volta posta sotto segreto.

Il “settore privato”

Un ulteriore fattore di allontanamento del potere rappresentativo dalle sedi reali della decisione politica è dato dalla stretta sinergia tra stato e privati instaurata della governamentalità neoliberale. Difatti, l’esternalizzazione delle attività statali verso agenzie private, di cui si è fatto cenno nel precedente articolo, non fa che apporre ulteriori ostacoli, giuridici e pratici, alla sorveglianza esercitabile dalla sfera pubblica. Se a ciò aggiungiamo il fatto che, ad essere esternalizzati, sono spesso attività legate a settori sensibili come la sicurezza nazionale, ben si comprende come non solo la sinergia tra pubblico e privato trova una particolare saldatura nelle zone d’ombra della statualità, ma finisce fatalmente per accrescerle in estensione e potenza. Di conseguenza: «Lo Stato profondo non consiste solo di agenzie governative. Ciò che è eufemisticamente chiamata impresa privata è una parte integrale delle sue operazioni. (…) Ci sono oggi 845.000 unità di personale esterno con autorizzazioni top-secret — un numero maggiore degli equivalenti impiegati civili del governo. (…) Il settanta per cento del budget dei servizi segreti va a pagare i contratti con compagnie del settore privato.»[4]

Secondo questa ricostruzione, dunque, i contorni della statualità si dilatano sensibilmente e finiscono per inglobare settori della società civile che solitamente esprimono una certa opposizione concettuale, ed in certi casi reale, con la sovranità del “Leviatano”, come la grande impresa e la borsa. A questo punto, dal momento che il nostro obiettivo è quello di definire analiticamente la nozione di Stato profondo, diventa necessario rispondere in forma esplicita al quesito che questo assunto porta con sé: che senso può avere considerare parte dello stato un’azienda privata come Facebook o un soggetto plurale, e globale, come Wall Street? Non è forse più opportuno parlare in questo caso di “Nazione profonda” o “Società profonda”, riconoscendo così da una parte l’enorme, incontrastata influenza che questi soggetti esercitano, senza però ricondurli con questo sotto la categoria di “Stato”, ad essi estranea? In realtà, vi sono buone ragioni per ritenere che siano proprio realtà come la Silicon Valley o Wall Street a fare emergere un regno di mezzo tra pubblico e privato, composto da istituzioni appartenenti allo stesso tempo tanto alla Società profonda, che limita e contrasta la sovranità statale, quanto allo Stato profondo, che opera al contrario per la sua riproduzione ed affermazione. In altri termini, per quanto le corporation non “siano” Stato, in ogni caso “operano per” lo Stato, arrivando a supplire ad esso nell’assolvimento di funzioni fondamentali come l’intelligence e la guerra. E dal momento in cui il contributo al funzionamento della macchina statale fornito dalle corporation si configura sempre meno come un’opportunità occasionale e sempre più come una necessaria componente strutturale, poiché «Non c’è letteralmente niente che lo Stato profondo non appalti alle corporation»[5], quest’ultime diventano, di fatto, componenti a tutti gli effetti dello Stato profondo. Ma questo non esclude certo che il settore privato mantenga la sua alterità rispetto allo stato, per cui, ad esempio, un istituto finanziario statunitense può essere coinvolto dal suo governo in operazioni di guerra economica ed offrire parallelamente supporto all’evasione fiscale, prima affermando e poi negando la sovranità dello stato. Al contrario, è proprio la presa in considerazione di questa ambivalenza che ci permette di ricollegarci finalmente alla domanda da cui siamo partiti: lo Stato profondo è un soggetto?

Lo Stato profondo come situazione

Proviamo a condurre una sorta di esperimento mentale: immaginiamo per un attimo che un osservatore sia in grado di violare qualunque segreto, ad accedere ad ogni informazione riguardante il funzionamento dell’apparato statale e dunque a stabilire, per ciascuna decisione politica, la sede in cui è stata presa. Questo osservatore sarebbe in grado di tracciare l’identità esatta dello Stato profondo, disegnandone una mappa precisa e definendo il potere che ciascuna sua componente detiene? Probabilmente no, e per vari motivi.

La ragione più immediata sta nel fatto che è il concetto stesso di Stato profondo a presupporre un potere che di volta in volta viene esercitato dove non dovrebbe, escludendo quindi che la competenza del suo detentore possa essere precisamente definita; al contrario, lo Stato profondo è tale esattamente quando la sua operatività effettiva travalica la competenza autorizzata dall’autorità sovrana.

