Il peso elettorale decisivo dei cattolici americani
I cattolici americani rappresentano circa un quarto della popolazione degli States e sono dunque un bacino elettorale da tenere fortemente in considerazione in ogni tornata elettorale. Nel sesto capitolo di “AMERICANA” approfondiamo le dinamiche che lo riguardano.
In un omonimo saggio lo storico Manlio Graziano ha definito gli Stati Uniti la “democrazia di Dio”. In nessuna grande potenza occidentale il senso della religione è tanto vissuto come ritualità collettiva come negli States, figli dell’incontro tra l’ideologia illuminista e lo zelo degli immigrati calvinisti esuli della madrepatria britannica. Il ceppo che ha amato, a lungo, narrarsi come custode dei destini della nazione, quello Wasp (White, Anglo-Saxon, Protestant) ha a lungo escluso o marginalizzato gli immigrati cattolici provenienti dall’Europa, irlandesi e italiani in primis. Nel corso del XX secolo, tuttavia, il mondo cattolico statunitense ha conosciuto una graduale ascesa, che ha avuto il suo momento più celebre nell’elezione di John Fitzgerald Kennedy alla carica di Presidente nel 1960 ma si è poi strutturato su diverse direttrici connesse, in primo luogo, all’ascesa dell’immigrazione di stampo latino. La presenza cattolica ai vertici della società statunitense, parimenti, si è andata gradualmente consolidando, tanto che in caso di conferma della nomina di Amy Barrett sei dei nove membri della Corte Suprema di Washington sarebbero affiliati alla Chiesa di Roma. Il ruolo dei cattolici va valutato profondamente anche in chiave elettorale, per capire come le dinamiche che legano affiliazione religiosa e affluenza alle urne li coinvolga nel contesto statunitense
Demografia dei cattolici a stelle e strisce
Oggigiorno il cattolicesimo rappresenta, con 70 milioni di credenti (il 23% degli statunitensi) la seconda religione nel Paese dopo il protestantesimo e la Chiesa Cattolica è la più grande singola istituzione ecclesiastica nel territorio della superpotenza. La percentuale è rimasta pressoché invariata dai tempi dell’elezione di Kennedy, ma a variare è stato il background demografico dei cattolici Usa, cresciuti in mezzo secolo in termini di numeri assoluti di circa il 50%.
Da diversi decenni il cuore dell’America cattolica si va gradualmente spostando dal Midwest e dal Nord-Est abitato dagli immigrati europei al Sud in cui prevalgono gradualmente i cattolici di etnia ispanica. Questi ultimi risultano essere circa il 37% dei praticanti, mentre allo stato attuale delle cose va comunque sottolineato, come fatto notare dal Pew Research Center, che i flussi in entrata e in uscita rimangono ben alimentati in entrambi i versi. Ben il 13% degli statunitensi adulti sono ex affiliati alla Chiesa cattolica, passati poi alle varie confessioni protestanti o all’uscita dal sentiero religioso, mentre solo il 2% della popolazione è costituita da individui passati da altre religioni al cattolicesimo. I consistenti flussi legati alla demografia ispanica sono dunque corrisposti dal ripetersi, in terra statunitense, dei fenomeni di uscita dalla Chiesa così comuni nel resto delle Americhe. Gioca un ruolo, sicuramente, l’ampia eterogeneità interna al cattolicesimo, in cui convivono sia movimenti più tradizionali che correnti definite, in maniera semplificatoria, “progressiste” che reagiscono con diversi gradi di intensità ai processi di secolarizzazione della società statunitense. I cattolici statunitensi sono mediamente meno propensi a frequentare le funzioni rispetto ai protestanti (39% contro 45%) e, in questo contesto, come si vedrà sono continuamente “esposti” al richiamo di altre confessioni che fanno leva su un nucleo più ristretto, ma ben più solido di riferimenti valoriali.
Un elettorato diviso
La diversità etnica, la ripartizione grossomodo proporzionata tra le varie aree del Paese e la trasversalità sociale della Chiesa cattolica statunitense fa sì che le dinamiche elettorali dei suoi aderenti siano estremamente fluide e dinamiche. Nel 1960 e nel 1964 i cattolici votarono, comprensibilmente, in massa per portare alla Casa Bianca prima JFK e poi il presidente asceso alla Casa Bianca dopo il suo omicidio, Lyndon Johnson, garantendo loro secondo le stime tra il 76 e l’82% dei consensi in media.
Dopo Kennedy, due soli politici statunitensi di fede cattolica hanno partecipato da candidati presidenti alla corsa alla Casa Bianca nei maggiori partiti, entrambi democratici: John Kerry nel 2004 e Joe Biden nel 2020. Per ben sei volte un candidato vicepresidente cattolico è stato associato a un presidente sconfitto alle urne: è successo due volte ai Repubblicani (William Miller nel 1964 e Paul Ryan nel 2012) e quattro ai Democratici (Edmund Muskie nel 1968, Sargent Shriver nel 1972, Geraldine Ferraro nel 1984, Tim Kaine nel 2016), mentre Biden, due volte veep al fianco di Barack Obama dopo le elezioni del 2008 e del 2012, è l’unico ad aver ricoperto la carica fino ad ora. Venendo agli ultimi voti presidenziali, notiamo come dal 2000 ad oggi i cattolici abbiano sempre diviso le loro preferenze in maniera grossomodo equivalente: nel 2004, addirittura, l’elettorato preso in considerazione spartì le sue preferenze tra il cattolico Kerry e il presbiteriano George W. Bush, uscito vincitore dalla contesa. Obama e Biden hanno beneficiato di un leggero vantaggio nel voto cattolico nelle elezioni vinte contro John McCain e Mitt Romney, ma questi ultimi sono stati comunque in grado di conquistare il 43% e il 48% del voto cattolico, mentre nel 2016 è stato Donald Trump a sopravanzare nelle preferenze Hillary Clinton, 52% contro 45%.
