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L’incessante insorgenza dello Stato islamico in Iraq

Stato islamico

L’incessante insorgenza dello Stato islamico in Iraq

Sebbene l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump dichiarò definitivamente vittoria sullo Stato islamico sul finire del 2018, fin da subito quasi nessuno riuscì a credergli. Masrour Barzani, presidente della regione autonoma del Kurdistan, dichiarò agli inizi del 2020 che l’azione dell’ISIS è pressoché intatta. Secondo Barzani infatti, nonostante i militanti del gruppo abbiano perso nell’ottobre del 2019 il loro leader, Abu Bakr al – Baghdadi, essi possono ancora disporre di circa 20,000 combattenti sul territorio iracheno. Una tesi simile è sostenuta dal Dipartimento della Difesa americano, il quale nel report dell’Lead Inspector General sullo stato dell’arte dei risultati ottenuti dalla coalizione internazionale a guida statunitense, allerta le autorità congressuali sulla particolare capacità di resilienza di Daesh.

Come riportato dal team di monitoraggio delle Nazioni Unite al Consiglio di sicurezza dell’ONU, l’ISIS ha iniziato a riorganizzare le sue forze anche pianificando la fuga dei propri combattenti dalle strutture di detenzione irachene e siriane. Il vuoto di sicurezza che si è formato, soprattutto nei territori prossimi al confine occidentale tra i due paesi, semplifica l’agilità di movimento dei foreign fighters, i quali hanno la possibilità di contribuire massicciamente ad una possibile ricostruzione dello Stato Islamico. Rimane pertanto da verificare la saggezza della scelta dell’Amministrazione americana di ridurre a 2,500 il numero delle truppe statunitensi sul territorio iracheno.

La NATO, attraverso l’azione dei suoi trenta stati membri, continua comunque con le operazioni di addestramento delle forze locali con un numero pari a 4,000 unità di personale.

Durante i primi mesi del 2020, l’ISIS ha lanciato operazioni contro forze di sicurezza e civili utilizzando armi leggere, ordigni esplosivi improvvisati (IED – Improvised Explosive Devices) e mortai. L’organizzazione ha sfruttato i vantaggi strategici offerti dalla morfologia territoriale irachena costituita in gran parte da montagne e deserti, soprattutto nelle province centrali e settentrionali come Anbar, Baghdad, Diyala, Kirkuk, Ninewa e Salah al-Din.

Il nove marzo 2020 le forze speciali irachene hanno condotto un’operazione aerea contro l’ISIS, dove sono rimasti uccisi due soldati statunitensi che operavano a supporto delle forze governative locali. Un paio di mesi prima, precisamente dieci giorni dopo l’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani registrata a Baghdad il tre gennaio, gli insorti hanno portato a termine un attacco nei confronti di un checkpoint iracheno vicino al confine siriano, provocando la morte di un soldato e ferendone altri quattro.

Nella seconda parte dell’anno, lo Stato islamico ha continuato a condurre un’insorgenza di basso livello, incentrata principalmente sulle aree rurali. Il gruppo ha portato a compimento diversi raid soprattutto nelle province centrali di Diyala e Salah al – Din, dove il numero di attacchi ha raggiunto il picco di 119 solamente nel periodo tra luglio e settembre.

La Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti sta cercando di contrastare il crescente picco di violenza che ha coinvolto l’Iraq per tutto il 2020: sono infatti 556 gli attacchi attribuiti all’ISIS solamente nel primo trimestre dell’anno.

La strategia adottata dalla Coalizione include l’uccisione o la cattura di combattenti, l’interruzione del flusso finanziario al gruppo e la limitazione della libertà di movimento dei combattenti stranieri da e verso l’Iraq e la Siria. Essa è determinata inoltre a rafforzare la sicurezza nei campi di prigionia e nelle carceri, fornendo altresì stabilizzazione e assistenza umanitaria alle aree liberate.

A livello internazionale, l’ISIS riesce ancora ad esercitare un certo fascino attraverso campagne di propaganda veicolate sui social media e piattaforme online più o meno occulte. A livello locale invece, l’organizzazione tenta di guadagnarsi il favore della popolazione sunnita con una forte propaganda antisciita, specialmente nei confronti del governo centrale di Baghdad. Perso il controllo sui territori siriani e conseguentemente sul petrolio ed i ricavi derivati da esso, il gruppo si finanzia principalmente mediante estorsioni e contrabbando locale.

Il portavoce del Ministro della Difesa iracheno, Yehia Rasool, ha affermato che il governo può gestire autonomamente la minaccia dell’ISIL, nonostante il ritiro quasi completo delle forze statunitensi. D’altro canto, diversi osservatori mettono in discussione la reale capacità di controllo del territorio e di antiterrorismo del governo locale. Dal momento che gli Stati Uniti con la presidenza Trump si sono concentrati maggiormente a tenere lontano l’Iran dal paese ed a limitare qualsivoglia ambizione iraniana nella regione, lo Stato Islamico potrebbe sfruttare le frizioni presenti a livello internazionale e la debolezza intrinseca delle istituzioni irachene a proprio favore per dare avvio ad un tentativo di ricostituzione dello stato territoriale con la celebre caduta di Mosul nel giugno 2014.

Sul fronte statunitense, il Presidente Biden ha più volte espresso in campagna elettorale la sua determinazione a fermare per sempre le guerre in Medio Oriente. Ciò nonostante, egli ha comunque manifestato la necessità di disporre di un piccolo numero di truppe sul territorio, perlopiù dedite ad operazioni speciali e di supporto alle forze governative, preservando al contempo gli interessi americani nell’area.

Biden ha più volte dimostrato una certa abilità diplomatica nella sua lunga carriera politica, la quale potrebbe tornare decisamente utile per ristabilire una chiara leadership a stelle e strisce nella regione attraverso il rafforzamento delle relazioni con i suoi alleati, Arabia Saudita e Israele in primis.

L’Iraq è costantemente esposto al rischio che i territori sunniti possano esplodere in un’insurrezione collettiva nei confronti delle istituzioni governative a guida sciita, susseguitesi una dopo l’altra a seguito dell’intervento militare americano. È pertanto necessario che il governo iracheno ponderi le proprie scelte, valutando politiche equilibrate al fine di non scontentare troppo la parte di paese sunnita, la quale potrebbe supportare l’azione dello Stato islamico. Dopotutto, sradicare organizzazioni come ISIS è problematico poiché la popolazione ne è allo stesso tempo intimidita e affascinata: una dialettica tipica degli scenari d’insorgenza che gli americani avrebbero dovuto imparare da tempo.

Studente laureando in in Scienze Strategiche e della Sicurezza presso il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell'Esercito Italiano e Università di Torino. Nei miei studi mi sono interessato molto di Medio Oriente, di Iraq, di Stato Islamico e di controinsorgenza.

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