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La mentalità post-geografica

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La mentalità post-geografica

Fa oggi il suo esordio sull’Osservatorio Pierluigi Fagan, analista di primo livello che debutta parlandoci della necessità, per l’Italia, di ragionare a livello sistemico valorizzando la sua posizione geografica tra Europa e Mediterraneo e risolvendo le contraddizioni tra Nord e Sud per agire in maniera strategica nell’era della globalizzazione. Buona lettura!

La Repubblica offre qui (https://www.youtube.com/watch?v=zZGB4E1Ey4I&feature=youtu.be&ref=RHRD-BS-I0-C6-P1-S1.6-T1&fbclid=IwAR2OdE38iqF4BDGzTNxCKzlM_ps-k592pkdEd8isVERbUlyGNVx3niQxmto)  la video-rubrica Mappa Mundi con la consueta presentazione mensile dell’ultimo numero di Limes, questo mese sull’importanza del “dominio dei mari”, basico tema dell’armamentario concettuale dei geopolitici. Non commenterò il numero anche perché lo debbo ancora leggere, ma una osservazione di Dario Fabbri, tra i più stretti collaboratori della rivista.

Fabbri si meraviglia con  stupita sincerità (25:35 e altro dopo), del fatto che molti in Italia non ci si rende conto della nostra posizione geografica sulla mappa o meglio sul territorio. Le nostre élites recenti e grande parte dell’opinione pubblica, qualificata o meno, è intrinsecamente convinta che il nostro destino sia mitteleuropeo, un terzo trono accanto a quello francese e tedesco in un supplichevole “vengo anch’io?” che non registra i reiterati “no, tu no”. Del resto è tipico del pensiero eccessivamente astratto rendersi immune ad ogni falsificazione o palese contraddizione coi fatti. Fabbri evince che la mancanza di una intelligenza geografica (ed io aggiungo “geo-storica” poiché lo spazio va col tempo, da Kant ad Einstein a Braudel) fa vedere cose che non esistono e non fa vedere cose evidenti che esistono. Siamo una penisola con tre lati nel mare, Mediterraneo nella fattispecie. Gli americani ci usano coma una portaerei ed un porto centrale, nelle loro strategia. Loro vedono cose di noi che noi non siamo in grado di vedere perché guardiamo da un’altra parte.

Per molti di noi colpiti dall’epidemia post realista, la geografia è un banalità e la storia un impiccio polveroso poco “attuale”. Il paradigma che domina l’immagine di mondo è un monoteismo economico a base matematica fortemente idealizzata, non numeri che indicano cose ma cose in se stesse, immateriali, privi di tridimensionalità ed attriti spazio-temporali, auto-generati chissà come. Certa retorica sulla “globalizzazione” sullo spazio liscio ed a-dimensionale dell’Uno-mondo gli va appresso. Un’epidemia figlia anche del disastroso dominio delle teorie liberali nelle Relazioni Internazionali americane, oggi sorpassate dal grande ritorno della più consistente geopolitica. Ma si sa, qui da noi, le onde intellettuali arrivano come gli echi nei recessi più periferici, flebili e con dieci anni di ritardo.

Per demografia ma soprattutto sviluppo, il nostro Nord è una cosa, il nostro Sud un’altra, come del resto certificato dall’ultimo rapporto Svimez. Antico problema quello del nostro meridione. Gli intellettuali italiani, crociani non meno che liberali o marxisti, per decenni, hanno cercato di indagare tale questione, oggi non va più di moda, si è data per persa la partita. Ma la questione, anche non frequentata, rimane sul tavolo geografico poiché l’Italia è un sistema ed un sistema è sempre qualcosa di più omogeneo al suo interno rispetto al suo esterno. Se una parte del sistema, ad esempio il Grande Nord, ritiene di esser più vicina a ciò che le è fuori invece che a ciò che le è dentro, se non ne conclude e porta realmente a termine una secessione, si sta semplicemente privando della forza potenziale del sistema cui appartiene per perseguire un minor vantaggio forse più facile a perseguire ma senz’altro meno conveniente in senso assoluto. Che qui da noi non si riesca a ragionar per sistemi, del resto, è una vecchia tara intellettuale. L’intera sequenza Braudel-Arrighi di Genova e Venezia, Province Unite, Inghilterra poi Gran Bretagna poi Regno Unito, Stati Uniti d’America e forse in prospettiva Cina, cos’è se non una sequenza di Stati sempre più massivi, con economie di scala e mercati interni che sorreggono imprese forti nelle radici che hanno dato ai propri Stati maggiori condizioni di possibilità?

