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Lo sciopero degli insegnanti agita la Polonia

   La proposta ufficiale del governo è giunta a fine aprile: 250 zloty, pressapoco 60 euro, di aumento al mese insieme all’obbligo di svolgere novanta minuti in più di didattica frontale la settimana. Quella che è sembrata agli insegnanti una provocazione, ha avuto come effetto il protrarsi degli scioperi, fino a data da stabilirsi, nel comparto della pubblica istruzione in Polonia, cui, per il momento, ha aderito circa il 75% del personale dipendente. Si tratta dello sciopero più lungo e imponente dal 1993, in una fase storica diversa, quella di ventisei anni fa, contraddistinta dagli obiettivi della ricostruzione e della ricerca di un equilibrio all’interno della società fra il blocco di forze post-comuniste, quelle emerse dal processo di disintegrazione del sindacato Solidarnosc e la Chiesa.

Le rivendicazioni dello sciopero degli insegnanti, conclusosi il ventisette aprile, scorso sono di carattere materiale e ideologico, attengono sia agli stipendi e alle condizioni di lavoro del personale scolastico, sia ai programmi d’insegnamento basati sostanzialmente sulla “narrazione nazional-populista” promossa dal partito di governo “Diritto e Giustizia”. In Polonia un insegnante medio delle scuole statali, nella maggior parte dei casi con contratto da precario, percepisce circa 1600 zloty di stipendio mensile: poco meno di 400 euro, con una prospettiva di trattamento pensionistico, dopo 35 anni d’impiego, di nemmeno due terzi di quella cifra. In un Paese ultracattolico come la Polonia, alla domanda: “Chi te lo fa fare a lavorare in queste condizioni?”, la risposta scherzosa da parte di qualche insegnante è: ”Perché voglio andare in paradiso!”.

La competizione tra scuole statali e scuole private.  

Alla condizione indecorosa dal punto di vista del salario degli insegnanti delle scuole statali, si è affiancato negli ultimi anni il fenomeno della crescita del numero di scuole private le cui rette elevate consentono solo a una parte ristretta della popolazione di avervi accesso. L’insegnante della scuola pubblica si trova così progressivamente a dover svolgere il suo lavoro in istituti frequentati da chi non può permettersi un istituto privatoo che sovente vive una condizione di disagio di tipo economico, conseguenza di un mercato del lavoro segnato dalle profonde differenze riguardo alle retribuzioni nei diversi settori, dalla precarietà e dalla costante crescita dell’emigrazione. 

Se nel rapporto del primo trimestre del 2019 la Polonia ha visto crescere il suo Pil del 4,3%, a fronte di una disoccupazione di circa il 6,1%, numerose sono le giovani famiglie polacche che decidono di espatriare, malgrado la Brexit, soprattutto verso la Gran Bretagna, per svolgere lavori sottoqualificati rispetto alla propria formazione e, pur tuttavia, spinti dalla prospettiva di accumulare un gruzzolo da investire in patria una volta ritornati dopo molti anni. La differenziazione tra scuole d’élite e scuole popolari, nelle quali l’insegnante si trova a svolgere spesso un ruolo di assistente o mediatore sociale, si accompagna alla riforma dell’università voluta dall’ala liberale del partito di “Diritto e giustizia”. 

La contestata riforma universitaria

La riforma universitaria prevede l’introduzione di rigidi criteri di valutazione degli atenei tali da determinare una profonda spaccatura nella vita universitaria tra gli atenei di eccellenza, tre o quattro concentrati nella parte nord e occidentale del Paese, e le altre università ridotte a “alte scuole di formazione” i cui finanziamenti per la ricerca, per il rilascio dei titoli accademici e per la promozione culturale del territorio sono drasticamente ridotti a favore degli atenei maggiormente rappresentativi. La riforma dell’università rappresenta una curiosa imitazione del sistema statunitense, voluta da chi è mosso dall’obiettivo di far raggiungere presto alla “cultura e alla scienza della nazione” i livelli e il prestigio degli atenei più rinomati al mondo. 

Oltre a quello che sembra essere un miscuglio di megalomania e provincialismo, la causa della riforma della formazione universitaria e della condizione di sofferenza degli insegnanti nel Paese sulla Vistola ha un carattere maggiormente prosaico: la volontà da parte del governo di ridurre gli investimenti in un settore nel quale la percentuale dei sostenitori delle politiche nazional-populiste, e del governo in carica, è minoritaria.

Braccio di ferro sulla storia

Accanto ai motivi di carattere materiale, lo sciopero della scuola ha riguardato i programmi d’insegnamento, in particolare della storia. Fra gli obiettivi del partito di governo, vi è quello di introdurre nelle scuole una versione, perlopiù propagandistica, della storia recente della Polonia corrispondente alla linea politica nella compagine nazionalista e populista al potere, in particolare del suo incontrastato leader Jarosław Kaczynski. 

