Referendum: un “No” in nome della buona politica
Con piacere pubblichiamo questo articolo di Federico Musso, giovane studioso membro del comitato “3 Motivi per il No” attivo nella campagna per il referendum costituzionale del prossimo 20 e 21 settembre. Dopo “NOstra”, dunque, presentiamo un altro gruppo impegnato per opporre alla riforma che taglia il numero dei parlamentari un appello a riscoprire il vero valore della politica.
A pochi giorni dal referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari il risultato appare contendibile. Si tratta di un vero proprio ribaltone delle previsioni iniziali in cui il no era dato nei sondaggi sotto i 10%, schiacciato da anni di antipolitica e dall’indifferenza dei partiti e dei media sul tema.
Questa rimonta è dovuta principalmente a minoranze d’avanguardia che nel Paese – incuranti dei pronostici ma consapevoli delle solide ragioni della contrarietà al taglio del Parlamento – hanno lavorato da subito per far comprendere al popolo la vera posta in gioco. Tra queste, c’è il comitato “3 Motivi per il No”.
I nostri tre motivi sono stati scelti individuando degli argomenti facilmente comprensibili anche da quei cittadini che si sono disinteressati alla politica e che rischiano di costituire una larga fetta dei voti del sì. Se il fronte dei favorevoli ha puntato alla pancia delle persone, è necessario far ragionare il popolo sui pericoli della riforma. Crediamo, parafrasando Manzoni, che sia importante far venire alla luce quel “buon senso” che il “senso comune” ha invece nascosto.
Innanzitutto, la diminuzione a 400 deputati e 200 senatori renderà impossibile un’adeguata rappresentanza territoriale. Le aree interne, le vallate alpine e appenniniche, le isole avrebbero molte difficoltà, soprattutto al Senato (dove permane il limite costituzionale alla ripartizione regionale delle circoscrizioni), a eleggere dei propri rappresentanti. L’effetto sarebbe quello di creare dei cittadini di serie B (i non rappresentati) che diventerebbero i principali destinatari dei tagli dei servizi pubblici. Chi non ha voce è più facile da colpire.
Inoltre, si crea un problema di rappresentanza democratica. Il basso numero dei parlamentari non permetterà alle formazioni politiche minori di entrare in Parlamento oppure avranno delle pattuglie parlamentari molto esigue, incapaci di influire sui lavori parlamentari. Eppure, il Parlamento deve essere il luogo del confronto tra idee e interessi diversi. Lì si forma il consenso per formare il Governo, ma contemporaneamente deve esserci spazio per il dissenso. Infatti, le condizioni affinché esista una democrazia formale sono due: il principio maggioritario (le decisioni sono prese a maggioranza) e la tutela delle minoranze politiche attraverso libertà costituzionalmente tutelate e procedure parlamentari adeguate. Ciò per permettere alla minoranza di oggi di diventare eventualmente maggioranza nel futuro.
Infine, la selezione dei deputati e dei senatori non migliorerà con un taglio dei seggi. Non vedere politici fannulloni o personaggi totalmente inadeguati come candidati nelle liste rimarrà un’illusione. Infatti, la qualità della classe politica dipende dalla struttura e dai meccanismi di selezione interni ai partiti. È un problema da risolvere su un piano diverso.
La scelta di inserirci, fin dal principio, in questa battaglia si basa su due forti convinzioni: la difesa del parlamentarismo e della politica.
È un trentennio che la nostra istituzione assembleare vive un continuo svilimento: abuso della decretazione d’urgenza, numerosi voti di fiducia, perdita di centralità del momento decisionale del Parlamento dettata dalla devoluzione di competenze alle Regioni e da un intervento legislativo dell’Unione Europea sempre più forte. Così, si permette di creare un clima di odio verso l’assemblea basato sull’inutilità (in parte anche reale) del Parlamento. Il Movimento Cinque Stelle, il principale sostenitore del sì, ha raccolto questo sentimento e lo ha candidamente espresso durante la campagna referendaria. Abbiamo assistito alle dichiarazioni dell’On. Tuzi in cui afferma che un numero minore di parlamentari è più controllabile; uno degli argomenti più usati punta sulla maggiore efficienza del Parlamento tagliato perché le discussioni durano troppo con un numero alto di componenti, … Gli esempi sarebbero numerosi.
Ma è la democrazia stessa che va difesa con il no il 20 e il 21 settembre. Sono preoccupanti le dichiarazioni di alcuni sostenitori della riforma che ritengono sbagliata l’indizione del referendum costituzionale in quanto la riforma è stata approvata a larga maggioranza (553 deputati nell’ultima deliberazione; 230 senatori nella terza votazione), dimenticando che l’art. 138 della Costituzione concede a una minoranza motivata di interpellare il popolo sulla legge di revisione costituzionale. Svilire il referendum “oppositivo” che permette al popolo, il titolare della sovranità, di diventare legislatore costituzionale tradisce una sfiducia nelle decisioni popolari. Quale concezione di democrazia hanno in testa gli attuali riformatori costituzionali? I cittadini italiani non vanno trattati da bruti incapaci di votare su una riforma che intaccherà i loro diritti politici.
È fondamentale, allora, schierarsi per il no al taglio della rappresentanza per fermare una deriva anti-politica. Dobbiamo ricordarci di essere cittadini, non consumatori di uno spettacolo politico piuttosto indecente. Facciamo valere i nostri diritti politici – solo il no può difenderli!
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