L’eredità dimenticata della guerra di Corea
Con piacere vi presentiamo questa conversazione che abbiamo intrattenuto con il professor Gastone Breccia (Livorno, 1962), docente di Storia bizantina presso la Facoltà di Musicologia, sede staccata dell’Università di Pavia, di Cremona e esperto di storia militare, tema su cui ha pubblicato numerosi saggi. Da “I figli di Marte”, che tratta l’evoluzione dell’esercito romano a “L’arte della guerriglia”, sull’omonima forma asimmetrica di conflitto, Breccia ha studiato le guerre del passato prossimo e remoto nel dettaglio. L’ultima sua pubblicazione in materia è “Corea – La guerra dimenticata” (Il Mulino, 2019) dedicato al conflitto sul 38° parallelo che fu “banco di prova” della Guerra Fredda, ma non solo. E proprio di questo conflitto abbiamo voluto discutere con il professor Breccia, che ringraziamo per la disponibilità
Osservatorio Globalizzazione: Professor Breccia, nel suo recente volume “Corea – La guerra dimenticata” lei colma una lacuna molto spesso presente nello studio storico del Novecento: la sottovalutazione del ruolo svolto nel conflitto attorno al Trentottesimo parallelo nell’anticipare scenari geopolitici e militari che si sarebbero trasmessi fino all’attualità. Perché a suo parere la guerra di Corea è stata così a lungo dimenticata?
Gastone Breccia: Ci sono molti motivi. Intanto bisogna premettere che è stata dimenticata solo da noi occidentali: coreani e cinesi la ricordano molto bene… Gli americani l’hanno invece rimossa (in larga misura) dalla loro memoria collettiva prima di tutto perché non l’hanno vinta, e poi perché, come disse il generale Omar Bradley, si trattò di “una guerra sbagliata, al momento sbagliato, nel posto sbagliato e contro il nemico sbagliato”. L’Occidente ha subito, più che scelto, la guerra di Corea: per gli alleati degli USA è stata al massimo “a distant obligation”, “un dovere lontano” (titolo della storia ufficiale britannica del conflitto)… Infine, anche la sua oggettiva, enorme importanza per l’assetto dell’intero Estremo Oriente è stata subito in parte oscurata dalle guerre in Indocina…
Osservatorio Globalizzazione: Quali sono le principali novità riscontrabili nel conflitto coreano?
Gastone Breccia: Gli Stati Uniti, per la prima volta, si sono dovuti rassegnare a non vincere una guerra. La grande novità della Corea, primo conflitto combattuto sotto la minacciosa ombra delle armi atomiche, è stata quella di introdurre nel discorso politico-strategico del XX secolo la variante dell’armistizio al posto della “resa incondizionata” imposta alle potenze sconfitte al termine delle guerre mondiali. Un armistizio faticosamente concluso per l’impossibilità di conquistare la vittoria sul campo a un prezzo accettabile… Poi, naturalmente, ci sono state altre novità che meritano di essere ricordate: in campo militare, si va dal primo duello tra aerei a reazione al sistema “a punti” escogitato dall’esercito americano per regolare l’avvicendamento degli uomini impegnati nel conflitto; in campo politico-diplomatico, dal ruolo (controverso) delle Nazioni Unite a tutela della pace mondiale fino alle difficoltà di stabilire un dialogo con un avversario ideologicamente e culturalmente “alieno”…
Osservatorio Globalizzazione: Formalmente, la guerra di Corea non è mai finita. La geopolitica, l’ideologia e la rivalità militare hanno diviso un popolo in maniera dura e netta. Quali sono i punti di contatto da cui in futuro le due Coree dovranno partire per andare oltre il dialogo a intermittenza degli ultimi anni?
Gastone Breccia: C’è un formidabile punto di contatto, un elemento che finirà per rivelarsi decisivo, ed è lo stesso che ha portato alla riunificazione tedesca: i coreani sono un solo popolo, hanno una sola storia, una sola lingua e una sola cultura; la frontiera attuale non è mai esistita prima del 1945 e non ha alcun senso. Prima o poi, come i tedeschi, finiranno per tornare sotto un unico governo. La superiorità economica del sud è schiacciante; l’isolamento del nord un relitto del passato, sempre più difficile da mantenere inviolato. Certamente la Repubblica Popolare Cinese resta un ostacolo alla riunificazione, come lo è stata l’URSS fino al 1989. Ma le cose cambiano, anche per le grandi potenze.
Osservatorio Globalizzazione: Nel suo lavoro lei non dimentica il ruolo cinese nel conflitto. In che modo il “risveglio” cinese e l’intervento di Pechino in Corea contribuì allo sviluppo della strategia del Paese?
