Ascesa e declino del neoliberismo
La civiltà-mondo di cui Giuseppe Gagliano ha parlato nei primi due capitoli dell’analisi sull’opera di Luciano Gallino si fonda sugli assiomi, ritenuti dai loro fautori vere e proprie verità rivelate, della teoria neoliberista. Oggetto dello studio di Gagliano nella terza parte del suo lavoro.
Ritornando alla crisi economica del 2007-2008, essa ha avuto come terreno di coltura tutti e tre gli elementi della civiltà-mondo sopra descritti, sebbene la causa immediata e scatenate sia stata lo sviluppo e la conseguente crisi di un sistema finanziario basato sul debito pubblico e privato.
Dal 1980 l’economia mondiale è stata finanziarizzata, in altre parole la produzione di denaro per mezzo di denaro, insieme alla creazione di denaro dal nulla per mezzo del debito hanno preso il sopravvento quali criteri guida dell’azione economica, rispetto alla produzione di merci per mezzo di merci. Si è dinnanzi non ad un’economia reale, ma ad un gigantesco processo di illusionismo finanziario.
La crisi economica è esplosa quando un numero crescente di risparmiatori, di imprese, di investitori istituzionali e di banche dovettero constatare che alla promessa di valore che avevano in mano sotto forma di titoli non corrispondeva più la quantità di denaro o il tipo di beni reali che essa pareva nominalmente assicurare. Il problema poi fu enormemente accresciuto da un’architettura finanziaria difettosa che rendeva difficili le attività di sorveglianza e regolazione che le autorità avrebbero dovuto esercitare sulle banche. Tuttavia lo sviluppo di un sistema finanziario basato sul debito, nel quadro di una struttura di monitoraggio carente, non sarebbe stato possibile se nel periodo considerato l’economia non avesse intessuto rapporti sempre più stretti con la politica. In genere esso viene interpretato come una sconfitta della politica, una sopraffazione che essa avrebbe subito.
La politica abdica ai suoi doveri
La politica piuttosto che prefiggersi di regolare l’economia per adattarla alla società si sarebbe impegnata ad adattare la società all’economia. In luogo di proteggere i cittadini dall’insicurezza socio-economica, essa si propone tutt’al più di fungere da soccorritore nei confronti di coloro che sono stati colpiti da questa; in luogo di produrre beni e tutelare quelli esistenti, favorisce le privatizzazioni, abdicando ai suoi doveri.
Ma i confini tra economia e politica non sono stati attraversati dalla prima grazie alle proprie incontenibili forze, ma, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, dalla politica stessa, attraverso leggi e normative che hanno liberalizzato i movimenti di capitale, tolto ogni vincolo all’attività speculativa delle banche e alla connessa produzione di strumenti finanziari sempre più complessi.
In tali interventi politici espressamente de-regolativi dell’economia vanno individuate le premesse della crisi economica attuale. Bisogna notare al riguardo che dai primi anni ’80 ad oggi tra politica ed economia è avvenuto persino uno scambio di personale conosciuto come revolving doors ovvero “porte girevoli”: alti dirigenti di istituzioni finanziarie private sono diventati ministri o titolari di importanti cariche pubbliche; ex ministri sono diventati dirigenti di banche oppure hanno trovato occupazione come esperti in grandi società con cui il governo da loro presieduto aveva trattato su complesse questioni in campo energetico o ambientale.
Le basi del neoliberismo
L’ideologia che ha promosso e legittimato questo processo di incontrollato attraversamento dei confini tra politica ed economia si chiama neoliberismo.
Che cos’è il neoliberismo e come si è affermato? Le idee motrici del neoliberismo sono maturate tra la fine degli anni ’30 e gli anni ’50 del Novecento. La crisi del 1929 e la grave recessione che ne era seguita avevano compromesso il prestigio del capitalismo. La causa prima della recessione veniva individuata da parte degli economisti nelle politiche keynesiane dei governi di F.D. Roosevelt e quindi al massiccio intervento dello stato nell’economia e allo sviluppo dello stato sociale. Una politica economica efficace doveva rimuovere gli ostacoli al mercato.
Quando il neoliberismo da teoria economica diviene un teorema politico vengono progressivamente cancellate, nel corso del secondo dopoguerra, le conquiste sociali delle classi lavoratrici. All’affermazione del neoliberismo hanno contribuito i cosiddetti “serbatoi di pensiero” ovvero think tanks, associazioni che riuniscono i massimi esponenti della finanza e dell’industria mondiali, i quali hanno notevolmente influito sull’insegnamento universitario, sui media, sulle politiche economiche dei governi, e dunque indirettamente sul modo di pensare e di agire delle persone, determinando quella egemonia culturale di cui parlava Antonio Gramsci nei suoi scritti.
Questa teoria politica mira a impedire che lo stato o il governo per esso interferiscano con l’ordine che il neoliberismo intende stabilire. Applicato a una società democraticamente costituita, esso si trasforma in un argomento contro la democrazia: esso non rappresenta una nuova fase della democrazia liberale, ma la fine della democrazia in quanto tale. Il neoliberismo si fonda su alcuni principi fondamentali come l’aumento dei consumi e lo sviluppo continuativo del Pil, ritenuto indispensabile anche per quei paesi che hanno raggiunto un soddisfacente stato di benessere.
Gli assiomi su cui si fonda la teoria neoliberista sono i seguenti: i mercati sono perfettamente in grado di autoregolarsi, il capitale affluisce dove la sua utilità risulta massima, i rischi del sistema sono integralmente calcolabili (es. caduta prezzi o variazione dei tassi di interesse). I casi ripetuti di recessione e le crisi cicliche non hanno mai intaccato queste credenze tra i fautori del neocapitalismo.
Inesauribile nella sua vocazione totalitaria, il neoliberismo propone una teoria dell’occupazione, della distribuzione del reddito e della persona di fronte al lavoro. Le politiche attive del lavoro, introdotte nell’Ue, insistono infatti sulla necessità che ciascuno si assuma la responsabilità del proprio destino lavorativo. Il neoliberismo contiene anche una esauriente teoria dell’istruzione il cui fine ultimo e unico risiede nel conferire all’individuo competenze professionali tale da renderlo produttivamente occupabile. Se dalla scuola si passa all’Università si vedrà che le teorie economiche di orientamento neoliberale appaiono da decenni dominanti. Il neoliberismo è una sorta di credo che le sinistre democratiche hanno scelto di assorbire integralmente.
3 – continua
1 – Il finanzcapitalismo secondo Luciano Gallino
2 – Le strutture del finanzcapitalismo
3 – Ascesa e declino del neoliberismo
4 – La Grande Crisi: il fallimento del neoliberismo
5 – Sinistra e neoliberismo: l’abbraccio mortale
6 – I presupposti teorici del finanzcapitalismo secondo Gallino
7 – La finanza degli apprendisti stregoni
8 – La solitudine dell’uomo economico
9 – Il finanzcapitalismo all’assalto dell’ambiente
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