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Il “pivot to Asia” degli Usa alla prova della disfatta afghana

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Il “pivot to Asia” degli Usa alla prova della disfatta afghana

Le alleanze degli Stati Uniti in Asia alla prova della disfatta in Afghanistan: reputazione rovinata o nuovo inizio?

Durante una conferenza stampa tenutasi alla Casa Bianca nei giorni immediatamente successivi al disastroso ritiro americano dall’Afghanistan del Ferragosto scorso, il Presidente Biden ha risposto, a domanda precisa, di “non aver visto sollevare questioni di credibilità da nessun alleato degli Stati Uniti in giro per il mondo”[1]. Le decine di dichiarazioni di sconcerto, per non dire di aspra critica, dei leader europei di fronte alla disfatta americana in Afghanistan[2] rendono la natura dell’affermazione di Biden così manifestamente falsa da non richiedere alcun ulteriore verifica. Questo vale per l’Europa. Come hanno reagito, invece, gli alleati asiatici degli Stati Uniti, in primis quelli, come il Giappone, ma anche Singapore e non solo, cui il gigante americano ha parzialmente appaltato il contenimento della Cina, quella stessa Cina, “vero avversario strategico”[3], cui, a detta stessa di Biden, gli USA intendono dedicarsi con ancora maggiore impegno dopo aver abbandonato l’Afghanistan?   

Partiamo dallo storico, e forse più stretto, alleato americano nel Pacifico: il Giappone. La percezione dell’alleato nipponico è, anzitutto, che il caotico, per usare un eufemismo, ritiro americano dall’Afghanistan non sia stato altro che l’ennesima riprova del lento ma inesorabile declino degli Stati Uniti, in termini di reputazione ma non solo, avvenuto negli ultimi due decenni. Per citare un editoriale apparso qualche giorno fa nella versione inglese dell’Asahi Shimbun, il secondo quotidiano più letto del Paese, “il ritiro degli Stati Uniti ha presentato un quadro di ‘sconfitta storica’. […] Inestricabilmente impantanati in guerre per 20 anni, e più recentemente segnati dalle crisi finanziarie e dal ‘Trumpismo’, il prestigio e il potere degli Stati Uniti sono notevolmente diminuiti. […] Il ritiro dall’Afghanistan ha simboleggiato la fine dell’era della potenza senza rivali degli Stati Uniti”[4].

L’innegabile, e ulteriore, perdita di credibilità che la disfatta in Afghanistan ha comportato agli occhi giapponesi va letta, tuttavia, più in profondità. Nelle parole di Hiroyuki Akita, rodato notista del Nikkei, il giornale della Borsa di Tokyo, “il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan ha due significati per l’Indo-Pacifico: uno è uno sviluppo auspicabile, l’altro una fredda realtà. L’aspetto positivo è che Washington concentrerà sempre più le sue forze militari e diplomatiche nella regione, rafforzando gli sforzi per contrastare la Cina”[5]. Da un lato, infatti, alcuni analisti nel Paese del Sol Levante pensano che, malgrado la credibilità americana abbia subito un colpo a breve termine, la decisione di abbandonare l’Afghanistan dia agli Stati Uniti più spazio per focalizzarsi maggiormente sulle questioni indo-pacifiche e, quindi, anche sulla tutela della sicurezza giapponese. C’è, però, un rovescio della medaglia. Il ritiro dall’Afghanistan e, soprattutto, le motivazioni addotte da Biden nei giorni seguenti per giustificarlo, la dicono lunga circa la volontà americana di continuare ad essere il gendarme del mondo. Per citare ancora le parole di Akita, “certe osservazioni fatte da Biden, […] invece che da Trump, mandano agli alleati un segnale ancora più forte. Indipendentemente da chi siede alla Casa Bianca, è improbabile che gli Stati Uniti tollereranno alleati e partner che si limitano a sfruttare la potenza militare americana. Il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia hanno per Washington un’importanza strategica di gran lunga superiore a quella dell’Afghanistan. Sarebbe, tuttavia, un errore per questi Paesi presumere che gli Stati Uniti verranno sempre in loro soccorso, anche quando questi non faranno sforzi sufficienti per difendersi da soli”[6]. La fine della lunga guerra in Afghanistan rappresenta, per gli osservatori nipponici, “un banco di prova per riesaminare il valore dell’alleanza democratica”[7] con gli Stati Uniti. Il caotico, quasi spietato, ritiro statunitense dall’Afghanistan ha acceso nella classe dirigente nipponica la consapevolezza che il nuovo corso significherà una maggiore presenza americana nel Pacifico e, allo stesso tempo, una sua maggiore assenza, in particolar modo quando un potenziale intervento sul campo non coinciderà con un diretto interesse nazionale americano[8].    