Gastone Breccia: Impossibile dimenticare il ruolo della Cina. La Cina finì per essere non solo uno dei principali protagonisti, ma forse il solo vero vincitore, anche se a prezzo di sacrifici enormi in termini di perdite umane e materiali. La Cina comunista era appena uscita vincitrice, ma esausta, dalla lunga e sanguinosa guerra civile contro i nazionalisti del Kuomintang: riuscire ad affrontare a un solo anno di distanza un nuovo, durissimo conflitto per affermare i propri interessi strategici irrinunciabili – il controllo delle dighe sullo Yalu, e il mantenimento di una “fascia di sicurezza” a sud del fiume a protezione della Manciuria – fu il modo per dimostrare al mondo che era nata una nuova grande potenza. Ancora industrialmente arretrata, armata in modo approssimativo, ma dotata di una spaventosa capacità di mobilitazione, sacrificio e, in prospettiva, di crescita economica. Lo abbiamo capito negli ultimi vent’anni, ma la rinascita cinese inizia con il sangue versato nei tre anni della guerra di Corea.
Osservatorio Globalizzazione: La Corea è oggi linea di faglia tra le potenze che si contendono l’egemonia dell’area pacifica asiatica. Come valuta gli sviluppi degli ultimi due anni? Ritiene possibile la stabilizzazione di un equilibrio sul terreno che implichi l’accettazione dello status di potenza nucleare per Pyongyang?
Gastone Breccia: Domanda per me difficile… perché sono uno storico militare, non un analista. La mia opinione è che il nucleare sia l’unica carta vincente in mano al regime di Pyongyang, che continuerà a giocarla – o meglio a minacciare di giocarla – per mantenersi in vita il più a lungo possibile. Con la protezione a distanza di Pechino, la Corea del Nord resterà in piedi come alleato regionale secondario, perché la vera partita si sta giocando più a sud, nel mar Cinese meridionale, tra la Cina Popolare, Taiwan, le Filippine, Hong Kong (non a caso sconvolta dalle proteste di piazza in questi ultimi mesi), il Vietnam… e la Settima Flotta statunitense.
Osservatorio Globalizzazione: Corea del Sud e, soprattutto, Corea del Nord non dimenticano, nonostante i tentativi di dialogo, che il loro principale rivale rimane sempre il Paese con cui si confrontano allo specchio. Qual è la condizione militare delle due coree? Quali le loro strategie militari?
Gastone Breccia: La Corea del Sud ha un esercito numeroso (450.000 effettivi circa), ottimamente armato e bene addestrato. Benché abbia il problema di una scarsa “profondità strategica” (Seoul è a meno di 40 km dal confine), dal punto di vista convenzionale non deve temere nulla in caso di attacco nemico. Anche perché resta sotto la protezione statunitense. Specularmente, la Corea del Nord sa benissimo di non avere alcuna possibilità offensiva se non l’uso (comunque suicida) delle armi nucleari; la sola carta da giocare potrebbe essere l’uso di commandos infiltrati oltre il 38mo parallelo, ma con azioni del genere non si vince una guerra. Rovesciando il discorso: Pyongyang sa di poter ritardare efficacemente un’avanzata convenzionale nemica, perché ha un esercito numerosissimo – un milione e mezzo di uomini e donne, riservisti compresi – capace di mettere in atto tattiche di guerriglia adatte a difendere il territorio; in più, possiede un deterrente nucleare che potrebbe essere speso in funzione difensiva in maniera devastante. In sostanza, una guerra tra le due Coree sembra da escludere.
Osservatorio Globalizzazione: Il Presidente statunitense Donald Trump e l’omologo cinese Xi Jinping hanno mostrato interessi divergenti nell’approccio alla crisi coreana. Quali sono le sue aspettative sul futuro delle mediazioni diplomatiche riguardanti le Coree dopo l’estromissione dalla Casa Bianca del “falco” del National Security Council John Bolton?
Gastone Breccia: Non esagererei l’importanza di Bolton. Trump, coi suoi modi spicci, vuole concludere un accordo “storico” che risponda alla sua politica di disimpegno isolazionista; XI Jinping non vuole essere trascinato dal suo alleato nordcoreano in una crisi tutto sommato periferica, come dicevo, rispetto al suo orizzonte strategico fondamentale, che è il mar Cinese meridionale. Per questo ci può essere una convergenza di interessi nel risolvere la crisi coreana sulla base di una “entente cordiale” tra Seoul e Pyongyang, che porti gradualmente, negli anni, a una riunificazione (e sostanziale neutralizzazione) della penisola. Ma la guerra economica tra USA e Repubblica Popolare sta ostacolando anche la distensione sul 38mo parallelo…
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