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Capitalismo e democrazia nell’era dei social network

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Capitalismo e democrazia nell’era dei social network

Indipendentemente dall’opinione personale che ognuno di noi può avere nei confronti di Donald Trump le ultime settimane ci hanno fatto assistere a dei fatti potenzialmente sconcertanti che meritano una riflessione seria e lucida.

I principali social network hanno deciso, facendo appello a motivi di ordine e sicurezza sociale, di “bloccare” a tempo indeterminato gli account del Presidente uscente degli Stati Uniti d’America. Tale decisione, che ad un primo sguardo può sembrare inattaccabile e in un certo senso risulta corretta dopo le incitazioni alla violenza e alle prese di posizione di Trump contro la legittimità dei risultati elettorali, osservata in termini più astratti ha suscitato, agli occhi di chi scrive, un interrogativo concernente la legittimità di tale atto. In altre parole, con quale diritto delle società private possono limitare la libertà di espressione di un libero cittadino, seppur per motivi di ordine pubblico?

La risposta è nessuno. L’ordine pubblico è, e deve rimanere, una prerogativa degli stati e dei parlamenti che, diversamente dalle società private, sono organi rappresentativi caratterizzati da investitura popolare. È proprio quest’ultima che garantisce il potere agli organi amministrativi e legislativi di prendere decisioni che, seppur in modo indiretto, dovrebbero rappresentare il giudizio e la volontà, tradotti in indirizzo politico, della collettività. Tuttavia, con l’avvento del Capitalismo della sorveglianza(Zuboff, 2019) privati cittadini stanno diventando più potenti e influenti di Stati interi mettendo a rischio i meccanismi democratici di governo. Il sociologo Zygmunt Bauman sosteneva che “in questo mondo nuovo si chiede agli uomini di cercare soluzioni private a problemi di origine sociale, anziché soluzione di origini sociali a problemi privati” e, in effetti, non sbagliava affatto.

La questione solleva, inoltre, un paradosso non nuovo a chi si è occupato o interessato di scienze sociali. Il capitalismo – fonte indiscussa di ricchezza e sviluppo senza precedenti nella storia dell’umanità – nasce da quella che potrebbe essere definita “democratizzazione dell’economia”. Ovvero, un meccanismo in grado – attraverso la massimizzazione del decentramento delle scelte economiche – di conferire al singolo individuo piena libertà economica e sociale nei confronti dell’ingerenza del potere dell’autorità pubblica.

Tuttavia – come messo in mostra, tra i tanti, da J. M. Keynes e da K. Polanyi – esiste un trade off tra libertà dei mercati, intesa come assenza di vincoli legislativi posti in capo all’operatore privato, ed esistenza e funzionamento delle istituzioni democratiche. Il capitalismo sfrenato e senza controllo, non è in grado di autoregolarsi e, in particolare, non è in grado di gestirsi in modo tale da garantire la sopravvivenza delle istituzioni democratiche.

Il mercato lasciato a sé stesso produce dei fenomeni – come disoccupazione, disuguaglianze o, nel nostro esempio, asimmetrie di potere economico e decisionale – che destabilizzando l’ordine sociale precostituito portando ad una potenziale involuzione dei sistemi democratici. Polanyi parlava di “doppio movimento” intendendo la dinamica di affermazione del libero mercato e la successiva reazione difensiva della società che ha portato, secondo l’autore, sia alla Prima Guerra Mondiale che all’affermazione dei fascismi in Europa. Anche secondo Keynes l’intervento dello Stato nell’economia è indispensabile per sopperire alle inefficienze dei mercati, per esempio la disoccupazione di massa, che possono portare gli stati a svolte autoritarie. Dunque, il paradosso sta proprio qui: il tentativo di sottrare qualsiasi cosa, nel nome della libertà economica individuale, al controllo dello Stato, rischia alla lunga di diventare causa di destabilizzazione del sistema democratico stesso.

