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La sporca guerra contro Cristoforo Colombo

Colombo

La sporca guerra contro Cristoforo Colombo

Sul dossier “AMERICANA” oggi parliamo delle motivazioni e delle conseguenze dell’antistorica guerra culturale condotta contro il “colonialista” Colombo. Buona lettura!

Gli Stati Uniti celebrano, nella giornata del 12 ottobre, il Columbus Day, festività per eccellenza della comunità italo-americane, tra le più radicate in quanto a identitarismo nel territorio degli States, in occasione dell’anniversario dello sbarco nelle Americhe del celebre navigatore genovese. La cui immagine è entrata negli ultimi anni nel centro del mirino per la sua identificazione con la storia del colonialismo europeo nelle Americhe, di cui è indicato come il precursore per le sue spedizioni condotte in nome della corona di Spagna a partire dal 1492.

Colombo è il “dannato del politicamente corretto” per eccellenza, la vittima designata di una serie crescente di attacchi da parte di quella massa di protestanti che ha virato in furia iconoclasta la legittima indignazione per l’esclusione sociale e la mancanza di tutela di molte minoranze nel contesto statunitense, che dopo l’omicidio di George Floyd sono stati, con grande semplificazione, appiattiti sul solo fenomeno del razzismo.

In queste settimane la guerra a Colombo è stata spietata: statue decapitate, come a Boston, rimozioni preventive per evitare vandalismi, come accaduto a Chicagomonumenti smantellati come tributo pagato da amministrazioni e governi locali ai manifestanti e a Black Lives MatterSono almeno trentacinque i monumenti a Colombo rimossi negli Usa da giugno a oggi. Un’operazione anti-storica che ha riversato su un navigatore genovese le conseguenze di secoli di appetiti coloniali di diverse nazioni, trasformandolo nell’incarnazione di un’oppressione coloniale che è indubbio essersi verificata per diversi secoli ma di cui – altrettanto indubbiamente – i moderni Stati Uniti sono stati gli eredi diretti e, in certi sensi, i più zelanti perpetratori tra guerre indiane, interventi nell’America Latina “giardino di casa” e proiezioni oltre Oceano.

Risuonano nelle orecchie dei contestatori di Colombo le parole semplificatorie con cui nel 2001 lo storico David E. Stannard, nel suo saggio Olocausto Americano aveva rubricato il navigatore genovese:

Sotto molti punti di vista, Colombo non fu altro che un’incarnazione attiva e teatrale della mente e dell’anima europea, e in particolare mediterranea, del suo tempo: un fanatico religioso ossessionato dalla conversione, dalla conquista o dallo sterminio di tutti gli infedeli; un crociato degli ultimi giorni in cerca di fama personale e ricchezza, che si aspettava che il mondo immenso e misterioso che aveva scoperto fosse pieno di razze mostruose che abitavano le foreste selvagge e di gente felice che viveva nell’Eden… Fu la personificazione secolare di ciò che più di mille anni di cultura cristiana avevano creato”.

David E. Stannard, “Olocausto Americano”

Una lettura a dir poco punitiva per l’Ammiraglio del Mare Oceano, che nemmeno mise piede sul territorio degli attuali Stati Uniti, una visione manichea e colpevolistica che non aiuta a qualificare al meglio nè un serio dibattito sul colonialismo nè il superamento della divisione della storia tra protagonisti “buoni” e “cattivi”.

Ma la guerra a Colombo è indicativa del clima culturale oggi dominante oltre Atlantico e dell’inquinamento del dibattito che decenni di involuzione culturale e sociale hanno prodotto in una nazione sempre più polarizzata. Un fattore è sicuramente legato alla diffusione della “cultura del piagnisteo” dominante nell’educazione, soprattutto universitaria, e studiata negli Anni Novanta dall’omonimo saggio di Robert Huges, tendenza che ha generato una forma di dibattito pubblico in cui ai fatti si preferisce l’emozione, all’analisi il pregiudizio, all’opinione la verità calata dall’alto. Scriveva Huges in un memorabile passaggio del saggio:

“Non esercitati all’analisi logica, male attrezzati per sviluppare e capire un’argomentazione, non avvezzi a consultare testi per documentarsi, gli studenti hanno ripiegato sulla sola posizione che potevano rivendicare come propria: le loro sensazioni su questo o quello.Quando gli stati d’animo sono i principali referenti di un’argomentazione, attaccare una tesi diventa automaticamente un insulto a chi la sostiene, o addirittura un attentato ai suoi “diritti” o supposti tali; ogni “argomentum” diventa “ad hominem” e rasenta la molestia, se non la violenza vera e propria. “Mi sento molto minacciato dal tuo rifiuto delle mie opinioni su [barrare una casella]: il fallocentrismo/la Dea Madre/il Congresso di Vienna/il Modulo di Young”.