Nei giorni che hanno seguito il ritiro americano dall’Afghanistan, le pagine del Nikkei Asia hanno, inoltre, ospitato i pareri di esperti di altri Paesi asiatici che fanno parte della cintura di contenimento americana nei confronti della Cina, come, ad esempio, la Corea del Sud e l’India.

La posizione sudcoreana nei riguardi della vicenda afghana è tutt’altro che univoca e segue, invece, le profonde spaccature già esistenti in seno all’opinione pubblica del Paese. Da un lato, le fazioni più conservatrici, rappresentate politicamente dal partito “Potere dei Nazionali”, malgrado l’inciampo americano in Afghanistan, vedono l’alleanza con gli Stati Uniti come l’unica via praticabile per garantire la sicurezza della Corea del Sud di fronte all’ascesa cinese e alla minaccia nordcoreana. Il candidato presidente de il Potere dei Nazionali, Hong Joon-pyo, ha, infatti, scritto sul suo profilo Facebook di aver visitato e commemorato personalmente la statua del generale MacArthur a Incheon, nei pressi di Seoul, durante i giorni degli avvenimenti in Afghanistan e di stare lavorando a un ulteriore rafforzamento dell’alleanza tra la Corea del Sud e gli Stati Uniti, ad esempio offrendosi di ospitare armi nucleari tattiche americane sul suolo sudcoreano, nella convinzione che questa sia l’unica cosa da fare perché Seoul continui a contare agli occhi di Washington[9]. Dall’altra parte della barricata si colloca, invece, il fronte progressista, capitanato dal Partito Democratico. I Democratici sudcoreani sposano, infatti, una tesi antitetica, ben espressa nelle parole di Song Young-gil, deputato, che ha fatto notare come la vicenda afghana abbia dimostrato che, “per quanto sia importante l’alleanza tra gli Stati Uniti e la Corea, il nostro Paese ha bisogno di dotarsi di una difesa autonoma per proteggersi da solo”[10]. Sott’attacco dei Democratici è, soprattutto, il Wartime Operational Control, un meccanismo per il quale, in tempi di pace, il controllo dell’esercito sudcoreano spetta agli ufficiali del Paese, mentre, una volta scoppiata una guerra, il potere decisionale passa al Comando delle forze alleate USA-Corea, che è guidato dalle forze armate statunitensi[11].   