Se dunque il concetto di Stato profondo ha senso, occorre figurarsi il potere esercitato da uffici e corporations solo in piccola parte come traduzione di un qualche principio formale e derivazione di un’investitura dall’alto, mentre per larga parte occorre che esso sia generato piuttosto nell’immanenza della logica burocratica e di quei rapporti di forza tra istituzioni dettati da ragioni fattuali quali l’accesso all’informazione, un certo primato tecnico, la capacità di “fare sistema” con altri attori sociali ecc. È questo certamente il caso della componente privata dello Stato profondo che, nel rendersi indispensabile all’apparato statale attraverso l’assolvimento di un mandato, riesce poi ad acquisire una posizione ed un’influenza tali da poter estendere il proprio campo d’azione, senza neanche il bisogno di rinegoziare i termini di tale mandato. Se è dunque possibile un certo numero di istituzioni come parte dello Stato profondo, è altrettanto opportuno tenere a mente che ogni sua configurazione resterà sempre approssimativa e, soprattutto, provvisoria, perché segnata da periodici trasferimenti di funzioni da un soggetto ad un altro, integrazione di nuovi attori ed emarginazione di altri.

La seconda ragione riguarda ancora il limite soggettivo alla possibilità di avere un’esatta percezione di una struttura composita, mutevole e sfuggevole come lo Stato profondo, questa volta però non dal punto di vista di un ipotetico osservatore esterno, ma di quello dei suoi stessi agenti.   Difatti, nel momento in cui l’apparato burocratico si emancipa dal potere rappresentativo, nucleo centrale e sovrano di qualunque costruzione statuale, e viene conseguentemente meno la funzione direttiva di quest’ultimo, tale funzione difficilmente può essere assunta da una qualsiasi altra autorità informale. Ne consegue che ciascuna componente della burocrazia statale potrà avere un controllo settoriale più o meno esteso, ma l’apparato nel suo complesso avrà una consapevolezza ridotta circa la propria operatività. In questo senso il tentativo di concepire lo Stato profondo come un soggetto unitario è destinato a fallire, poiché una coscienza d’unità non è tutto sommato presente neanche al suo interno.

La terza ragione è contenuta nella soprammenzionata “logica burocratica”, intesa come tendenza spontanea della burocrazia a travalicare e pervertire la propria competenza. Per quanto questa abbia tra i suoi effetti la creazione di sinergie tra gruppi di interesse affini, la logica burocratica segue una dinamica più “disgregativa” che “aggregativa”. Ciò significa che lo sforzo maggiore di ogni organismo burocratico sarà rivolto a protezione della propria autonomia. Pertanto ciascun ufficio o impresa privata coinvolta nell’amministrazione statale si preoccuperà innanzitutto di condividere meno informazioni possibili, di veder coinvolti meno soggetti esterni possibili nell’ambito delle proprie operazioni e di custodire gelosamente la propria funzione, con tutti i vantaggi e privilegi che ne derivano. Il consolidamento dello Stato profondo ha dunque come conseguenza non una maggiore integrazione, ma l’aumento della conflittualità in seno al potere non-rappresentativo dello stato. Il che non è poi così controintuitivo, se ad esempio si pensa alla rinomata animosità tra le varie agenzie d’intelligence, statunitensi e non solo.

Questo insieme di considerazioni ci porta a respingere la caratterizzazione dello Stato profondo come soggetto. Per quanto infatti sia lecito e proficuo domandarsi chi faccia parte dello Stato profondo, è opportuno concepire questa realtà più come un terreno di scontro in cui diversi centri di potere, al riparo dall’attenzione del dibattito pubblico, si aggregano e si fronteggiano, che un agente unitario che si muove compatto verso un obiettivo comune. Lo Stato profondo è, in altre parole, un principio di organizzazione ed una situazione politico-istituzionale per i quali governo e parlamento sono di fatto esautorati da un apparato burocratico che non ha né l’interesse né la capacità di sostituirsi ad essi nella funzione direttiva integrale dello stato.

2 – continua

1 – Gli abissi del potere: il “Deep State” tra mito e realtà.

2 – Anatomia del “Deep State”: come funziona lo Stato profondo negli Usa.


[1] Mike Lofgren: The Deep State. The fall of constitution and the rise of a  shadow government. New York: Viking, 2016. p. 16

[2] Mike Lofgren: The Deep State, pp. 64-65

[3] Mike Lofgren: The Deep State, p. 392

[4] Mike Lofgren: The Deep State, p. 66

[5] Mike Lofgren: The Deep State, p. 173

Nato a Reggio Calabria, classe 1990, è dottorando in Filosofia presso la Goethe Universität di Frankfurt am Main. La sua attività di ricerca ha come principale focus la teoria politica ed è particolarmente rivolta all’analisi della categoria di totalitarismo nel suo rapporto con la modernità.

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