L’ondata iconoclasta seguita alle George Floyd protests, di cui sfugge la pertinenza con le dinamiche del dipartimento di polizia di Minneapolis o con le ben più radicali questioni sociali cui ampi strati della popolazione americane chiedono si dia risposta, sono estremamente alimentate dalla cultura del piagnisteo, a cui non si può non aggiungere la crescente tribalizzazione politica degli Stati Uniti, che ha avuto la maggiore conseguenza nelle dinamiche elettorali dal 2016 in avanti. Una tribalizzazione emozionale, radicalizzante come solo nel contesto imbevuto di cultura evangelico-protestante degli States può accadere. Tornano, a destra e sinistra, i totem ideologici: a sinistra il White guilt, il progressismo dirittista, un femminismo di facciata; a destra la retorica “patriotticamente corretta”, il mito dello scontro di civiltà (declinato ora in senso anti-cinese), lo sfruttamento politico di questioni a sfondo religioso, declinato in maniera semplicistica (abbiamo così ferventi anti-abortisti sostenere acriticamente la pena della morte).

Colombo finisce schiacciato da questa polarizzazione, preso di mira per il carico simbolico che rappresenta e identificato quale il feticcio del razzismo sistemico e ben più profondo che attanaglia l’America. Un’America mai quanto oggi capace di dividersi sulle amenità. Se sacrificare statue contribuisse a lenire secoli di disuguaglianze consolidate, a aumentare la sicurezza economica, sociale e psicologica di milioni di persone e a creare giustizia sociale e non a deviare in termini “pop” e emozionali dei movimenti di classe (le proteste negli Usa sono da dichiarare morte alla comparsa del primo divo di Hollywood in cerca di facile consenso tra la folla) gli indicatori sulla “Divided America” sarebbero migliorati da tempo. E l’attacco a Colombo è doppiamente odioso perchè colpisce il simbolo di una comunità che a lungo, nel passato, ha dovuto subire a sua volta l’emarginazione e i sospetti da parte del ceppo Wasp degli Stati Uniti.

Come scrive La Voce di New York in fin dei conti “non è che la Celebrazione colombiana sia effettivamente nazionale. In atto non la celebrano Florida, Alaska, Hawaii, Vermont, New Mexico, South Dakota e Maine. Iowa e Nevada non hanno il Columbus Day come festa ufficiale, ma danno mandato al governatore di proclamarla annualmente. California e Texas riconoscono ancora il giorno, ma non come festa ufficiale e riposo retribuito. Diverse città in tutta la Federazione non celebrano Colombo, ma i popoli indigeni, la più madornale delle finzioni dei wasp, essendo stati proprio loro a decimarli e incarcerare i superstiti nelle riserve, come mandrie di bisonti”. Milioni di persone, in passato, hanno preso la via dell’Atlantico partendo dall’Italia e trovando nelle proprie comunità un simbolo positivo nell’idea di ripercorrere le rotte di uno degli italiani più famosi della storia nazionale. Colpire Colombo significa colpire una comunità capace di mantenere, nel melting pot americano, specifiche connotazioni culturali che hanno permesso agli italo-americani di fare quadrato quando i “cattolici dagos” erano oggetto di emarginazione, discriminazione e linciaggi.

Il cortocircuito politicamente corretto è ben evidente nella parabola del rapporto tra manifestanti e memoria di Colombo. Quest’ultimo arrivò in America dopo esser partito con il progetto di “buscar el Levante por el Poniente” (arrivare al Levante per la via di ponente), i primi hanno semplicemente perso la bussola. La guerra a Colombo è antistorica, superflua e, in una parola, tendenzialmente ottusa. L’immagine perfetta di un Paese che non riesce a far i conti con le sue innumerevoli polarizzazioni.

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“Americana”, il dossier congiunto di Kritica Economica e Osservatorio Globalizzazione, è realizzato col patrocinio dell’associazione culturale “Krisis

Bresciano classe 1994, si è formato studiando alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali della Statale di Milano. Dopo la laurea triennale in Economia e Management nel 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Economics and Political Science nel 2019. Attualmente è analista geopolitico ed economico per "Inside Over" e "Kritica Economica" e svolge attività di ricerca presso il CISINT - Centro Italia di Strategia e Intelligence.

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