In maniera del tutto inequivocabile, invece, la posizione dell’India rispetto al ritiro americano dall’Afghanistan è di netta e inappellabile condanna. Tra i Paesi dell’Asia-Pacifico vicini agli Stati Uniti, l’India è senza dubbio quello che più ha da perdere da un Afghanistan senza americani e guidato, invece, dai talebani. In un pezzo dai toni a dir poco infuocati e dal titolo emblematico – “Il fiasco di Biden in Afghanistan è un disastro per l’Asia”[12] – Brahma Chellaney, forse il più celebre geostratega ed esperto di sicurezza internazionale dell’India, fa a pezzi la scelta americana di ritirarsi dall’Afghanistan e la definisce “uno dei più grandi fallimenti di politica estera sotto qualsiasi Presidente degli Stati Uniti dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi”[13]. Certamente influenzato dal momento, Chellaney scrive che “la lezione da trarre dal disastro in Afghanistan di Biden è che, nel momento della verità, gli alleati degli Stati Uniti non possono contare sull’America” e che “il danno alla reputazione e alla credibilità dell’America potrebbe persino significare un cambiamento di paradigma nella geopolitica internazionale”[14]. Questa reazione estrema da parte di Chellaney è presto spiegata: l’ascesa al potere in Afghanistan dei talebani determinerà, nei mesi a venire, un rafforzamento nella regione dell’influenza del Pakistan, principale sponsor dell’organizzazione islamista afghana. Il Pakistan, nemico atavico dell’India, è, a sua volta, il principale alleato della Cina in Asia centrale e questo non potrà significare altro che un accrescimento del potere cinese in un’area così strategica, soprattutto per lo sviluppo delle Vie della Seta. Agli occhi di Delhi, quindi, il ritiro statunitense dall’Afghanistan è stato quanto di più controproducente: nel prossimo futuro, lo scoppio della polveriera afghana costringerà l’India a presidiare con sempre maggiore attenzione i propri confini occidentali dalla ritrovata spavalderia pakistana e dall’avvento di nuove minacce terroristiche, togliendo così risorse al contenimento della Cina, suo principale obiettivo finora. È in questo spirito che Chellaney chiude il suo articolo in maniera quasi profetica, vaticinando che “in nessun luogo le conseguenze dell’errore degli Stati Uniti in Afghanistan saranno più visibili che in Asia, dove una Cina inorgoglita è pronta ad alzare la posta”[15].

Ultimo, ma certamente non per importanza, è il punto di vista di Singapore. Il piccolo Stato del Sud-Est asiatico, stretto per esigenze geografiche, e non solo, tra la Cina e gli Stati Uniti, ha accolto le notizie provenienti dall’Afghanistan in maniera ambivalente, ma complessivamente lucida.

Per fortuna degli Stati Uniti, lo svolgersi della vicenda afghana ha coinciso con la visita, già programmata da tempo, della Vicepresidente Kamala Harris a Singapore. La vice di Biden ha sapientemente utilizzato questa opportunità per ricordare come abbandonare l’Afghanistan sia stata “una scelta giusta e coraggiosa”[16], che permetterà all’America di concentrarsi su propositi migliori, quali la tutela delle sue “partnership a Singapore, nel Sud-Est asiatico e in tutto l’Indo-Pacifico, le quali rappresentano una priorità assoluta per gli Stati Uniti […] e per la sicurezza e la prosperità della nazione americana”[17]. Quest’opera di captatio benevolentiae da parte dell’amministrazione statunitense sembra aver sortito, almeno in parte, gli effetti sperati: nel giorno immediatamente successivo alla visita di Kamala Harris, sulle colonne dello Straits Times, il giornale più autorevole della città-stato e principale interprete delle istanze governative, è apparso un editoriale che metteva in luce come la decisione da parte della Vicepresidente americana di “sottolineare l’impegno a lungo termine dell’amministrazione Biden nella regione dell’Indo-Pacifico, inclusa Singapore” sia stata “significativa e necessaria, visti i colpi alla credibilità americana sulla scia del suo caotico ritiro dall’Afghanistan”[18]. L’editoriale faceva notare, inoltre, che i recenti errori compiuti dall’amministrazione americana in Afghanistan non avrebbero di certo “vanificato l’impegno e le relazioni di lunga data dell’America con l’Asia e l’Indo-Pacifico, costruite fin dalla Seconda Guerra Mondiale. Gli Stati Uniti hanno contribuito a gettare le basi di un ordine internazionale stabile e basato sulle regole nella regione e non solo, in cui i paesi potessero cooperare e competere in modo relativamente pacifico per prosperare insieme”[19].

