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Le nuove rotte del populismo: parla Marco Tarchi

Le nuove rotte del populismo: parla Marco Tarchi

Abbiamo avuto l’occasione di porre alcune domande sull’evoluzione dei fenomeni populisti in Italia e all’estero a Marco Tarchi (Roma, 11 ottobre 1952), politologo e docente all’Università di Firenze, tra i massimi esperti italiani in materia.

Osservatorio Globalizzazione: Professor Tarchi, nel suo fondamentale “Italia populista” lei ha tratteggiato nei dettagli le caratteristiche portanti del fenomeno “populismo” e la sua evoluzione nel nostro Paese. In che misura questi connotati si riscontrano nell’attuale esecutivo e, in generale, nelle forze in campo?

Marco Tarchi: Come in molti altri casi, l’accesso a responsabilità di governo sta comportando un certo grado di istituzionalizzazione sia nella Lega che nel Movimento Cinque Stelle. E questo significa che, nelle parole e nei fatti, il tasso di populismo cala. Io definisco il populismo non come un’ideologia (non lo è: non presenta caratteri di sistematicità né “libri sacri” che definiscano i comportamenti da tenere o interpretino il mondo in base a leggi e previsioni) o uno stile politico (non è soltanto questo), ma come una mentalità caratterizzata essenzialmente dall’attribuzione di qualità etiche naturali al popolo – che ne fanno l’unica fonte di legittimazione del potere – , dall’opposizione di tali qualità ai vizi delle oligarchie dominanti e dalla diffidenza verso ogni forma di mediazione e rappresentanza. Sono tratti che necessariamente si ridimensionano quando non ci si può più limitare a esprimere le rivendicazioni di “chi sta in basso”, dato che, trovandosi “in alto”, si devono fare i conti con i vincoli della gestione politico-amministrativa di uno Stato. Tuttavia, certi elementi della mentalità populista sussistono nel discorso che entrambi i contraenti del contratto di governo rivolgono al pubblico per mantenere il consenso, e la campagna per le elezioni europee ce lo sta ampiamente dimostrando.

Osservatorio Globalizzazione: Tra le forze di governo, il Movimento Cinque Stelle fu da lei definito “populismo allo stato puro”.  In seguito all’ingresso nel governo, quali sono i principali cambiamenti avuti da questa formazione? Come ha impattato il passaggio da Beppe Grillo a Luigi Di Maio?

Marco Tarchi: Malgrado le frequenti citazioni, non ho mai scritto che il M5S rappresentava il populismo allo stato puro. Nel mio libro questa definizione è riferita al discorso politico tenuto, almeno fino al 2018, da Beppe Grillo, che in effetti si può considerare un esempio perfetto di esplicitazione della mentalità populista. Già quattro anni fa, malgrado la rivendicazione “orgogliosamente populista” fatta a un V-day da Gianroberto Casaleggio, il M5S mi sembrava discostarsi su vari punti (primo fra tutti, l’atteggiamento verso l’immigrazione di massa) dalle coordinate tracciate dal suo fondatore. Quelle distanze sono andate aumentando: si sono conservati i tratti del populismo protestatario ma, anche per la concorrenza leghista, si sono attenuati fin quasi a scomparire quelli del populismo identitario che in Grillo erano evidenti. E mi sembra che Di Maio accentui la ricerca di un’immagine di statista “responsabile” che rischia di piacere poco alla componente populista del suo elettorato.

Osservatorio Globalizzazione: E per quanto riguarda la Lega, ritiene possibile in futuro uno scollamento tra il partito delle origini e il progetto nazionale di Salvini?

Marco Tarchi: No. Tutti i tentativi compiuti negli anni – e ce ne sono stati molti – per far concorrenza alla Lega alzando le bandiere dell’indipendentismo veneto, lombardo o nordista, o giocando al rialzo sulla questione del federalismo sono finiti nel nulla. Ci può essere una frangia di elettorato che vorrebbe veder risorgere il sogno secessionista, ma è di proporzioni minuscole, soprattutto se paragonato all’entità dei nuovi sostenitori che la scelta strategica di Salvini ha fatto affluire.

Osservatorio Globalizzazione: Secondo lei è possibile indirizzare il populismo italiano contemporaneo sull’asse destra-sinistra in misura diversa rispetto all’ultimo quarto di secolo?

