Cattura e sequestro del carbonio: la tecnologia chiave per l’autonomia energetica
Il risveglio di una coscienza ecologista nell’Occidente, avutosi già da qualche anno ed esploso con il movimento Fridays for Future, capeggiato dall’ormai celeberrima Greta Thunberg, ha trovato interlocutori disposti ad ascoltare le istanze maggiormente critiche nei confronti del proseguimento di molte attività economiche altamente inquinanti. La decisione di legare buona parte degli aiuti europei agli investimenti in campo energetico e logistico per rafforzare la transizione ecologica, in tal senso, è una scelta di merito che solo qualche anno fa nessuno si sarebbe aspettato, nemmeno in un continente storicamente apripista in tema di ambiente come l’Europa. La crisi russo-ucraina ha rivitalizzato il dibattito sull’autonomia energetica del continente e ha portato i governi a valutare di riaprire le vecchie centrali a carbone per ovviare momentaneamente ad un potenziale taglio delle forniture di gas russo. La tecnologia della cattura e del sequestro dell’anidride carbonica potrebbe essere molto utile nel caso di un ritorno momentaneo al carbone per abbattere le emissioni nell’atmosfera.
Il CCS sconta il predominio delle rinnovabili
L’innovazione tecnologica in campo energetico e la lotta alle emissioni climalteranti fanno pienamente parte di questo processo che sta coinvolgendo tutte le economie avanzate. Il passaggio verso un’economia pienamente sostenibile dal punto di vista ambientale si poggia giustappunto su queste due azioni, che dovrebbero muoversi in parallelo per massimizzare l’effetto benefico sull’ambiente, ma che hanno avuto fino ad oggi uno sviluppo asimmetrico. Per ridurre le emissioni di agenti inquinanti nell’atmosfera si è deciso di puntare con decisione sulle fonti di energia rinnovabili, a basso impatto ambientale, le quali, tuttavia, non sono in grado attualmente di occupare del tutto il posto delle fonti fossili nel mix energetico delle principali economie del globo.
L’intermittenza nella generazione di energia delle fonti rinnovabili e la difficoltà di un passaggio radicale da un sistema a prevalenza fossile verso fonti non fossili rappresentano solo alcune delle maggiori sfide alla transizione energetica. Inoltre, alcuni cicli produttivi sono particolarmente inquinanti in sé, basti pensare alla produzione del cemento, quindi appare fondamentale affiancare allo sviluppo di fonti energetiche alternative dei meccanismi di cattura e stoccaggio dei principali agenti inquinanti, tra i quali quello maggiormente emesso è certamente l’anidride carbonica.
La cattura ed il sequestro dell’anidride carbonica, o CCS, è un sistema noto già da alcuni decenni. Si tratta di un meccanismo volto a sottrarre l’anidride carbonica, prima o dopo la combustione di fonti fossili, ed immagazzinarla senza che questa raggiunga l’atmosfera. Per le proprie peculiarità, è il sistema maggiormente adatto al mantenimento di sistemi altrimenti altamente inquinanti, come centrali a carbone o petrolio. Difatti, il CCS applicato post-combustione consentirebbe di mantenere intatte le centrali e di applicare ai fumi in uscita un sistema di cattura dell’anidride carbonica attraverso processi termochimici, sequestrando la Co2 per destinarla ad ulteriori lavorazioni o per stoccarla. I sistemi pre-combustione sottraggono l’anidride carbonica direttamente al combustibile, in modo da procedere ad una combustione che non emetta Co2. Il terzo metodo per catturare e sequestrare anidride carbonica è legato al sistema cosiddetto “Oxyfuel”, realizzato tramite la sostituzione dell’aria in cui avviene la combustione con ossigeno puro, di modo che i fumi emessi siano particolarmente ricchi di Co2 e, pertanto, più facili da catturare. Questi ultimi due sistemi, tuttavia, richiederebbero investimenti in più fasi del processo produttivo che la tecnologia post-combustione, invece, bypassa completamente.
Ciononostante, non è stato mai applicato su larga scala a causa di una serie di criticità che ne hanno rallentato lo sviluppo, con poche decine di esempi su tutto il globo. Innanzitutto, i costi da sostenere sono particolarmente elevati e richiederebbero pesanti incentivi pubblici per rendere sostenibile un investimento in CCS. Sorgono poi questioni legate alla sicurezza dei siti di stoccaggio, che per forza di cose dovrebbero essere dei giacimenti esausti in cui pompare Co2. Sebbene l’immissione di anidride carbonica in giacimenti maturi potrebbe aiutare nell’estrazione degli idrocarburi, si teme che possano esservi fuoriuscite o, addirittura, terremoti indotti causati dall’eccessiva pressione del gas nei giacimenti. Infine, il costo-opportunità di investire nelle tecnologie di CCS sembrerebbe in forte svantaggio rispetto alle tecnologie volte sostituire completamente i combustibili fossili con fonti alternative, vanificandone in parte la convenienza economica.