Certo, il meridione d’Italia è un ben strano doppio strato di sovranità nazionale e sovranità locale in mano ad una rete di grande delinquenza organizzata che si fa potere politico. Purtroppo, ormai si è capito, non più solo “locale”. Così, sino a che l’interesse generale, ovvero nazionale, non riscatterà i suoi diritti su questo terzo dell’Italia, non sarà possibile nessun progetto per mettere a frutto non solo la nostra posizione geografica, ma la consistenza stessa della nazione che conta, solo in teoria, 60 milioni di individui.

Rimaniamo così a discutere di TAV con un binario unico (o poco più) che arriva a stento a Palermo o come dice il video, investimenti europei per implementare i nostri porti strategici virati nella costruzione di porticcioli da diporto per l’ampia flotta privata figlia dell’evasione ed elusione fiscale, tra cui quella dei proprietari di ristorantini che fan loro da contorno. O imprese del Nord Est che delocalizzano ovunque quando un buon piano per ottenere per il nostro meridione ri-sterilizzato e legalizzato lo statuto speciale già a suo tempo concesso all’Irlanda, le porterebbe a ri-localizzare in Calabria e Sicilia e dintorni.

Ne conseguirebbe sviluppo, più consumatori per le merci interne, maggior gettito fiscale centrale per poi abbassare le aliquote se non gettito per ulteriori investimenti tra cui quelli ambientali visto che campiamo ancora della nostra bellezza e biodiversità, maggiore omogeneità culturale e quindi più sana “democrazia” (o quella “cosa” che chiamiamo tale), prestigio internazionale, investimenti esteri e molto altro, tra cui scuotimento dall’appiccicosa depressione che ci ha colto come sentenza di cui non vediamo il fine pena.

Si noti anche il rapporto tra massimo beneficio con un investimento tra magistratura, forze dell’ordine, servizi e qualche computer, davvero minimo, addirittura alla portata della nostra ristretta finanza pubblica odierna. Per non parlare – appunto – della liberazione delle condizioni di possibilità per aumentare il nostro statuto geopolitico che molti pensano essere una fissa di quelli che giocano a Risiko. Darsi una sfera d’influenza nel Mediterraneo, non è giocare a Risiko ma darsi una prospettiva di co-sviluppo che rinforza la propria consistenza, peso e potenza, anche per poi giocare al Trono di Spade con i francesi e la loro Africa occidentale e la Germania e la sua Europa dell’Est.

È solo recuperando la nostra piena forza di sistema di 60 milioni di persone (produttori, consumatori, pagatori di tasse e percettori di servizi pubblici) che potremmo davvero far braccio di ferro con gli “amici-nemici” europei. Fare a braccio di ferro col cancro che ti corrode dentro, non ha senso. Reclamare credibilità quando neanche sei in grado di darti una minima sistemata interna a casa tua, ha del paradossale. Non rendersene conto fa parte della nostra fase surreale. Chissà forse l’elementare concetto di “rapporti di forza”, potrebbe esser riscoperto da qualcuno qui nella valle del pensiero inconsistente. Ma un po’ di sano realismo è chiedere troppo ad un Paese che si diletta al gioco “Stati Uniti d’Europa vs Sovranità Nazionale” e che vede il mare solo d’agosto tra una fritturina, un selfie a gli espressivi ginocchi ed un migrante affogato.

Altro che Risiko, molto meglio nascondino, nascondino dalla realtà.

61 anni, professionista ed imprenditore per 23 anni. Da più di quindici anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca da indipendente.Si occupa di "complessità", nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica, culturale e soprattutto filosofica. L'applicazione più estesa è in geopolitica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media (Rai3, la7, Rai RadioTre Mondo, Radio Blackout ed altre testate on line). Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità.

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