Tapio Wirkkala, maestro del design
“Il vetro, il legno, le forme semplici e gli audaci incalmi io canto”… questo probabilmente sarebbe stato l’incipit se l’Ariosto avesse deciso di parlare del personaggio di questo “Ritratto”, il maestro del design finlandese, Tapio Wirkkala, che nella seconda metà del novecento ha reso il paese scandinavo il più noto a livello artistico rispetto agli altri e che lo ha fatto emergere come punto di riferimento internazionale.
Design finalndese dicevamo e non scandinavo, perché il concetto politico e artistico di scandinavia è più una definizione di comodo che nacque con lo storico del design Kevin Davis nel 1951, che utilizzò per primo il termine “Design Scandinavo” per descrivere gli oggetti esposti da quei paesi nella modesta esibizione londinese “Scandinavia a Tavola”, organizzata dal British Council of Industrial Design. Il termine poi passò in Italia dove alla IX Triennale di Milano Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia esposero assieme. Non che non ci siano ampi tratti comuni tra queste nazioni a livello del design: il legame con le linee e i colori della natura (dovuto ad una natura percepita come più remota, più aspra e meno prona alle umane esigenze); l’attenzione agli oggetti di uso quotidiano (mentre per i popoli del centro e del sud europa la vita si svolgeva per la maggior parte del tempo fuori casa, per i popoli della scandinavia la casa era ambiente da vivere almeno per 6 mesi l’anno, quelli del lungo inverno); la preferenza per il legno e la pietra, ciò da cui parte l’artigianato locale; il richiamo alla Mitologia del Nord. Il design finalndese ha però un legame molto profondo con le proprie tradizioni rurali, quasi mistico e idealizzato, dovuto probabilmente anche alla storia della Finlandia, una storia di unicità linguistica e sudditanza etnica e politica: in Finlandia forse più che altrove l’acqua dei mille laghi, le pianure lapponi, la cultura Sami e il ghiaccio sono elementi che imprimono la loro immagine nella mente dell’artista. Sicuramente lo fecero in quella di Wirkkala e degli altri protagonisti come Alvar Aalto (legato però molto più alla scuola bauhaus) e Timo Sarpaneva, i quali al legno e alla pietra affiancarono il vetro e il cristallo. Pertanto preferiamo parlare di specificità finlandese, anche per il maggior successo che questa ebbe rispetto agli altri paesi.
Tapio Wirkkala nacque ad Hanko il 2 giugno 1915 da una famiglia di artigiani: il padre Ilmari era scultore e architetto per lo più cimiteriale, la madre Selma Vanhatalo era intagliatrice di legno. Dopo le scuole secondarie, Wirkkala si iscrisse alla scuola Taideteollinen Keskuskoulu di arti applicate ad Helsinki, specializzandosi nel 1933 in scultura decorativa. Negli anni di studio non si dedicò solo alla scultura ma anche al disegno a mano libera e alla progettazione tecnica. Costanti, a iniziare dal suo periodo studentesco e proseguiti poi per tutta la sua vita, i viaggi in Lapponia, immerso nella natura, in rustici senza acqua ed energia elettrica. Diceva infatti l’artista: “Per me la Lapponia è diventata qualcosa che mi ricarica le batterie […] Quando mi sento affondare ed il dolore è forte parto e vado in Lapponia. Per me è un mezzo di contemplazione e sopravvivenza” (testimonianze riportate nella bella biografia di Aav Marianne, Tapio Wirkkala, eye, hand and thought, Helsinki, 2000) .