La cattura ed il sequestro dell’anidride carbonica resta uno strumento di mitigazione, insomma, mentre le fonti rinnovabili eviterebbero gran parte del problema sul nascere. Queste sono le obiezioni sollevate principalmente dai movimenti ecologisti e dagli operatori attivi nel campo delle rinnovabili, timorosi che la tecnologia della cattura e sequestro di Co2 possa essere solo una foglia di fico per nascondere una malcelata voglia di non portare realmente a termine la transizione energetica verso modelli ecosostenibili.
Un’arma in più da saper sfruttare
Il passaggio da un modello economico altamente inquinante ad uno con emissioni zero sembra essere diventato l’obiettivo principale di tutte le maggiori economie del mondo. Questa spinta, che sembra aver assunto dei connotati quasi ideali, non deve portare tuttavia ad uno scollamento da quella che è la realtà. Se l’obiettivo è quello di abbattere le emissioni di Co2 nell’atmosfera si deve sapere che questo è attualmente impossibile. Non sono solo i paesi emergenti ad essere restii a qualsivoglia limitazione in termini di inquinamento, ma anche le economie sviluppate sembrano essere poco pronte per mettere in atto una conversione energetica in chiave ecologica. Innanzitutto, allo stato attuale mancano le tecnologie per farlo, e quelle che ci sono costano molto. Ma soprattutto, i tempi di conversione sono medio – lunghi, mentre applicando meccanismi di CCS si potrebbe agire subito, o quasi.
Se il tema della lotta alle emissioni vuole passare solamente attraverso il ricorso a fonti di energia rinnovabile occorre sapere che queste comportano delle emissioni già nel momento in cui vengono poste in essere. Quanta Co2 si consuma per produrre un pannello solare o per edificare una diga per fini idroelettrici? La Co2 attualmente presente nell’atmosfera e che sta influenzando negativamente il pianeta, basti pensare al cambiamento climatico, come si spera di ridurla? Non basterebbe avere tutto il pianeta ricoperto di foreste per assorbire l’inquinamento emesso finora dalle attività umane.
È certamente vero che il sistema di cattura e sequestro dell’anidride carbonica, da solo, non sia sufficiente per arginare il problema dell’inquinamento atmosferico e della lotta al cambiamento climatico. È altrettanto vero che esiste il rischio che questo meccanismo venga usato come una “coperta di Linus” da parte delle aziende e di alcune economie per giustificare la propria volontà di continuare ad inquinare. Questo non vuol dire, però, che un utilizzo integrato della tecnologia del CCS unitamente ad una generale tendenza verso la riduzione delle emissioni di Co2, da effettuare tramite meccanismi di efficientamento energetico e ricorrendo sempre di più a fonti rinnovabili, non sia una scelta intelligente. Allo stato attuale delle cose è impensabile una riconversione immediata per alcuni pezzi significativi delle nostre economie: il meccanismo del CCS potrebbe permettere a queste attività di non rilasciare inquinamento nell’atmosfera e garantirebbe tempi tecnici adeguati per progettare il passaggio a nuove tecnologie sia produttive sia in campo energetico, in modo da inquinare sempre meno. L’eventualità di una riapertura momentanea delle centrali a carbone sul continente europeo a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina, allo stesso modo, potrebbe essere effettuata in combinazione con l’applicazione di una tecnologia di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica per evitare di immettere Co2 in atmosfera e proseguire nel percorso di transizione ecologica.
Un’integrazione necessaria
La combinazione tra fonti rinnovabili e cattura e sequestro dell’anidride carbonica già esiste e si chiama BECCS: Bioenergy with carbon capture and storage. Questo sistema prevede di applicare il meccanismo di cattura e sequestro di anidride carbonica alle centrali elettriche che funzionano con biomasse. Così facendo, la biomassa assorbe Co2 durante la propria vita, viene poi utilizzata per ricavare elettricità e la quota di anidride carbonica che viene generata in questo processo resta intrappolata in giacimenti o viene utilizzata per ulteriori processi chimici. Si viene a realizzare, pertanto, un’emissione netta negativa di Co2, in quanto da un lato la biomassa agisce come una spugna pulendo l’aria, mentre dall’altro lato a quanto prodotto dalla combustione viene sottratta proprio la Co2, che viene sequestrata. Sebbene ancora poco diffuso, il BECCS è uno degli strumenti in campo per contribuire alla lotta al cambiamento climatico.
È evidente, dunque, come il futuro del CCS sia tutto in divenire, legato soprattutto agli investimenti delle principali imprese attive in settori di difficile conversione. Gli investimenti statali in tale processo appaiono molto meno probabili, concentrando la potenza di fuoco soprattutto sulle rinnovabili, sull’efficientamento energetico e sull’innovazione dei processi produttivi, salvo nel caso di un ritorno forzato, ma momentaneo, al carbone per sopperire ad un blocco del gas russo. Ciononostante, la tecnologia di cattura e sequestro dell’anidride carbonica resta una freccia a disposizione del nostro arco di cui potremo difficilmente privarci se vogliamo realmente contrastare il surriscaldamento globale e perseguire l’autonomia energetica del continente.