Il futuro di Al Shabaab tra guerra psicologica e scontri di vertice
In Somalia attualmente si sovrappongono svariate criticità che stanno mettendo a dura prova la fragile tenuta delle istituzioni del paese.
Alla siccità prolungata, seguita dalle inondazioni che ciclicamente colpiscono il paese, si sono aggiunte le invasioni di locuste del febbraio 2020, responsabili della distruzione di decine di migliaia di ettari di colture e pascoli.
L’epidemia di Covid ha ulteriormente aggravato il precario equilibrio economico e sociale del paese.
Per quanto nel continente africano per ragioni climatiche, demografiche e di tempestiva risposta al virus, la pandemia sia stata meno letale che in altri continenti, quale sia stato il reale numero di contagiati e di morti in Somalia è difficilmente quantificabile; le capacità di effettuare test diagnostici è ad appannaggio di pochissimi laboratori e l’unico ospedale attrezzato per trattare la malattia è il Martini di Mogasdiscio.
Le stime ufficiali parlano di soli 4579 casi testati e di 121 morti al 08/12/2020 [1], ma non mancano testimonianze che il numero reale di vittime sia significativamente più alto e che la diffusione del virus abbia interessato ampie fasce della popolazione.
Secondo Associated Press ci sarebbero stati picchi di sepolture nei cimiteri della capitale somala nei primi mesi di diffusione del virus e molte famiglie non avrebbero neanche registrato i decessi, provvedendo in proprio alla sepoltura dei propri parenti nel giorno stesso della loro morte.[2]
In un articolo della rivista Foreign Policy si sostiene che il governo centrale abbia avuto un atteggiamento opaco nel diffondere i dati relativi al Covid, specie dopo che le rilevazioni di metà aprile avevano messo in luce un tasso di infezione delle persone testate del 76%.[3]
In questo contesto è interessante vedere quale sia stata la modalità di reazione e di sfruttamento della pandemia da parte della compagine terroristica di AS (Al Shabaab)
In un primo momento AS ha usato la pandemia per attaccare ed aizzare la popolazione contro gli stranieri, in particolar modo nei confronti degli Stati Uniti d’America.
L’antiamericanismo, specie in seguito all’occupazione militare della Somalia in occasione dell’operazione Onu Restore Hope a guida statunitense ed ai bombardamenti dell’aviazione Usa che a tutt’oggi insistono sul paese nelle aree controllate dalla compagine terroristica, è una leva di guerra psicologica alla quale AS ha fatto ampiamente ricorso negli ultimi anni.
Il messaggio trasmesso in una prima fase dalla formazione terroristica attraverso i propri mezzi di propaganda è stato che il Covid fosse una malattia che i “crociati” occidentali avessero deliberatamente introdotto in Somalia per indebolire il paese e poterlo successivamente controllare.[4]
Non è certo la prima volta nel corso della sua storia che AS pone in essere strategie PSYOPS (psychological operations) per cercare di colpire e di indebolire un determinato nemico.
A riprova di queste importanti e consolidate capacità di propaganda e guerra psicologica si può riportare l’episodio del video messaggio del novembre 2019 dell’Emiro di AS, Ahmad “Abu Ubaidah” Umar, rivolto al popolo americano a seguito dei devastanti incendi che avevano colpito la California ciclicamente nel corso degli anni ed alle diverse sparatorie accadute nelle scuole del paese.
Nel video messaggio l’Emiro affermava che l’amministrazione americana sperperasse i soldi dei contribuenti per compiere costose ed inutili operazioni in Somalia ed in altri paesi musulmani, trascurando in patria la sicurezza dei propri cittadini e del proprio patrimonio naturalistico. Nel corso del filmato inoltre rivolgeva un appello al popolo americano perché facesse pressione sui propri governanti per convincerli a non compiere ulteriori atti di ingerenza in paesi musulmani ed a concentrarsi esclusivamente sulle criticità domestiche.[5]
Al di là dell’effettiva ricaduta di un simile messaggio, non si può trascurarne l’ambizione, una certa raffinatezza e la capacità di evidenziare il presunto nesso di causalità tra l’eccessivo interventismo americano ed i ricorrenti problemi irrisolti interni agli Usa.