Marco Tarchi: Per sua natura, la mentalità populista è trasversale rispetto a questo asse e non si riconosce nello schema di competizione che ad esso si riferisce. Le formazioni politiche che se ne fanno veicolo, però, hanno bisogno di individuare uno spazio al cui interno raccogliere consenso, e una parte – in continuo calo – dell’elettorato continua ad attribuire peso ad etichette come sinistra e destra. Ciò spiega perché ci siano manifestazioni di populismo che mostrano più affinità con l’uno o con l’altro di questi campi. C’è chi crede che questo determinerà uno scontro fra un populismo di sinistra incentrato sul M5S e uno di destra incarnato nella Lega. Io sono scettico su questo scenario, perché molti elettori rimarrebbero delusi dal vedere i due partiti riallinearsi a criteri tipici della vecchia politica. Credo quindi che sarà difficile piegarli al rientro in una logica bipolare.

Osservatorio Globalizzazione: A livello globale, il “populismo” è in varie occasioni sdoganato come nuovo fenomeno contemporaneo, come frutto della fine delle ideologie o, in una certa narrativa, come minaccia alla democrazia. Ma a suo parere è corretto parlare di un’unica “ondata populista”? O, come dimostra la specificità del caso italiano, è possibile identificare altre “vie nazionali” per i vari populismi.

Marco Tarchi: Ogni movimento o partito populista guarda al proprio popolo, senza preoccuparsi troppo degli altri, il che porta ad escludere che possa un giorno crearsi una vera internazionale populista, quali che siano gli sforzi spesi in questo senso, da Bannon o da altri. Ovviamente, esistono oggi problemi di portata continentale o planetaria che nessun leader populista può ignorare o affrontare da solo, e per questo motivo potranno verificarsi convergenze di vari di questi soggetti in occasioni puntuali (è già stato così, ad esempio, quando si poneva la questione dell’adesione della Turchia all’Unione europea: nel parlamento di Strasburgo deputati sparsi in vari gruppi dettero vita ad iniziative comuni per scongiurare quell’esito) e, magari, esili strutture di coordinamento. Oltre non si andrà. Ma se si guarda ai fattori che alimentano l’attuale crescita del consenso elettorale verso le liste populiste, si può parlare di un’unica ondata, diversa e ulteriore rispetto alle precedenti che hanno in passato testimoniato l’esistenza del fenomeno. A patto però di distinguere fra partiti populisti e partiti sovranisti, perché le due visioni sono diverse e, anche se possono spingere a convergenze su taluni temi, portano a dividersi e persino ad opporsi su altri. Gli atteggiamenti su temi economici e sociali di formazioni dell’uno e dell’altro tipo si sono già dimostrati divergenti.

Osservatorio Globalizzazione: In fin dei conti, la tesi del populismo come virus della democrazia occidentale cede di fronte alle problematiche delle società contemporanee. Ma il populismo non può essere letto come invito al ritorno del primato della politica? Come può la politica odierna dare risposte concrete in una fase che vede poteri e sovranità sempre più polverizzate in diversi centri decisionali?

Marco Tarchi: Per rimanere al punto precedente, questo concerne più i sovranisti che i populisti. A questi ultimi interessa molto di più che la politica – di cui solitamente hanno un’immagine molto negativa: se lo ritenessero possibile, ne farebbero volentieri a meno, sostituendone le istituzioni con forme di autogoverno – risponda alle necessità, alle aspettative e agli umori del popolo. Quindi ai loro occhi una buona, efficiente e corretta amministrazione sarebbe sufficiente. Certo, non vorrebbero essere governati da poteri finanziari o altri blocchi di potere incontrollabili, ma non penso che chi esprime una vera mentalità populista guardi con favore ad un rafforzamento dei vertici politici: lo stesso forte attaccamento al leader che è tipico dei seguaci dei movimenti populisti è dovuto al fatto che in lui vedono non il capo onnipotente ma un loro ventriloquo, che tale deve rimanere.

 
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Bresciano classe 1994, si è formato studiando alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali della Statale di Milano. Dopo la laurea triennale in Economia e Management nel 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Economics and Political Science nel 2019. Attualmente è analista geopolitico ed economico per "Inside Over" e "Kritica Economica" e svolge attività di ricerca presso il CISINT - Centro Italia di Strategia e Intelligence.

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