Riflessioni sul tempo: quando inizia la storia?
Quando inizia il tempo e come lo contiamo? 13,8 miliardi di anni se prendessimo l’ipotetico Big Bang. 4,4 miliardi anni se prendessimo la prima formazione della Terra. 2,5 milioni di anni se prendessimo il primo rappresentante del genere Homo. Non si sa bene oggi, ma potrebbero esser dai 330.000 ai 250.000 anni la comparsa della specie Sapiens. Ma noi contiamo dall’avvento di Cristo, da 2020 anni quindi ed in virtù del nostro precedente, largo dominio del mondo, oggi l’intero pianeta – per convenzione – adotta questa misura recente. Ma al di là delle convenzioni, come influisce nella nostra immagine di mondo questo recentismo? Come influisce in modi non del tutto coscienti e razionali, questa convinzione che il mondo umano che merita tale nome, sia così recente?
Quando Darwin pubblicò la prima edizione della sua “Origine delle specie” (1859) c’erano due modi di considerare il tempo. Il modo assolutamente ed indiscutibilmente dominante (Marx termina in quell’anno il manoscritto del “Per la critica dell’economia politica”), era stato ben precisato da un vescovo anglicano che aveva normalizzato l’età delle genealogie bibliche e contate le une e le altre, era giunto a stabilir certo verdetto: Dio creò il mondo a finire dal 23 ottobre 4004 a.C., domenica. Ma al di là dei calcoli precisi, era condivisa l’idea vaga che tra rivelazione tramite Cristo e tutto il precedente contenuto nell’Antico Testamento, c’erano stati tra 3, 4, forse 5 mila anni prima che tutto iniziasse. La cosa non era solo il credere a ciò che dice la Bibbia letteralmente, ma credere al Dio della Bibbia logicamente (anche la fede ha presupposti logici). Perché mai, infatti, un dio avrebbe dovuto fare un tal enorme marchingegno per poi aspettare ed aspettare, fino a che fosse comparso un uomo a cui rivelare il significato del Tutto? O aspettare fino al punto che lui stesso avesse creato un uomo da mettere nel creato? La questione quindi era decisiva e faceva coppia con l’idea di progresso che andava molto ai tempi. Adamo, Eva, Noè, Mosè, Cristo, apostoli, Romani (prima ottusi e cattivi, poi convertiti e difensori della Croce), Medioevo, moderno, culmine della civiltà, Stato prussiano per Hegel, rivoluzione industriale per tutti gli altri, incluso Marx che sul “culmine ultimo” aveva altre idee.
Ma c’era anche un altro modo di contare il tempo che si stava facendo largo tra mille dubbi in una ristrettissima comunità scientifica, quella dei geologi. I primi geologi, nascono nella prima metà del XIX secolo, quando osservano che la nuova mania di scavare in profondo (ad esempio per le fondazioni di palazzi più alti), rivelava pareti stratificate. Dall’attribuire la stratificazione alla terra e polvere depositatasi in vari tempi e datato ipoteticamente ogni strato, veniva fuori l’impensabile, erano decine, forse centinaia di migliaia di anni! Quando Darwin morì, si stimavano cento milioni di anni. Solo negli anni ’30 si arrivò a pensare a qualcosa tra 1,5 e 3,0 miliardi di anni. Darwin, che conosceva i progressi dei geologi, aveva necessità assoluta di tempi così lunghi, altrimenti la sua teoria del cumulo di piccole modificazioni nel lungo tempo, non funzionava. Ecco, ad esempio, una teoria come quella di Darwin non può esser immaginata in una mente ordinata da una immagine di mondo che pensa il tempo in termini di tempo ristretto.
Allego pagina informativa e pubblicitaria del governo turco (https://goturkey.com/en/destinations/gobeklitepe?utm_source=people&utm_medium=CPV_video&utm_campaign=ttg-gobelitepe&utm_content=facebook&utm_term=_&fbclid=IwAR0b_uK8IA_Ey6rLaWlTrAtrWik2gA84w00h0MH-L4wgfXwgFFAfFsAT_fA) sul complesso epipaleolitico o tardo paleolitico (dipende dalle datazioni che variano da studioso a studioso) di Gobekli Tepe. I pubblicitari locali, hanno trovato l’idea di presentarlo come “l’inizio del tempo”. Come cambierebbe la nostra idea di storia che postivisticamente vincoliamo alla necessità di altre storie scritte (documenti, prove scritte) se invece partissimo da questa prima monumentale realizzazione umana?
Quale idea di una possibile teoria della complessità sociale umana non possiamo pensare partendo dalla convinzione che la storia inizi con le tavolette sumere 5.300 anni fa? Come si produsse allora la complessità propedeutica ad edificare questo monumento con un totale 200 piloni da 60 tonnellate cadauno, ognuno scavato, trasportato, intagliato in basso ed alto rilievo ed infine eretto in decine circoli di pietre e secco, mettendoci sopra un tetto di legno? E come fecero gli uomini di allora che pensiamo divisi in piccole bande di cacciatori e raccoglitori senza strumenti e tecnologia, forse ancora seminomadi (o semi stanziali?) e soprattutto perché?
E’ l’intera teoria sulla complessità sociale a pacchetto di “innovazione tecnica (metalli) – agricoltura – stanzialità – surplus – élite – opere di prestigio basate sul lavoro coatto” che salta per aria. Qui non ci sono metalli, non c’è agricoltura (o c’è come poi abbiamo scoperto, ma usata marginalmente perché c’era molto di meglio per pranzo), eppure si era già in parte stanziali, anche senza produrre grandi surplus e senza avere élite. Soprattutto non c’era alcun lavoro coatto (poi abbiamo scoperto che non c’era neanche per le piramidi egizie, di sette-ottomila anni successive) e neanche una tribù convinta di lasciare un segno nella storia poiché il lavoro per costruire l’ambaradan si calcola in migliaia di uomini e tribù di migliaia di uomini, al tempo, non c’erano, poco ma sicuro. Potremmo indugiare a lungo sul chi, come e perché costruì e poi si prese la briga di seppellire completamente Gobekli Tepe poco dopo averlo usato per quindici secoli. Io, ad esempio, propendo per una teoria (come spesso mi capita, minoritaria) che non pensa GT sia stato solo e neanche principalmente un “tempio”. Ma non era questo l’oggetto del contributo.
L’oggetto era l’arco di tempo che ci diamo per ambientarci storie, come già dibattuto tra “lunghe durate” o evenemenziali, cumulativi o saltazionisti. Se Universo, Terra e uomo hanno seimila o miliardi e milioni di anni. Se la complessità sociale ha cinquemila anni o più del doppio. Cosa cambia? La possibilità di costruire una teoria evolutiva della complessità sociale, una teoria che non dipenda dall’innovazione tecnica che trasforma i modi di produzione, che determinano le classi e gerarchie sociali. Quest’ultima, l’ultima teoria (recentista, riduzionista, determinista, positivista, tecnicista) del XIX secolo che ancora domina il nostro orizzonte epistemico. Teoria che spiega il moderno, non la storia. Soprattutto una teoria che abbia rilievo nella concezione del’uomo, della società, della politica e del ruolo dell’economia e quindi che apra a nuove condizioni di pensabilità di un modo diverso di stare al mondo, visto che il moderno è abbondantemente finito. Il mondo che c’è funziona sempre peggio (per noi), critici abbondano, ma dal negativo non nasce niente e il tempo passa. Non si può pensare il mondo nuovo col modo vecchio.
Il nostro concetto di Essere, cambia a seconda di come pensiamo il Tempo.
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