“Geopolitica: storia di un’ideologia” – Prefazione
Sabato 18 maggio allo Spazio Coffice a Milano l’Osservatorio Globalizzazione presenterà il suo primo evento ufficiale. Il direttore dell’Osservatorio, Aldo Giannuli, e il professore Giuseppe Gagliano discuteranno con Amedeo Maddaluno, firma dell’Osservatorio, del suo ultimo saggio “Geopolitica: storia di un’ideologia”, di cui di seguito riportiamo la prefazione scritta da Giannuli.
Questo di Amedeo Maddaluno è un libro importante. Da leggere e da meditare, nonostante le sue dimensioni esili o, forse, proprio perché in alcune decine di pagine ha ben condensato una serie di aspetti decisivi dell’evoluzione della politica nel Novecento e getta lo sguardo sulla crisi del presente.
Proprio in questi mesi andavo meditando un nuovo libro dedicato alla storia del pensiero politico nel Novecento, che mi sembra non ancora trattato in modo soddisfacente.
Sin qui è rimasta forte l’impronta della trattazione ottocentesca che procedeva per ritratti di singoli autori, dalla classicità ai nostri giorni (Eraclito, Erodoto, Tucidide, Platone, Artistotele, poi Polibio, Seneca, San Paolo e poi, via via Eusebio di Cesarea, Agostino, Tommaso d’Aquino, Marsilio, Machiavelli, Bodin, Grozio, Hobbes, Looke, sino a Marx, Weber, Pareto, Schmitt eccetera).
E questo comportava alcune conseguenze: un approccio idealistico che assegnava alla filosofia la centralità del tema, trattato come parte della filosofia morale (e basta scorrere i nomi che ho intenzionalmente indicato poco prima).
In secondo luogo, questo determinava una certa separazione fra teoria politica e pratica politica: il dover essere studiato dai filosofi e l’essere praticato dai decisori politici, poi studiato dagli storici.
Infine tutto ciò ha avuto un carattere eminentemente eurocentrico, come se il resto del Mondo, dall’Islam alla Cina, dall’India al Giappone non abbiano mai prodotto alcun pensiero politico degno di nota o che ci riguardi.
Questo approccio ha avuto una sua plausibilità sino al Settecento, quando l’azione politica era normalmente riservata alle ristrette èlites di governo ed il rapporto con la teoria politica passava più che altro attraverso la formazione culturale di ciascuno dei suoi componenti.
Già con l’irrompere della modernità rivoluzionaria (anticipato dall’Inghilterra di Cromwell, ma esplicitato dall’America di Washington e dalla Francia dell’ottantanove) iniziò a porre il problema del rapporto fra teoria e prassi politica in termini diversi, con la nascita di soggetti politici organizzati come i moderni partiti politici. Ma, ancora nel XIX secolo, l’impostazione preminentemente filosofica perdurava, rispecchiandosi nelle diverse ideologie proprie di ciascuno schieramento.
In qualche modo, le ideologie politiche sostituirono il ruolo della fede religiosa nel compattare il consenso dei ceti subalterni, insistendo soprattutto sulle motivazioni etiche di ciascuno schieramento.
Il marxismo segnò una prima evoluzione che cercava di ridurre a sintesi la filosofia tedesca, l’economia inglese ed il socialismo francese, realizzando un delicato equilibrio fra istanze etiche e realismo politico.
Ma fu solo il primo di una serie di tentativi in questo senso: in modi diversissimi, spesso antitetici fra loro, anche il liberalismo del Novecento, il fascismo, il cattolicesimo sociale, eccetera tentarono di conciliare la propria visione morale con gli interessi sociali ed anche con la volontà di potenza delle singole élites, nei modi propri a ciascuna di esse.
Il tema è poi esploso nel Novecento con molte discipline che l’hanno affrontato da più aspetti e così si sono sviluppate o sono nate ex novo molte discipline, dalla sociologia al diritto comparato, dalla scienza della politica alle relazioni internazionali, dalla psicologia politica alla geopolitica, appunto.