Il fenomeno dei cattolici evangelici
Predire la tendenza di voto dell’elettorato cattolico non è una missione semplice; una serie di elementi influisce nell’elaborazione di un’analisi di scenario: il processo di secolarizzazione, il fattore etnico, la protestantizzazione.
Mentre i primi due punti sono stati già trattati in maniera approfondita, il fenomeno della protestantizzazione non è ancora stato toccato. In breve, i cattolici americani sono sempre meno cattolici, ma questo non significa che stiano semplicemente abbandonando la fede per via della secolarizzazione, perché è vero, piuttosto, il contrario: viene meno l’aderenza ai dogmi cattolici, come la lealtà al pontefice, mentre viene preferita l’adozione di una visione del mondo e del modus vivendi di stampo protestante.
Mike Pence, il vicepresidente degli Stati Uniti, è la prova vivente di questa trasformazione che sta riscrivendo il volto del cattolicesimo americano – che è sempre meno cattolico e sempre più americano – essendo, per sua stessa definizione, un “cattolico evangelico”.
Un altro esempio vivente, altrettanto celebre, di cattolico protestantizzato è Steve Bannon, l’ideologo del cosiddetto sovranismo, il quale pur essendo un cattolico praticante non ha mai nascosto di provare una certa avversione per il Vaticano, in particolare per l’attuale pontefice, e di essere un fervido sostenitore e difensore del concetto di civiltà giudaico-cristiana che, come abbiamo spiegato sulle nostre colonne nell’ampio e interessante dossier di Alessio Pinna, nasce in ambito protestante e fino a tempi relativamente recenti era completamente estraneo al pensiero cattolico.
Pence e Bannon sono due volti laici del cattolicesimo all’americana, ma il fenomeno sta interessando in maniera travolgente la stessa dirigenza clericale come dimostrato dalle parole e, soprattutto, dai fatti di personaggi illustri e influenti come Carlo Maria Viganò e Raymond Leo Burke, rispettivamente ex nunzio apostolico negli Stati Uniti e patrono dell’Ordine di Malta.
I cattolici: per il Papa o per Trump?
Un clero cattolico protestantizzato può significare, ovviamente, una cosa soltanto: una comunità di fedeli protestantizzata. I numeri alla mano, e soprattutto i fatti, sembrano corroborare questa chiave di lettura.
Papa Francesco, dopo aver goduto di una grande popolarità presso l’opinione pubblica cattolica degli Stati Uniti, dal 2017 al 2019 ha affrontato un grave declino d’immagine. Secondo quanto certificato dal prestigioso Pew Research Center, il pontefice ha raggiunto l’apogeo della popolarità nel 2017, anno in cui il suo operato era considerato in termini positivi dal 70% dei cattolici adulti, per poi subire una caduta repentina che si è arrestata solo di recente.
Il crollo di popolarità è stato tremendo: a gennaio 2020 il pontefice risultava apprezzato dal 59% dei cattolici adulti, ossia undici punti percentuali in meno rispetto a tre anni fa.
In appendice al sondaggio del Pew Research Center si trovano altri dati molto curiosi, ma non sorprendenti, dai quali emerge come la figura del pontefice goda di maggiore stima e fiducia tra gli elettori democratici che tra i repubblicani. Nel dettaglio, sempre avendo come periodo di riferimento gennaio 2020, l’erede di Pietro viene stimato dall’87% dei cattolici che votano democratico e dal 71% di coloro che votano repubblicano: uno scarto di ben sedici punti percentuali.
I cattolici protestantizzati non sono una realtà di nicchia, in voga nelle stanze dei bottoni e nelle alte gerarchie ecclesiastiche, essi sono nelle strade, riempiono le parrocchie, fanno attivismo e, soprattutto, votano Trump. Questa fetta crescente, e soprattutto influente, di fedeli potrebbe rivelarsi fondamentale il 3 novembre, contribuendo a convincere anche quella metà di cattolici storicamente schierata a sinistra – come ricordato nel 2016 il 45% dei cattolici votò per la Clinton e il 52% per Trump; un elettorato spaccato.
Ciò a cui aspira Trump, suggerito da Pence e aiutato da personaggi come Viganò e Burke, è la trasformazione dell’elettorato cattolico in un blocco coeso, un monolite al pari di evangelici ed ebrei ortodossi, fonte di garanzie certe alle urne.
Il 20 agosto è giunto l’appoggio decisivo, ricercato ardentemente da Trump in questi quattro anni di battaglie culturali ammiccanti verso la destra religiosa. La Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti ha pubblicato due comunicati ufficiali, contenenti delle lodi esplicite alla politica provita dell’amministrazione Trump, che sono stati diffusi su, e ripresi da, ogni portale d’informazione cattolico.
Articolo di Andrea Muratore e Emanuel Pietrobon
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“Americana”, il dossier congiunto di Kritica Economica e Osservatorio Globalizzazione, è realizzato col patrocinio dell’associazione culturale “Krisis“
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