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Covid-19: cambiare o morire

Covid-19: cambiare o morire

Un collega che si firma con lo pseudonimo 木睦 ci manda questo pezzo che intende evidenziare quelle che a suo parere sono state le manchevolezze dell’apparato istituzionale italiano nella risposta all’emergenza Covid-19. E segnalare quella che, a parere dell’articolista, è tra le minacce principali per il Paese in casi del genere: la constatazione che “nel cimento l’Italia è sola”.

L’Italia ha registrato il suo primo caso di contagio da Covid-19 il 21 febbraio scorso. Ovvero circa un mese e mezzo dopo lo scoppio dell’epidemia a Wuhan. Tempo che sarebbe stato prezioso per l’approntamento di misure preventive di contenimento e piani di assistenza sanitaria, se solo il decisore politico avesse saputo cogliere le avvisaglie dell’incombente crisi sanitaria.

Ma il determinante vantaggio temporale dovuto alla distanza geografica – la quale limita fisiologicamente la massa di persone in movimento intercontinentale veloce (es. aerei) – non è stato colto da una classe politica completamente priva di pensiero strategico e spirito patriottico, anche se abbondantemente dotata del senso di auto-preservazione.

Non sono bastate le immagini inquietanti sulle morti da coronavirus nella provincia di Hubei. Non sono bastati gli appelli di virologi di fama mondiale e comprovata esperienza. Non sono bastate nemmeno le notizie ufficiali del governo di Pechino sulla messa in quarantena di intere megalopoli. E infine non è servito neppure l’appello ad agire proveniente dalle forze politiche di opposizione, immediatamente tacciate di futile allarmismo, sciacallaggio politico e persino di becero razzismo.

L’ingiustificabile evanescenza delle élite politiche nostrane si è purtroppo manifestata ai più alti livelli. Essendo inappropriato redarguire pubblicamente ed esplicitamente i partiti e gli amministratori d’opposizione, il presidente della Repubblica ha veicolato un messaggio dannoso mediante lo sciente impiego delle immagini: recandosi a sorpresa in una scuola multietnica della capitale portando con sé i fotografi, l’8 febbraio scorso il capo dello Stato è riuscito al contempo ad alludere ad una supposta xenofobia della minoranza parlamentare, a tacciare di infondato allarmismo le richieste di maggiore prevenzione sanitaria e – peggiore delle cose – a spronare i cittadini ad una accresciuta e controproducente attività sociale. Un mese dopo, tutte le scuole di ogni ordine e grado sull’intero territorio nazionale erano costrette per decreto alla chiusura.

Quando questa crisi sanitaria sarà in qualche maniera superata, oltre a stabilire di chi siano le responsabilità politiche dello sfacelo umanitario e socio-economico, l’Italia dovrà porsi parecchie domande sull’adeguatezza del sistema istituzionale, che ha dimostrato di non essere neppure in grado di proteggere la propria catena di comando. Figuriamoci gli interessi nazionali.

È ormai sentimento comune che gran parte della crisi sanitaria sia stata ingenerata dalla superficialità che il decisore politico ha riservato alla minaccia annunciata del coronavirus.

Certamente ha suscitato scalpore il fatto che, in piena crisi epidemica, il premier abbia incolpato il personale medico dell’ospedale di Codogno della nascita del focolaio infettivo. Così come surreale è stato il sopralluogo dei Nas nella struttura in piena emergenza sanitaria per gli accertamenti nell’ambito dell’indagine aperta a pochi giorni dalle parole del presidente del Consiglio. Eppure fu proprio una anestesista dell’istituto a diagnosticare il primo caso in Italia, permettendo di recuperare parte del tempo perduto e abbozzare le prime soluzioni di contenimento del virus. L’intuizione del medico ha in realtà salvato un numero incalcolabile di persone. Ma si sa: l’Italia è quel paese che, in caso di disastro sismico, ad essere indagati (e condannati) sono incredibilmente i sismologi.

Una volta neutralizzato il virus, saranno tante le domande da porsi e i problemi da affrontare. Molto dovrà cambiare. Ma per modificare l’approccio politico interno, dovremo prima rivedere l’orientamento esterno. Questa tragica crisi ci insegna qualcosa di fondamentale: nel cimento l’Italia è sola. E anticipare le sfide geopolitiche del futuro è vitale per ogni nazione che si voglia prospera.

Il Covid-19 altro non è che il cigno nero del ventunesimo secolo, ovvero quella significativa e storica circostanza in grado di rivoluzionare i rapporti geoeconomici delle nazioni. Se la classe politica non cambierà atteggiamento, non sopravviveremo. Prepariamoci piuttosto alla Guerra senza limiti preconizzata da Qiao Liang e Wang Xiangsui.

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