Donald Trump punta sugli operai per riconquistare la Casa Bianca
Le elezioni americane del 2024 sembrano agli occhi di molti un vero e proprio remake di quelle del 2020. I candidati che si sfidano per la permanenza alla Casa Bianca sono gli stessi, certo quattro anni più anziani, eppure l’esito che si sta prefigurando è l’opposto. Davanti a questa previsione che dopo la prima presidenza Trump sembrava implausibile, specialmente in seguito all’attacco a Capitol Hill, una domanda sorge spontanea: come è possibile che il più controverso e da molti definito il più “anti-liberale” presidente degli Stati Uniti d’America stia vincendo (di nuovo) le elezioni nella più antica liberal-democrazia del mondo?
La risposta sembra risiedere nella classe operaia e in tutta quella consistente fetta di popolazione americana non-laureata che costituisce l’elettorato di Donald Trump. Se si considera la politica progressista incentrata sui lavoratori adottata dai democratici nel 20° secolo questa prospettiva appare inverosimile (si pensi al New Deal di Roosevelt). Tuttavia con il cambio di secolo è mutato anche il ruolo della sinistra e della destra. Lo scenario di oggi vede una spaccatura inedita: da una parte vi sono i componenti della sinistra delle élite caratterizzata da ideologie super-progressiste e dalla cultura del politicamente corretto; dall’altra una destra bianca, cristiana, patriottica, composta da lavoratori comuni che si percepiscono fortemente disprezzati dalla controparte acculturata. Carlo Invernizzi, politologo e professore all’università di New York, in un intervento a “Inchieste da Fermo” spiega come “ampi strati della popolazione americana e dei rappresentanti di Trump si sentano umiliati per come avvertono di essere visti dall’establishment o dalle istituzioni politiche”. L’umiliazione crea l’hummus ideale per quella “politica del risentimento” di cui Francis Fukuyama tratta in “Identità” per spiegare eventi considerati “anomali” per le democrazie occidentali come appunto l’elezione di Trump o la Brexit in Gran Bretagna. Il politologo statunitense afferma che determinati leader politici riescono a “mobilitare seguaci attorno alla percezione che la dignità del gruppo sia stata offesa, disprezzata o in altro modo trascurata”. Ecco che l’appoggio a una figura dubbia come Trump diventa gradualmente più comprensibile. Tuttavia, per cogliere a pieno il sostegno verso le proposte radicali del candidato repubblicano non si può altresì dimenticare l’oggettivo impoverimento delle classi medie dovuto alla globalizzazione e alle politiche migratorie sostenute dai liberali democratici. Davanti a questo scenario sfavorevole politiche isolazioniste e anti-migratorie come la chiusura dei confini diventano inevitabilmente allettanti.
Se si continua a osservare con occhi giudicanti il successo della campagna elettorale trumpiana non si potrà mai comprendere come un personaggio che definisce i migranti “animali” possa ricevere così tanto sostegno. È estremamente facile demonizzare in maniera superficiale un intero strato della popolazione, è più complicato tentare di comprendere le motivazioni che si celano dietro a questo sostegno, sintomo di un disagio sociale forte che sta andando sempre più a esasperarsi. Una scelta singola e isolata può venir spiegata in termini di mancanza di senno o impulsi irrazionali, ma quando milioni di individui decidono di sostenere la stessa figura ricorrere all’insensatezza come giustificazione non è più una strada percorribile. In questo momento sarebbe utile rivangare la storia e ricordare come sottovalutare o, ancor peggio, sminuire il risentimento sia sempre stata una scelta perdente se non fatale.