Ambiente e difesa: il doppio fronte di Johnson per rilanciare il Regno Unito
Il premier britannico Boris Johnson, a poche ore di distanza, ha fatto due annunci molto importanti.
Il primo è un corposo piano di investimenti verde dal valore di 12 miliardi di sterline di interventi governativi (su una popolazione di circa 67 milioni di persone vuol dire circa 170.000 sterline a testa), più tutta una serie di investimenti privati presumibilmente innescati da agevolazioni e apertura di nuovi mercati.
Il secondo, meno strombazzato, è un piano di riarmo navale molto pesante. Qui parliamo di 16,5 miliardi in quattro anni (sempre con lo stesso calcolo sono circa 240.000 sterline a testa) che dovrebbero mettere a disposizione del Lord Ammiraglio circa venti navi in più, all’avanguardia, e che dovrebbe costituire il secondo commando spaziale ufficiale dopo quello americano.
Insieme questi provvedimenti strutturali dovrebbero creare circa 160.000 posti di lavoro (120.000 green deal + 40.000 riarmo) in settori ad alto valore aggiunto.Che due annunci del genere vengano dati in modo tanto ravvicinato non è, ovviamente, un caso. Il senso iniziale è che, come molti hanno fatto notare, che sia stata una uscita “a destra” o una uscita “a sinistra” la Brexit ha liberato risorse statali.
La Brexit ha resuscitato l’azione statale (in termini di committente principale) anche in stati dove la tradizioni è sempre stata invero quella dello stato parsimonioso, per niente spendaccione.La seconda annotazione, meno evidente, è che riarmo militare e sfera ambientale non sono in contrasto. Questo perchè entrambe, oltre ad avere in comune una soglia di deducibilità a lungo termine, hanno anche la peculiarità di coinvolgere expertise, conoscenze e innovazione tecnologica di alto valore.
Il ruolo di catalizzatore tecnologico dei riarmi e degli sforzi tecnologici connessi sono notissimi e arcistudiati (tanto che molti storici moderni addebitano alla rivoluzione militare cinque-seicentesca il vero ruolo di iniziatrice della rivoluzione scientifica e dell’espansione occidentale moderna e contemporanea), ma col tempo stiamo imparabndo che anche la tecnologia verde, le svolte green producono molte ricadute virtuose in termini tecnologici.
Ne sanno qualcosa Israele, Olanda e altri paesi che, grazie alla attenzione (per motivi materialissimi) ai problemi ambientali hanno poi prodotto tecnologie biologiche e non fortemente all’avanguardia. La Quarta Rivoluzione Industriale, la Bioindustria, originerà anche da questo.
Quindi questo doppio annuncio non ha solo un valore geopolitico (ampio) e economico, per quanto riguarda la prassi e la critica al dogma dello stato defilato. Possiede anche un impatto gravido meno evidente, vale a dire la presa di coscienza che, come nelle precedenti Rivoluzioni Industriali, la sintesi tra Conoscenza, Tecnica e Produttività non può prodursi se non sotto le cure amorevoli dello stato che ha, per definizione, pazienza e lungimiranza.
L’Europa non può competere con la Cina in quantità ed efficienza e non può competere con gli States in termini di innovatività cruda. Può però affrontare le sfide tecnologiche con precisione, raffinatezza e misura, cose relativamente sconosciute altrove. I cinesi han tirato su Shenzen in vent’anni, gli americani hanno conquistato le praterie, ma noi europei domiamo valli, montagne e boschi, ci conviviamo da millenni. Siamo naturalmente inclini a guidare il mondo alla Rivoluzione Verde. Ma per farlo non dobbiamo pensare ne’ in termini mercatistici ne’ in termini miseri, ma avere di fronte almeno un po’ della lungimiranza che, a questo giro, ci insegna Johnson.