Tether, la forza della criptovaluta che sbarca in casa Juventus
“Make Juventus Great Again“. A contrario di quello che si potrebbe immaginare, non è stato Donald Trump a pronunciare questo slogan, bensì Paolo Ardoino, CEO di Tether Limited, che ha recentemente acquisito una quota di minoranza del club bianconero. Le dichiarazioni di Ardoino dimostrano quanto siano forti i legami tra la sua azienda e l’agenda politica americana, un fatto dai risvolti strategici più ampi di quello che potremmo pensare.
La stablecoin emessa dal gruppo, Tether, nota anche come USDT, ha infatti tutto il potenziale per diventare uno degli strumenti utili all’Amministrazione USA per continuare a sostenere l’ingente debito pubblico, il quale ha ormai superato la bellezza di 36 trilioni di dollari. Tether è definita stablecoin poiché il suo valore è ancorato al dollaro USA in un rapporto 1:1, il che implica che per ogni coin creato dalla società ed immesso sul mercato debba corrispondere l’acquisto e la conservazione nelle proprie riserve di 1 dollaro in qualità di collaterale, da parte di Tether Limited. La società dichiara che la stablecoin sia sostenuta al 100% da riserve, rappresentate per lo più, oltre che da contanti, anche da titoli del Tesoro americano, tanto che Tether Limited sarebbe ormai diventato il 13° investitore in Treasuries statunitensi a livello globale. Con 113 miliardi di dollari di Titoli del Tesoro in portafoglio, Tether si posiziona subito dopo l’India (147,8 miliardi di dollari) e l’Arabia Saudita (121,6 miliardi di dollari) come principale finanziatore delle casse pubbliche americane. Non esattamente un soggetto finanziario di secondo livello. Ma Tether sta diventando uno degli attori più rilevanti del panorama globale anche in ambito strategico e geopolitico, considerando che la Cina sta riducendo la propria esposizione ai Treasury e, già nel 2024, il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha messo in guardia sul percorso ormai insostenibile del debito nazionale. In questo scenario, Tether potrebbe contribuire a mantenere stabile la capacità di assorbimento del debito americano da parte del mercato. Inoltre, facilitando transazioni rapide che bypassano il sistema bancario tradizionale potrebbe anche contribuire a rafforzare indirettamente il dollaro come valuta di riferimento globale, concorrendo con progetti di moneta digitale alternativa promossi da Paesi come la Cina o gruppi di Paesi come i BRICS. Ed è proprio su questi punti che i destini di Tether e Trump si incontrano. L’ordine esecutivo firmato dal nuovo Presidente degli Stati Uniti a fine gennaio, per promuovere lo sviluppo di stablecoin sostenute dalla valuta americana, bloccando invece il progresso verso una valuta digitale della banca centrale (CBDC – Central Bank Digital Currency), va esattamente nella direzione di rendere Tether un compratore legittimato e affidabile di debito americano. Non è un caso quindi che una figura chiave dell’amministrazione, come Howard Lutnick, prossimo segretario al Commercio, sia anche il CEO di Cantor Fitzgerald, la cui società detiene una partecipazione significativa in Tether. Lutnick ha di recente definito le stablecoin come “fondamentali per l’economia statunitense”, allineandosi all’agenda Trump.
Tuttavia, permangono criticità importanti. La trasparenza delle riserve di Tether Limited è stata spesso messa in discussione, poiché la società non rilascia bilanci certificati, sollevando più di un dubbio sulla reale portata del contro-valore a garanzia della stablecoin. Inoltre, con 13 miliardi di dollari di profitto nel 2024, Tether potrebbe avviarsi a diventare altrettanto o più redditizia delle più grandi banche d’investimento di Wall Street, nonostante sia gestita da un centinaio di dipendenti. Una forza finanziaria che rende questo soggetto sempre più rilevante anche a livello sistemico. A dispetto del nome però, ciò non significa assolutamente che la moneta sia stabile. È sufficiente ricordare cosa è successo un paio di anni fa con il crollo della stablecoin Terra Luna. Se poi aggiungiamo il fatto che questa società non è quotata in borsa e che la sua sede è registrata nel paradiso fiscale delle crypto di El Salvador, la creatura fondata da Paolo Ardoino e Giancarlo Devasini assume contorni più opachi. Queste incertezze, insieme alle pressioni regolamentari e alla centralizzazione operativa che permette a Tether di bloccare trasferimenti in risposta a richieste normative, evidenziano ulteriori aspetti di questo rapporto tra stablecoin ancorate al dollaro USA e governo americano. Il “Make Juventus Great Again” può quindi sembrare un tentativo quasi buffo di avvicinarsi alle istanze della nuova Amministrazione americana. Analizzata in prospettiva, la dinamica potrebbe però ribaltarsi rappresentando una soluzione innovativa per sostenere il debito pubblico a stelle e strisce che rafforza anche il predominio del dollaro. Tether potrebbe cioè diventare sempre più utile a Trump di quanto lo sia il contrario. Gli Stati Uniti sosterranno le stablecoin su cui hanno un vantaggio competitivo e nelle quali intravedono possibili soluzioni all’enorme problema del debito pubblico. E in questa partita sembrano ben posizionati. Anche se ci sono stablecoin legate ad altre valute come l’euro e il peso filippino, la maggior parte dei token in circolazione sono legati al dollaro USA. L’USDT di Tether e l’USDC di Circle, di gran lunga le più grandi stablecoin, entrambe ancorate al Biglietto Verde, rappresentano quasi il 90% del valore di mercato totale delle stablecoin.
Queste società e i loro coin digitali hanno quindi il potenziale per diventare degli asset strategici di livello pari a multinazionali che operano nel settore dell’Intelligenza Artificiale, dell’Energia e della Difesa? Perché no? Legando il loro destino a quello del debito pubblico americano è chiaro che il governo degli Stati Uniti avrà sempre più interesse a preservarle. Ma non tutto è controllabile, e i nodi che avvolgono le attività di Tether, così come quelle di altre stablecoin, potrebbero prima o poi arrivare al pettine del mercato.