Dopo questa prima linea di reazione al Coronavirus, As ha parzialmente ribaltato la propria strategia di intervento, aprendo nel mese di giugno del 2020 un centro di cure per i malati di coronavirus a Jilib, nel sud del paese, attrezzato anche con veicoli atti al trasporto dei pazienti ed istituendo una linea telefonica attiva 24 su 24 a cui possono rivolgersi tutte le persone che temano di essere contagiate. [6]
Sia per la linea telefonica che per il centro di cure l’accessibilità non sembra essere riservata esclusivamente ai musulmani. Questo cambio di strategia, oltre a dimostrare le capacità adattive del gruppo davanti all’evolversi delle situazioni, può essere figlio di due differenti aspetti ulteriori.
In primis potrebbe scaturire dal timore che il Covid andasse fuori controllo arrivando a travolgere l’esistenza stessa del gruppo se si fosse dimostrato passivo o incapace di provare a fronteggiare l’epidemia con soluzioni ad hoc nei territori che controlla fisicamente. La seconda motivazione potrebbe risiedere nella volontà del gruppo di uniformarsi maggiormente al messaggio del cofondatore di Al Qaeda, Al Zawahiri , alla quale As è formalmente affiliata, che in un documento di sei pagine della fine di marzo invita tutti, specialmente i cittadini occidentali non musulmani ad approfittare del tempo da passare a casa in conseguenza del virus per studiare l’Islam, che tra i suoi molti meriti avrebbe anche quello di essere da sempre una “hygiene-oriented religion” per le sue prescrizioni dei riti di abluzione, che possono ostacolare la diffusione del virus. All’interno del proprio messaggio Zawahiri invitava alla preghiera ed alle azioni caritatevoli, non menzionando in alcun modo atti violenti o di rappresaglia verso gli infedeli, ai quali rivolgeva un appello volto alla loro conversione.[7]
Questa intensa attività propagandistica e di guerra psicologica coincide con un momento di grossa difficoltà e conflittualità per la leadership dell’organizzazione.
Nonostante la solidità finanziaria del gruppo, certificata di recente da un report dell’Istituto Hiraal, think tank specializzato in analisi sulla sicurezza in Somalia, nel quale si evidenzia che la compagine terroristica sia capace di lucrare circa 15 milioni di dollari al mese dalle sue attività illecite, una cifra uguale alla capacità di raccolta fiscale del governo centrale[8], lo stesso non si può dire per il controllo delle posizioni di vertice di As.
Secondo fonti della Nisa, l’agenzia di intelligence della Somalia, il leader supremo del gruppo Abu Ubaidah avrebbe abdicato in favore del suo vice, Abukar Adan per ragioni di salute. La data effettiva di questo trasferimento di poteri non è certa, ma è presumibile che la transizione sia avvenuta recentemente.[9]
Le condizioni precarie di salute di Ubaidah, afflitto da problemi renali, non sono un mistero da diversi anni [10] e la sua successione si è verificata alla fine di un lungo scontro con altri leader del movimento, che hanno cercato di insidiarne la posizione di comando.
Risalirebbe a febbraio 2020 l’espulsione da As ad opera di Ubaidah di Mahad Karate, che ricopriva importanti ruoli nell’Amniyat, il reparto di intelligence di As ed era uno dei potenziali successori al comando del gruppo e di Bashir Qorgab, alto funzionario dell’organizzazione. Alla base di queste epurazione ci sarebbero contrasti sulla ripartizione delle risorse accumulate dal gruppo terroristico e frizioni sull’attribuzione dei ruoli all’interno dell’organizzazione in base all’appartenenza clanica.