Lavorò per diverse aziende pubblicitarie fino al 1946, anno in cui vinse un concorso per Iittala, famosa casa di produzione di oggettistica di pregio. Il concorso prevedeva la realizzazione di motivi decorativi per vetri e il giovane e semisconosciuto designer vinse con “Finestra”, venendo così inserito all’interno della sezione per la progettazione del vetro artistico ed iniziando da questo momento una lunga e prolifica collaborazione. La vita professionale per i primi tempi non fu facile, perché in genere il designer progettava l’oggetto ma non lo manipolava durante la sua creazione. La sua prima creazione di successo, la serie “Kantarelli” (1946) ispirata ai funghi delle foreste finlandesi, richiese la sua immersione nel processo produttivo, per rendere gli effetti e le linee del sottobosco (fiori, funghi e foglie) nei vasi, nei piatti e nelle ciotole di vetro: disegnò gli stampi, imparò a molare il vetro col diamante e a soffiare, così da poter accompagnare gli artigiani durante la fattura dell’oggetto. La serie ebbe una eccellente rispondenza, rimanendo in produzione fino al 1960. Gli anni successivi furono quelli del vetro inciso: “I Fiumi del Tuonela” (il Tuonela era l’Ade della mitologia finlandese), “Skirus”, “Hirvi” e “Tunturi”.
Questi pezzi sancirono il clamoroso successo del padiglione finlandese alla IX Triennale di Milano del 1951. La rivista “Domus” e Giò Ponti spesero per Wirkkala parole al miele. Wirkkala, che dal canto suo amava l’Italia, la sua grande storia artistica e di civiltà, si era ispirato appunto all’arte rinascimentale per la serie “Campanile” e “Annunziata” del 1951, che aveva portato a Milano.
L’impatto sul pubblico e sui critici della sezione finlandese fu sorprendente, e questa presa di
coscienza dell’interesse esercitato dalla propria produzione, emerse immediatamente anche in madrepatria, dove all’inizio regnava scetticismo sulle possibilità del design locale come mezzo di pubblicità nazionale, subito dopo l’esposizione. Il quotidiano di Helsinki “Uusi Suomi”, in un articolo dal titolo “Vittoria per il Design Finlandese a Milano” elogiava il successo dell’esposizione grazie all’approccio polimaterico, data anche la forte presenza di oggettistica in legno che fu una delle caratteristiche tipiche dei designers scandinavi, e soprattutto di Wirkkala. Nel 1951 creò infatti la “Foglia di Compensato”, una scultura lignea, utilizzando il tradizionale coltello da intaglio dei boscaioli finlandesi, il puukko, che poi fu il simbolo della mostra statunitense “Design in Scandinavia” del 1954. Il 1954 fu l’anno che lo vide nuovamente organizzatore del padiglione scandinavo alla X Triennale di Milano. Fu la figura che certamente emerse con più forza tra queste nazioni, riscuotendo ancora più successo rispetto a 3 anni prima. Il merito stette tanto nell’allestimento quanto nelle proprie opere ed i propri disegni dove l’artista appariva nel pieno della sua fase creativa e di sperimentazione, passando dai vetri, al legno ai metalli. L’ideale di unitarietà delle nazioni scandinave come strumento per presentarsi al mondo, dovette superare comunque alcuni scogli di competizione politica tra i paesi, in particolare tra una Finlandia da 3 anni in ascesa dopo le incertezze del primo dopoguerra e una Svezia forte del fatto che il paese non avesse accusato i contraccolpi del periodo bellico in maniera così forte come le altre nazioni, trovandosi così con un apparato industriale più reattivo alla produzione di massa. Si può dire che il presentarsi uniti venne sfruttato, da ciascun paese, come un trampolino ed una base di partenza per emergere successivamente in maniera singola.
Wirkkala vinse poi la Triennale del 1960 con la serie di sculture in vetro “Paadarin Jaa”(Ghiaccio di Paadarin). La forma delle sculture fu il frutto di differenti aspetti dell’osservazione dei vari materiali: dall’analisi al microscopio della struttura del vetro, all’osservazione diretta dei mutamenti della materia nelle mani dei mastri vetrai, dall’evoluzione dello scioglimento di neve e ghiaccio alla manipolazione dei blocchi di grafite utilizzati come stampi. Il materiale medesimo, quindi, con le sue caratteristiche diventava per Wirkkala lo strumento stesso del suo “artigianare”, forma e materia che venivano osservate con attenzione alla ricerca delle linee più semplici, la cui essenzialità era la più difficile da ottenere. Così la Finlandia vinse la competizione con le altre nazioni scandinave, grazie alla capacità di infondere all’interno degli oggetti, ciò che il pubblico si aspettava, ossia l’essenza più pura, vera o supposta che fosse, dello spirito nordico: natura remota e selvaggia e recupero dell’archetipo del rustico e grezzo uomo del Nord.
