L’Europa è antiquata?
Ospitiamo nuovamente, con grande piacere, un’interessante analisi di Pierluigi Fagan.
Faccio seguito al discorso del post su Günther Anders qui pubblicato cambiando parzialmente soggetto, dall’uomo in generale all’Europa in quanto popoli che la abitano. Nel libro “Verso un mondo multipolare”[i], si scriveva che l’Europa non è un soggetto geopolitico e quindi sarebbe finita col diventare un oggetto, un campo di competizione della tenzone tra i poli maggiori.
L’Europa è storicamente multipolare al suo interno ma oggi il format si è trasferito all’esterno, è il mondo a diventare multipolare ed un soggetto multipolare in un contesto multipolare diventa spezzatino per appetiti robusti. Chi meglio di noi italiani, rimasti pervicacemente spezzatino di ducati, repubbliche e principati in eterno conflitto reciproco, sa quanto sia inopportuno offrire lo spezzatino alla voracità di potenza nel frattempo fattesi Stato? Si rimane sconfortati a leggere i pessimi dati dell’economia tedesca nel secondo trimestre, non tanto per il dato in sé, quanto per la sua prevedibilità. Un’economia fortemente esportatrice in un mercato che va irrigidendosi a livello mondiale per molte ragioni tra cui il confitto tra le due maggiori potenze (ma non solo)[ii], non può che scontrarsi con nuovi limiti, limiti che condizionano l’export, che retroagiscono sul volume economico dei tedeschi a di tutti i Paesi europei che dipendono dal benessere del popolo tedesco ovvero della sua economia. Quasi per tutti i paesi europei, la Germania è il primo mercato di esportazione.
Si noti che Trump non ha ancora elevato dazi al comparto automotive tedesco sebbene li abbia minacciati. E si noti che proprio in questi giorni torna in luce il contenzioso sul contributo tedesco alle spese NATO con tanto di minaccia americana di accettare l’invito polacco a trasferire lì baracche e burattini. Contenzioso che si somma al dichiarato malumore americano per il raddoppio del North Stream. Nel mentre Deutsche Bank e Commerzbank continuano a scavare il piano dei minimi di quotazione mentre DB ha dovuto cedere quasi tutte le attività di “worldwide investment banking” con cui pretendeva di far concorrenza ai giganti anglosassoni nella dimensione globale. I tedeschi esportano per il 9% in USA, per il 7% in Cina che con lo yuan in discesa e la situazione conflittuale con gli americani potrebbero contrarre la domanda e per il 6% in UK[iii] che da fine ottobre, potrebbe creare ulteriori problemi. Ci si domanda: ma le élite tedesche si sono fatte un piano strategico per i prossimi anni?
Credo ci abbiano pensato ma hanno poi preso atto che il popolo tedesco nulla sa di queste complicazioni. Il succedersi di elezioni quadriennali in cui ogni partito deve garantirsi il potere ed ogni leader deve garantirsi il potere del partito, più tutte le pressioni dei vari portatori di interesse tra cui quelli con molti soldi che hanno priorità, non facilita le svolte strategiche. Più che altro porta all’amministrazione del contingente. Il contingente preme per la replica dello status quo e così forse nessuno si è occupato del fatto che il Reno oggi è paurosamente in secca ed i cambiamenti climatici creeranno disastri alle produzione alimentari, nessuno si è domandato se era il caso di continuare a rimanere concentrati sull’industria pesante e rimanere del tutto privi di propri asset nel digitale-informatico, nessuno ha un piano organico per contrastare la paurosa contrazione di popolazione cui i tedeschi saranno soggetti per motivi demografici. Importare siriani ha poi fatto emergere un AfD al 10% con catene di paure interne, dai bavaresi ai mai sopiti spettri della storia novecentesca. Se, come pare, si va ad una guerra valutaria, chi va a spiegare ai tedeschi che con l’euro forte si va a far vaso di coccio tra vasi di ferro? Si tenga conto del pauroso stato di confusione che c’è nelle opinioni pubbliche più che iscriversi al facile gioco della critica delle leadership. Per “europei” intendo l’opinione pubblica media degli abitanti l’Europa, le varie élite conseguono e certo sono anche responsabili di questa condizione annebbiata, ma le due parti sono un unico soggetto sul piano storico-culturale. L’elenco tedesco dei problemi in vista, può avere declinazioni non meno ricche per francesi o italiani.