Ad ottobre 2019 risalirebbe la defezione di un altro storico alto funzionario di AS, Zubair Al Muhajir, che avrebbe lasciato le fila della compagine terroristica per motivazioni ideologiche, sostenendo che AS e la sua leadership strumentalizzassero la Sharia, invocandone l’uso solo per mentire ed ingannare le persone.[11]
Storicamente questa non è la prima guerra che ha attraversato le fila del gruppo per il controllo delle posizioni di vertice.
Ben più cruenta fu la repressione del dissenso interno all’organizzazione da parte del precedente leader supremo Ahmed Godane, ucciso in un raid aereo dell’aviazione americana nel settembre del 2014.
La faida interna al gruppo, iniziata nel 2012, ebbe il suo epilogo con una serie di omicidi mirati degli oppositori di Godane, che avevano pubblicamente messo in discussione la sua gestione dell’organizzazione.
Ad eseguire materialmente questi omicidi fu l’Amniyat e sembra che un ruolo determinante nel porre in essere queste purghe fu ricoperto da Abu Ubaidah, destinato da lì a poco a succedere allo stesso Godane.
I primi a cadere sotto i colpi dell’Amnyiat furono l’americano Omar Hammami, uno dei combattenti stranieri più conosciuti a livello internazionale di AS, reo di aver pubblicamente evidenziato con un video sul suo account di Youtube le sue differenti visioni strategiche rispetto a quelle del suo Emiro ed un altro combattente straniero dissidente, Usama al-Britani.
Altri comandanti storici di AS, tra i quali uno dei membri fondatori del gruppo, Ibrahim Al Afghani e l’anziano predicatore Abul Hamid Hashi Olhayi vennero arrestati dall’Amniyat a seguito delle loro critiche sulla leadership del gruppo, sulla gestione dei combattenti stranieri e sull’eccessivo ricorso alla violenza nella repressione del dissenso; in seguito entrambi vennero uccisi in circostante poco chiare.[12]
Riuscì invece a scampare a queste epurazioni un altro storico comandante di di As, Mukthar Robow, che, una volta entrato in rotta di collisione con Godane, per timore di essere ucciso, abbandonò i ranghi dell’organizzazione nel 2013 per poi consegnarsi alle forze di sicurezza somale nel 2017. [13]
[1] https://www.worldometers.info/coronavirus/#countries
[2] https://apnews.com/article/6a267c08b9fdf09a1bdc250330cbed36
[3] https://foreignpolicy.com/2020/05/12/coronavirus-pandemic-somalia-al-shabab/
[4] https://www.bbc.com/news/world-africa-52103799
[5] https://ctc.usma.edu/addressing-enemy-al-shabaabs-psyops-media-warfare/
[6] Cfr: https://www.africarivista.it/somalia-al-shabaab-in-campo-contro-il-covid-19/161287/ e https://www.aljazeera.com/news/2020/6/14/al-shabab-sets-up-coronavirus-treatment-centre-in-somalia
[7] Ferdinando Sanfelice Di Monteforte, Laura Quadarella “Il mondo dopo il Covid-19” Pag. 134-135, Mursia Editore 2020
[8]https://www.nigrizia.it/notizia/i-redditizi-affari-di-al-shabaab
[9]https://jamestown.org/program/al-shabaabs-top-leader-transfers-power-amid-factional-strife/
[10] https://www.huffingtonpost.it/augusto-rubei/al-shabaab-in-cerca-di-un-erede_a_23439849/
[11] https://www.voanews.com/africa/senior-al-shabab-foreign-fighter-defects-somalia
[12] https://ctc.usma.edu/the-life-and-death-of-al-shabab-leader-ahmed-godane/
[13] https://www.nytimes.com/2017/08/13/world/africa/al-shabab-abu-mansoor-mukhtar-robow-somalia.html