Nella versione filo-governativa della storia polacca, la nazione è rappresentata, almeno da 200 anni a questa parte, come vittima delle congiure, dei tradimenti e dei cambi di fronte delle potenze statali ed economiche straniere. Fin dalla scuola materna ai bambini sono insegnati i canti dei soldati polacchi e le date delle numerose sconfitte patite per salvaguardare i confini dello Stato e difendere l’identità nazionale nel corso dell’età moderna.

La cultura occidentale è definita in alcuni ambienti, come quello della potente Radio Maria, la sintesi dei valori antinazionali, riassunti nella formula grottesca del “liberal-socialismo marxista e massonico”. E’ di circa un mese fa la notizia di un rogo di libri considerati, da alcuni sacerdoti insieme con i loro allievi in un seminario vicino a Danzica, una minaccia dell’identità nazionale e portatori di messaggi dietro i quali si celerebbe nientemeno che il diavolo. Nella rappresentazione nazional-populista, il cui codice comunicativo principale é la distinzione tra “noi” e “loro”, vale a dire l’individuazione del nemico esterno e interno della nazione- e dell’autentico depositario del suo spirito: il popolo- diversi sono i riferimenti all’ebreo quale “elemento esterno” che non condivide la fede religiosa dei polacchi e, nel corso della storia degli ultimi due secoli, ha perfidamente giocato un ruolo a favore delle élite internazionali e contro gli interessi della Polonia. In una situazione come quella descritta, l’insegnante diventa un funzionario dello Stato il cui compito è trasmettere ai discepoli alcune ”verità” propagandate dai nazionalisti.

Le problematiche della Polonia

      Il miracolo economico sulla Vistola, che fa gonfiare il petto delle classi agiate nel Paese, è spiegabile in base ad alcuni fattori macroeconomici: le rimesse degli emigrati all’estero, circa otto milioni su una popolazione di trentotto; i fondi europei, su cui si basa la maggior parte delle voci d’investimento del bilancio pubblico, le tasse contenute e, in generale, un sistema fiscale a favore delle imprese, grazie a stipendi, soprattutto nel comparto pubblico, molto al di sotto della media europea; la valuta nazionale che, nella proposta di alcuni parlamentari del partito di “Diritto e giustizia” di qualche giorno fa, non potrà in avvenire essere sostituita dall’euro.

In un contesto nel quale la redistribuzione delle risorse accumulate è quasi inesistente, a petto di un incremento notevole della crescita dell’economia, in Polonia si assiste all’approfondirsi del divario tra le classi sociali e fra la parte occidentale del paese, la “Polonia B”, e la parte orientale, la “Polonia A”. 

Lo sciopero degli insegnanti, largo e sostenuto da diversi settori dell’opinione pubblica, pare scoperchiare una montagna d’ipocrisia a beneficio dei più fortunati nella corsa all’arricchimento realizzata dopo il 1989, non solo in Polonia ma anche in tutta l’area di quelli che una volta si definivano Paesi postcomunisti. “Diritto e giustizia” intanto viaggia intorno al 40% dei consensi seguito, con una percentuale che varia intorno al 30%, dall’altro partito di destra, d’ispirazione liberale ed europeista, il cui massimo rappresentante è Donald Tusk, il Presidente del Consiglio Europeo. Segue, ma con percentuali del tutto minoritarie, la coalizione di sinistra “Wiosna” (Primavera), capeggiata da Robert Biedron, ex parlamentare ed ex amministratore locale, dichiaratamente omosessuale, il quale ha recentemente affermato che nella formazione del programma della sua lista bisogna dar peso al popolo della Rete ed evocare quelle parole che “sono maggiormente frequenti nei dibattiti sui social”. 

Non si è fatta sentire la voce di Biedron rispetto allo sciopero degli insegnanti. Al contrario, il leader di Wiosna ha dichiarato che la vittoria in Ucraina alla carica di Presidente del comico Zelenskji rappresenta “una svolta verso il futuro”. Nelle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento nazionale, la sinistra rischia ancora una volta di rimanere fuori “dalla stanza dei bottoni” e mandare al Sejmun gruppo di deputati che verosimilmente daranno vita, nel giro di breve tempo e per l’ennesima volta, a un’altra formazione politica dal profilo imprecisato. Un altro partito liquido, per usare una definizione del grande sociologo polacco Bauman, lontano dal rappresentare gli svantaggiati e gli esclusi dai benefici del progetto neoliberale realizzato in Polonia negli ultimi trent’anni.

Daniele Stasi è professore associato di storia delle dottrine politiche presso l’Università di Foggia e presso l’Università di Rzeszòw, in Polonia. Ha pubblicato “Le origini del nazionalismo in Polonia” (Francoangeli) 2018.

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