Stavo giusto leggendo la piccola ma succosissima Storia della globalizzazione di Osterhammel-Petersson[iv] (due storici, non due economisti o sociologi) che ricordavano come l’illusione comune al liberoscambista radicale R.Cobden ed al certo ben più critico K.Marx di un mondo mercato capitalistico che relegava gli Stati ad attori secondari, “utopia antipolitica” la chiamano efficacemente i due, dopo la fase libero-mercatistica 1846-1880, passò a quella del doppio conflitto mondiale poiché gli Stati esistono (da circa cinquemila anni) e non tollerano che l’uno sia più potente dell’altro per ovvie ragioni di salvaguardia della propria capacità di decider per sé (oltre che per l’altro).
Ad esempio da chi comprare gas (si veda il consiglio dato a Salvini nel suo ultimo viaggio americano a proposito del TAP), con chi far commercio (si veda il consiglio dato a Salvini nel suo ultimo viaggio americano a proposito del’accordo commerciale Italia-Cina), quanto investire in spesa militare con chi e perché (vedi la pressanti richieste americane di inviare nostre navi ad Hormuz il cui diniego non è piaciuto, pare sia stato detto a Salvini). Sovranisti sgridati come fanciullini dal Preside dell’Istituto.
L’Europa è rimasta l’ultima Thule dell’utopia antipolitica, convinta che ormai è solo una faccenda di mercati e valute, utopia che le serve per gestire la propria intrinseca multipolarità interna nel mentre le varie élite del capitale finanziario pasteggiano voraci ed insaziabili circondate da gente che discute del nulla cosmico, ma con molta rabbia. Utopia che diventa distopia e assurdo storico nel mentre s’instaura un nuovo ordine mondiale in cui grandi potenze non solo economiche, sgomitano per stabilire i rapporti di gerarchia per i prossimi trenta anni. In Europa si leggono questi lunghi elenchi di conflitti e problemi crescenti come se si stesse leggendo la gazzetta di un altro pianeta.
Vale per gli utopisti libero-scambisti, per gli economisti monetaristi, per gli economisti in genere che pensano di possedere la chiave di interpretazione del mondo quando è in dubbio posseggano quella per intendere la loro stessa disciplina, per i sovranisti valutari, per i sostenitori degli Stati Uniti d’Europa che sono un rigurgito di logica che però non ha condizione di possibilità concreta e quindi rimane flatus vocis, invocazione meta-fisica senza alcuna condizione di possibilità geostorica per esser realizzata o almeno tentata.
Insomma, parrebbe che gli europei travolti dal
cambiamento, non abbiamo una propria idea di dove andare e quindi come
cambiare. Di nuovo, ci tocca
sottolineare il “tradimento dei chierici” che J. Benda[v] voleva custodi dei valori
fuori dalla mischia ma che noi preferiremmo vedere nella mischia dei progetti e
delle idee ben pensate, piuttosto che nelle mischie polemiche
dell’inconsistente visibilità mediatica. Del resto, quando una forma di
civilizzazione declina, lo fa tutta intera. Questo sono le forme di civilizzazioni,
interi, ed è per l’enorme difficoltà di pensarsi come interi che declinano.
[i] P. Fagan, Verso un mondo multipolare, Fazi editore, Roma, 2017
[ii] World Bank, Global Economic Prospect, June 2019 Table 1.1 Real GDP dato in contrazione 2018-19-20-21 vs 2017, in particolare Euro Area
[iii] Dati Eurostat 2018 https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/-/WDN-20190320-1
[iv] J. Osterhammel, N.P.Petersson, Storia della globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2005
[v] J. Benda, Il tradimento dei chierici, Einaudi, Torino, 2012 s
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