Il suo esordio alla Biennale di Venezia del 1966 sancì anche la sua collaborazione quasi ventennale con Venini, ingaggiato da Ludovico de Santillana, genero di Paolo Venini, fondatore della omonima vetreria di Murano. Come per i suoi esordi in Iittala, anche a Murano Wirkkala restò diversi giorni in fornace (dormendo in una branda in un ufficio), accanto ai maestri vetrai e al capo fornace Lucio Moretti, per vedere coi suoi occhi la tecnica veneziana. La distanza linguistica non era un problema: Wirkkala ovviava con disegni e gesti. A Venezia “scoprì” i colori: l’oro dei mosaici, il blu della laguna, il pagliesco e il verdognolo delle isole, il rosso dei mattoni; affinò sapientemente l’incalmo e introdusse la filigrana per l’esecuzione di manufatti policromi in vetro trasparente, affiancando cromie diverse. La collaborazione diede nascita a collezioni di grande successo: le “Meduse”, i piatti con variopinte murrine, le famosissime “Bolle”, i vasi “Pianissimo” e i “Gondolieri”. Wirkkala rinnovò il suo stile ma anche Venini ne uscì cambiata, scoprendo il design scandivano e portandolo nella laguna. Alla collaborazione di Wirkkala sarebbe poi seguita quella con un altro celebre designer finaldese: Timo Sarpaneva. Sempre nel 1966 realizzò l’ultima serie per Iittala, “Ultima Thule” per la quale elaborò egli stesso una tecnica innovativa di lavorazione del vetro per creare l’effetto del “ghiaccio gocciolante”, per il quale sono state impiegate moltissime ore di lavoro, per sviluppare una particolare tecnica di soffiatura del vetro in grado di produrre il risultato voluto. Tecnica che venne utilizzata anche per la produzione della bottiglia della “Finlandia Vodka” tra il 1970 e il 2000, da lui disegnata. Come si è detto era versatissimo nelle arti grafiche e a lui si devono i disegni delle banconote emesse dalla Banca di Finlandia, ed in circolazione fino agli anni ottanta, e la realizzazione del francobollo per i giochi olimpici di Helsinki del 1952. Negli anni ‘70 collaborò anche con Rosenthal, dove si dedicò alla porcellana e al gres (celebri le “Buste” e il “Pollo”).
Potendo riassumere con poche parole lo stile di Wirkkala, lo stesso maestro finlandese diceva: ”Prendi in mano un pezzo di ghiaccio e scoprirai la nostra cultura; la scoprirai in una pietra levigata dalle rapide, o nella sabbia modellata dalle onde ”. Ma non solo la natura, a livello teorico anche il Rinascimento (di cui era ammiratore e studioso) e la profonda conoscenza della geometria euclidea plasmarono la sua opera. L’elemento naturale è fonte di ispirazione per le forme stesse, ricercate nell’ideale intangibile per cercare di coglierne l’essenza e trasferirla negli oggetti della quotidianità, che diventano così qualcosa di letteralmente nuovo ma semplice. Ha legato la semplicità rurale finlandese all’eleganza, alla sensibilità e alla ricerca delle forme universali, il tutto con una sperimentazione spensierata, unita alla ricerca tecnica doviziosa. Forma e funzione si fondono in un dialogo continuo e sensibile tra pensiero, mano, occhio e materia.
Si spense nel 1985 a Helsinki, dove nel 2003 venne creata una fondazione dedicata a Tapio Wirkkala e alla moglie Rut Bryk, al fine di preservarne la collezione, non avendo egli fondato una scuola.
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