La geopolitica, sorta all’alba del XX secolo, dopo un periodo di fortuna (fra gli anni venti ed i trenta) subì una lunga quarantena per il ricordo che la legava alla preferenza per esse dei regimi fascisti. D’altro canto, il conflitto politico nella seconda metà del secolo ebbe carattere eminentemente ideologico da un lato e sociale dall’altro, mentre ciascuno Stato cercava (non sempre in modo convincente) di mascherare i propri disegni di organizzazione dello spazio politico mondiale.
Con il crollo dell’Urss e la candidatura degli Usa ad unica potenza imperiale, è riemersa la geopolitica e, con essa, il rapporto fra pensiero ed azione politica nella prospettiva spaziale e questo ha portato tanto alla riscoperta dei primi autori della disciplina quanto alla produzione di nuove teorie.
Non mancano certo storie della geopolitica che si succedono da circa trenta anni, pur se con una certa parsimonia, ma, nel maggior numero dei casi ripercorrono la parabola delle precedenti storie del pensiero politico per autori.
Questo agile contributo di Maddaluno tenta una operazione diversa: mettere in relazione gli sviluppi delle teorie geopolitiche con quelli dell’azione politica internazionale delle singole potenze condizionata dal loro sottostante non solo fisico, ma anche culturale (da segnalare, in questo senso le pagine sulla Germania).
I teorici della geopolitica non lavorano in astratto ma strettamente in relazione con la domanda dei rispettivi decisori politici che, a loro volta, hanno sempre più evidentemente conformato la propria azione a questa o quella dottrina geopolitica.Pertanto, l’approccio di Maddaluno ha l’effetto di intrecciare le elaborazioni dei teorici “puri” con quelle dei decisori politici. E, ad esempio, non è un caso lo spazio dedicato ad autori come Kissinger o Luttwak, trascurati nella maggior parte delle storie della geopolitica. Ne deriva una lettura ben più dinamica, sfaccettata ed, in definitiva, più convincente tanto delle motivazioni dell’agire politico delle potenze, quanto delle teorizzazioni geopolitiche.
Importante, in questo senso, anche lo spazio dedicato agli autori russi e cinesi che, quasi mai ricevono l’attenzione che meriterebbero, se non dagli studiosi dei rispettivi paesi. Anzi, è augurabile che Maddaluno, dopo questo primo abbozzo che promette una più ampia e voluminosa trattazione, dedichi più spazio a questi due casi.
Ad esempio, lo studio di autori come Trotskji, Frunze, Tukacevskji, e, più in generale, dello Stato maggiore dell’Armata Rossa, nei tempi più lontani, e Gerasimov, in quelli più vicini, è possibile che riservi non pochi spunti di analisi sin qui trascurati.
Così come, per il caso cinese, potrebbe essere interessante un approfondimento del pensiero di Mao e di Lin Biao (ma, per certi versi, anche di Chiang Kai shek ) e magari dell’influenza delle teorizzazioni non secondarie del vietnamita Giap che ebbe a combattere contro gli invasori giapponesi a stretto contatto con i comunisti cinesi.
D’altro canto, le nuove teorie strategiche dello stato maggiore francese (a cominciare da Beaufre) furono il prodotto della sconfitta patita in Vietnam ad opera di Giap.
Dunque c’è ancora molto da fare su questa strada che Maddaluno ha aperto segnalando non pochi problemi di cui non c’è ancora una conoscenza adeguata. E si pensi al problema dei nuovi termini dell’interesse nazionale che torna ad imporsi –pur se, appunto, in termini diversi dal passato- dopo l’ubriacatura globalista del ventennio scorso che decretava finita l’epoca degli stati nazionali, nella prospettiva di un ordine mondiale tutto dominato da un’unica immensa tecnostruttura mondiale basata –ça va sans dire- sulla grande potenza americana e sull’inevitabile partnership atlantica euro-americana. Siamo sicuri che questa visione sia ancora attuale?
Ed, appunto, scrivevo all’inizio che questo libro è da leggere e da meditare.
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