In parallelo al giudizio piuttosto generoso dell’editoriale sopra citato, lo Straits Times ha ospitato anche interventi più critici o, se non altro, meno apologetici circa il ritiro americano dall’Afghanistan e le sue conseguenze. Chua Mui Hoong, co-redattrice del quotidiano, ad esempio, ha evidenziato come “la lezione da imparare sia quella di non confondere il mito dell’America con la realtà. Volere non significa essere. La concezione che l’America ha di se stessa come faro di democrazia per il mondo e salvatore degli oppressi è un’aspirazione. Mantiene questi standard come ideali da seguire per sé e per le altre società. […] Per i singaporiani che cercano di capire l’America, è importante rendersi conto che, nonostante la sua essenza di Paese liberale e il suo mantello da poliziotto globale, la politica estera americana è dura come la pietra e avvolta nei propri interessi”[20]. Pur ricordando che “le relazioni tra gli Stati Uniti e Singapore poggiano su solide basi e rimangono forti”, Hoong ammonisce i suoi concittadini che, “mentre l’ordine mondiale continua a mutare e l’America si concentra su nuove priorità, dobbiamo rimanere lucidi e realistici sui nostri interessi e su chi siamo come società, e spogliare le nostre menti dei miti e delle belle storie che ci sono state raccontate, su noi stessi e sugli altri”[21].

Sulla stessa scia, specie nella schiettezza dell’analisi, si colloca un altro intervento, quello di Bilahari Kausikan, ambasciatore di lungo corso e già Rappresentante Permanente per Singapore alle Nazioni Unite, noto, non a caso, come il diplomatico “meno diplomatico” di Singapore. Kausikan ricorda come Singapore sia “uno stretto partner degli Stati Uniti, ma non un alleato. Dovremmo quindi prendere le distanze dalle passioni del momento e dare uno sguardo freddo e duro alle implicazioni di ciò che sta accadendo in Afghanistan”[22]. Partendo dalla consapevolezza che “tutte le grandi potenze – la Cina, così come gli Stati Uniti – agiscono in base a calcoli dei propri interessi in cui gli altri paesi sono tatticamente sacrificabili”, Kausikan riconosce “il ruolo vitale degli Stati Uniti nel mantenere la stabilità nella nostra regione. Senza stabilità, noi e altri paesi, Cina inclusa, non potremmo prosperare. Nessun altro paese può svolgere un ruolo simile. Nel nostro stesso interesse, abbiamo quindi consentito alle forze statunitensi di utilizzare alcune delle nostre strutture. Ma non abbiamo mai fatto affidamento sugli Stati Uniti affinché versassero sangue per difenderci”[23]. Kausikan conclude, quindi, rimarcando come la vicenda afghana abbia dimostrato una volta per tutte, se non fosse già chiaro, che “nessuno ci difenderà se non abbiamo la capacità e la volontà politica di difenderci”[24].


[1] Samuels, B. (2021, 20 Agosto). Biden denies allies are questioning US credibility amid Afghanistan withdrawal. The Hill. https://thehill.com/homenews/administration/568780-biden-denies-allies-are-questioning-us-credibility-amid-afghanistan

[2] Lowen, M. (2021, 3 Settembre). Afghanistan crisis: How Europe’s relationship with Joe Biden turned sour. BBC News. https://www.bbc.com/news/world-europe-58416848  

[3] Biden, J. (2021, 16 Agosto). Full Transcript of President Biden’s Remarks on Afghanistan. New York Times. https://www.nytimes.com/2021/08/16/us/politics/biden-taliban-afghanistan-speech.html

[4] The Asahi Shimbun. (2021, 1 Settembre). What lessons can be learned from U.S. defeat in Afghanistan?. https://www.asahi.com/ajw/articles/14430835

[5] Akita, H. (2021, 27 Agosto). As US retreats from policeman role, rest of world pressed to fill void. Nikkei Asia.

https://asia.nikkei.com/Politics/International-relations/Afghanistan-turmoil/As-US-retreats-from-policeman-role-rest-of-world-pressed-to-fill-void

Versione giapponese: Akita, H. (2021, 27 Agosto). 危うい「警察官なき世界」 米アフガン撤収が放つ警告            (Pericoloso “mondo senza poliziotti”, avvertimento dal ritiro dall’Afghanistan). Nikkei. https://www.nikkei.com/article/DGXZQOCD258SU0V20C21A8000000/

[6] Ibid.