Ora, tornando alla discussione sulla “questione Trump”, è bene notare che, diversamente dalle situazioni descritte da Polanyi e Keynes, il rischio che corriamo ai giorni nostri è quello di una “dittatura della Silicon Valley”. Come scrive giustamente Stefano Feltri in un editoriale sul Domani “deve preoccuparci che Mark Zuckerberg sia così potente e autonomo da poter silenziare un presidente degli Stati Uniti perché, in sintesi, non gli piace quello che pubblica. Oggi capita a Trump, domani potrebbe essere chiunque altro”. Se è vero che si potrebbe attribuire l’azione di Zuckerberg a motivazioni benevolente volte a preservare la democrazia statunitense, è vero anche che da questa questione emerge un margine di discrezionalità enorme che può essere utilizzato anche per scopi meno nobili rispetto ai suddetti. Tutto ciò, a mio avviso, rende indispensabile un dibattito pubblico sulla possibilità di porre delle limitazioni, attraverso strumenti legislativi, alla discrezionalità e al potere esercitati da queste imprese private sulla nostra vita e, più in generale, sulla vita delle nostre istituzioni democratiche.

Classe 1995, nato a Brescia e residente a Coccaglio (BS), è laureato in Economia con laude presso l'Università degli Studi Brescia e, attualmente, frequenta il corso di Laurea Magistrale in Economia e Politica Economica presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna. Si interessa principalmente di economia politica e politica economia.

Comments

  • massimo pizzo
    13 Gennaio 2021

    Stato e Mercato sono due ideal tipi direbbe forse Weber. Nella realtà i confini sono storicamente più sfumati. Comunque, oggi viviamo un’economia condizionata dalla logica imposta da un numero molto limitato di multinazionali e quindi di consigli di amministrazioni e quindi viviamo un’economia molto condizionata probabilmente da poche famiglie e lobby (poche rispetto al numero di operatori, aziende, professionisti che compongono l’economia diffusa e che hanno interessi diversi). Gli Stati hanno un ruolo centrale di tipo regolativo, per fare leggi antitrust e antievasione ma anche un ruolo centrale nel sostenere da un lato i piccoli e medi operatori economici, quelli che possono difendere la logica di mercato sana, e dall’altro sostenere la sussistenza delle persone escluse da logiche cooptative e poco umane di cerco capitalismo. Forse lo Stato può anche promuovere la riconversione industriale di grandi gruppi economici spendendo soldi pubblici per prodotti e servizi per un’economia civile e sostenibile. Complimenti per l’articolo!

  • massimo pizzo
    13 Gennaio 2021

    Stato e Mercato sono due ideal tipi direbbe forse Weber. Nella realtà i confini sono storicamente più sfumati. Comunque, oggi viviamo un’economia condizionata dalla logica imposta da un numero molto limitato di multinazionali e quindi di consigli di amministrazioni e quindi viviamo un’economia molto condizionata probabilmente da poche famiglie e lobby (poche rispetto al numero di operatori, aziende, professionisti che compongono l’economia diffusa e che hanno interessi diversi). Gli Stati hanno un ruolo centrale di tipo regolativo, per fare leggi antitrust e antievasione ma anche un ruolo centrale nel sostenere da un lato i piccoli e medi operatori economici, quelli che possono difendere la logica di mercato sana, e dall’altro sostenere la sussistenza delle persone escluse da logiche cooptative e poco umane di cerco capitalismo. Forse lo Stato può anche promuovere la riconversione industriale di grandi gruppi economici spendendo soldi pubblici per prodotti e servizi per un’economia civile e sostenibile. Complimenti per l’articolo!

  • massimo pizzo
    13 Gennaio 2021

    Stato e Mercato sono due ideal tipi direbbe forse Weber. Nella realtà i confini sono storicamente più sfumati. Comunque, oggi viviamo un’economia condizionata dalla logica imposta da un numero molto limitato di multinazionali e quindi di consigli di amministrazioni e quindi viviamo un’economia molto condizionata probabilmente da poche famiglie e lobby (poche rispetto al numero di operatori, aziende, professionisti che compongono l’economia diffusa e che hanno interessi diversi). Gli Stati hanno un ruolo centrale di tipo regolativo, per fare leggi antitrust e antievasione ma anche un ruolo centrale nel sostenere da un lato i piccoli e medi operatori economici, quelli che possono difendere la logica di mercato sana, e dall’altro sostenere la sussistenza delle persone escluse da logiche cooptative e poco umane di cerco capitalismo. Forse lo Stato può anche promuovere la riconversione industriale di grandi gruppi economici spendendo soldi pubblici per prodotti e servizi per un’economia civile e sostenibile. Complimenti per l’articolo!

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