“Politicamente corretto” e realismo storico: i casi del Che e della Resistenza
Una delle caratteristiche della propaganda -soprattutto quella del politicamente corretto -è la capacità di porre in essere un’ampia quanto capillare mistificazione della realtà. Fra le parole bandite perché considerate antidemocratiche e portatrici di intolleranza e fanatismo vi è la parola violenza. Parola questa rigettata per esempio con sdegno sia da coloro che sono persuasi che il Che fosse una sorta di incarnazione di Cristo sia da parte di coloro che sono persuasi che la nostra costituzione nulla abbia a che fare con la violenza . Quest’ultimi sono convinti -e lo dico con voluta ironia-che la nostra costituzione sia nata non dal tributo di sangue versato dai partigiani e e dai soldati anglo -americani ma sia stata la conseguenza di un costruttivo quanto pacifico dialogo filosofico ispirato ai dettami della dialettica platonica (costruito naturalmente grazie al contributo della Gestapo e delle Ss molto attente alle sottigliezze speculative!).
E allora rivolgiamo la nostra attenzione sia a Ernesto Che Guevara che alla resistenza partigiana.
Giunto al potere insieme a Fidel Castro nel 1959 e conosciuto dagli specialisti di storia della guerriglia come un interessante teorico della guerriglia -anche se certo non allo stesso livello teorico di Lenin e Mao- era persuaso che la vittoria contro il nemico capitalista potesse essere conseguita solo attraverso la propaganda armata cioè fatta dai combattimenti vinti o perduti, contro nemici così come era convinto che i guerriglieri dovessero essere animati dall’odio.
Infatti per il Che l’odio era un importante fattore di lotta, un odio che doveva essere intransigente verso il nemico che consente di spingere il guerrigliero oltre i limiti naturali trasformandolo in un efficace quanto violenta e selettiva macchina per uccidere. Un popolo infatti senza odio non può trionfare sul nemico brutale.
Con altrettanta durezza il rivoluzionario affermerà che la la guerriglia deve essere condotta nella casa del nemico , nei suoi luoghi di divertimento, affinché questa offensiva sia totale. È necessario che il guerrigliero infatti impedisca al suo nemico di avere un attimo di tranquillità, un attimo di respiro per poterlo attaccare dentro e fuori le caserme, in qualunque luogo si trovi dandogli dunque la sensazione di essere una belva braccata. Ed è proprio in questo contesto teorico e pratico che si deve collocare anche la guerriglia posta in essere per esempio dai Gap partigiani durante la resistenza antifascista e antinazista.
La violenza rivoluzionaria -e controrivoluzionaria come quella dei regimi di Franco ,Pinochet o di Videla -ha sempre caratterizzato la storia dell’umanità indipendentemente dalle motivazioni ideologiche che l’hanno animata.Dimenticare quanto rilevante sia stata la violenza nella storia dell’umanità – sia per edificare stati che per abbatterli -significa semplicemente negare una realtà macroscopica. Nella storia -complessivamente intesa -la vita umana non è stata mai un valore sacro ma al contrario sacrificabile sull’altare di interessi politici, religiosi, etnici ed economici. La realtà storica si è mossa in una direzione contraria rispetto a quella auspicata da Kant nel Progetto per la Pace perpetua .
Dicevamo all’inizio del nostro articolo della resistenza.A tale proposito è necessario sottolineare il ruolo determinante che ebbero le azioni terroristiche durante la resistenza antifascista e antinazista per esempio da parte dei gruppi di azione patriottica. Questi gruppi erano composti da pochi uomini il cui compito era di intraprendere azioni terroristiche contro i nemici e i traditori,attraverso azioni di sabotaggio contro le vie di comunicazione e i depositi del nemico. Infatti- dal punto di vista strettamente storico -le azioni terroristiche si richiamavano al periodo giacobino. Queste azioni devono essere condotte da piccoli nuclei i quali devono assestare un colpo rapido e duro al nemico quando meno se l’aspetta per poi ritirarsi rapidamente. In questo contesto di guerriglia i combattenti devono avere come obiettivo quello di ostacolare i movimenti dell’avversario, bloccando strade e ferrovie, sabotando aeroporti, porti ,basi navali fino a distruggere stazioni radio, telefoniche telegrafiche. Insomma l’obiettivo è quello di mettere l’avversario di fronte a situazioni tattiche sconcertanti, tale da ingenerare incertezza, produrre panico e causare forti perdite di uomini e mezzi. L’azione della guerriglia deve insomma tenere l’avversario costantemente sotto una minaccia immanente e inafferrabile: proprio per questo fare scoppiare una bomba in una caserma o in un comando militare determina panico e terrore presso l’avversario.
Anche se ciò potrebbe risultare assolutamente banale dal punto di vista storico è tuttavia necessario sottolineare che lo spirito evangelico o il pacifismo ispirato alle riflessioni di Aldo Capitini e di Gandhi non ha certo ispirato le riflessioni e le azioni poste in essere dai rivoluzionari come Lenin ,Trockij, Mao, Giap ,il Che o dal nostro Pietro Secchia. Il lettore disinibito dirà che queste sono osservazioni assolutamente banali.Eppure è proprio questo il messaggio che viene fatto passare da numerosi insegnanti progressisti che accuratamente evitano di ricordare ai loro discenti che la rivoluzione-soprattutto quella di ispirazione giacobina, marxista-leninista,maoista –non è stata un pranzo di gala ma un atto di violenza.
La nostra costituzione è stata dunque possibile anche grazie alla violenza terroristica e guerrigliera attuata dai partigiani in collaborazione-spesso conflittuale-con i servizi segreti americani (Oss) e inglesi (Soe).
Ebbene -sull’altare del politicamente corretto ampiamente divulgato dal mondo della scuola italiana – vengono sacrificate (per non turbare la sensibilità degli adolescenti ) le verità storiche più evidenti e plateali. Un processo questo devastante sul piano della conoscenza tanto quanto quello attuato dalla cancel culture . Invece di disperdere tempo e risorse a inseguire le assurdità della pedagogia della competenza, delle classi rovesciate e di altre amenità psicopedagogiche che hanno devastato -e stanno devastando -la nostra scuola dovrebbe porre al centro della sua riflessione uno studio serio, sistematico e approfondito dei contenuti e delle conoscenze.
Bibliografia
AA.VV, La guerriglia in Italia documenti della resistenza militare italiana, Milano, Feltrinelli, 1969
Ernesto Guevara,Guerre per bande, Milano, Mondadori, 2005