[7] Kanno, M. (2021, 31 Agosto). アフガン20年戦争、米国「敗北」 対テロへ試される結束 (“Sconfitta” americana nella guerra dei 20 anni in Afghanistan, l’unità afghana messa alla prova dal terrorismo). Nikkei. https://www.nikkei.com/article/DGXZQOGN310HY0R30C21A8000000/

[8] Nagasawa, T. (2021, 1 Settembre). 米、海外関与の縮小鮮明 同盟国に問われる自助努力 (Stati Uniti, riduzione del coinvolgimento all’estero, sforzi di auto-difesa richiesti agli alleati). Nikkei.

https://www.nikkei.com/article/DGXZQOGM318R30R30C21A8000000/

[9] Suzuki, S. (2021, 3 Settembre). 同盟強化か自主国防か 米軍アフガン撤収の教訓探る韓国 (Rafforzare l’alleanza o l’autodifesa? La Corea del Sud esplora le lezioni dal ritiro delle forze armate statunitensi dall’Afghanistan). Nikkei.

https://www.nikkei.com/article/DGXZQOGM01AEO0R00C21A9000000/

[10] Ibid.

[11] Ibid.

[12] Chellaney, B. (2021, 30 August). Biden’s Afghanistan fiasco is a disaster for Asia. Nikkei Asia. https://asia.nikkei.com/Opinion/Biden-s-Afghanistan-fiasco-is-a-disaster-for-Asia   

[13] Ibid.

[14] Chellaney, B. (2021, 30 August). Biden’s Afghanistan fiasco is a disaster for Asia. Nikkei Asia. https://asia.nikkei.com/Opinion/Biden-s-Afghanistan-fiasco-is-a-disaster-for-Asia   

[15] Ibid.

[16] Harris, K. (2021, 24 Agosto). Remarks by Vice President Harris on the Indo-Pacific Region. Gardens by the Bay, Singapore. https://www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2021/08/24/remarks-by-vice-president-harris-on-the-indo-pacific-region/

[17] Ibid.

[18] The Straits Times. (2021, 25 Agosto). Renewed commitment to stay engaged. https://www.straitstimes.com/opinion/st-editorial/renewed-commitment-to-stay-engaged

[19] Ibid.

[20] Hoong, C. M. (2021, 27 Agosto). How superhero myths do not help superpowers. The Straits Times. https://www.straitstimes.com/opinion/how-superhero-myths-do-not-help-superpowers

[21] Ibid.

[22] Kausikan, B. (2021, 20 Agosto). Afghanistan – hard truths about America’s pullout. The Straits Times. https://www.straitstimes.com/opinion/afghanistan-hard-truths-about-americas-pullout

[23] Ibid.

[24] Ibid.

Milanese, classe 1997, ha conseguito la laurea triennale in Politics and Economics alla Statale di Milano, trascorrendo il suo ultimo anno in scambio presso l'università Waseda di Tokyo. Ha poi ottenuto un doppio master in Affari Europei presso l'università SciencesPo di Parigi e in Public Policy presso la Lee Kuan Yew School of Public Policy (NUS) di Singapore. I suoi interessi includono, tra gli altri, lo studio delle disuguaglianze socio-economiche e dei loro effetti sulle società occidentali e non solo e lo studio dei legami geopolitici tra Oriente e Occidente.

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