La forza di ricominciare: Sami Modiano, un eroe moderno
La voce rauca, quasi metallica, lascia facilmente immaginare un uomo temprato e indurito dalle vicissitudini della vita; una vita, la sua, che ha senz’altro dell’eroico o del miracoloso, a seconda dei vari punti di vista con i quali ci si rapporta a quanto vissuto e patito da quest’uomo.
Un uomo figlio di un’altra generazione, ovviamente; una generazione lontana anni luce da quella odierna plasmata dal benessere. Sami Modiano, sopravvissuto agli orrori di Birkenau, è attivo testimone della Shoah e nella piena consapevolezza di rivestire un ruolo “sacrale”, tanto nei confronti della memoria storica quanto nei confronti di chi, non altrettanto fortunato, non ce l’hanno fatta, risponde al telefono con ammirevole fermezza, quasi si trattasse di una missione, la sua, dando inizio a un intervento che progressivamente assume i contorni di una bellissima pagina di scuola.
L’incontro si svolge il primo giorno del mese di febbraio di quest’anno scolastico, nell’Aula Magna del liceo classico “Bruno Vinci” di Nicotera, nella provincia di Vibo Valentia, e chiude diverse giornate dedicate al tema della Shoah. Protagonisti sono gli studenti delle quinte classi, i quali, fin da subito, dimostrano una certa dimestichezza con questo tipo di eventi, segno evidente dell’ottimo lavoro svolto da dirigente e docenti in questi ultimi anni.
Sami Modiano, senza troppi preamboli e con la naturale schiettezza di chi è abituato a dire quello che pensa o di chi, al contrario, non è affatto abituato alle formalità, chiede agli alunni di prendere parola e iniziare a rivolgergli delle domande. L’interessante dibattito che ne segue ripercorre fedelmente la narrazione degli eventi che egli espone nel testo, edito dalla casa editrice BUR Rizzoli, “Per questo ho vissuto”, il cui sottotitolo “La mia vita ad Auschwitz-Birkenau e altri esili”, al lettore più attento, risulta essere già particolarmente indicativo circa l’odissea vissuta dal protagonista.
Nel testo, infatti, l’autore non si limita a riportate l’esperienza del campo di sterminio, ma ripercorre, una dopo l’altra, tutte le dolorose tappe di quella che può, senz’altro, definirsi un’adolescenza bruciata, caratterizzata dall’umiliazione delle discriminazioni operate dalle leggi razziali, dal costante confronto con lo spettro della morte e, soprattutto, da una precoce lotta per la sopravvivenza, che piomba addosso all’autore, con tutta la ferocia del caso, quasi come un fulmine a ciel sereno, privandolo progressivamente di tutti i suoi punti di riferimento.
La bellissima isola di Rodi (definita, non a caso, “isola delle rose”) è il suo luogo natio, il luogo di un’infanzia trascorsa tra la comunità ebraica di appartenenza, la scuola e la famiglia; un’infanzia improvvisamente interrotta dalle incomprensibili leggi razziali.
«Ancora oggi, quando vado nelle scuole a parlare con i ragazzi, sottolineo il fatto che devono capire che il Samuel Modiano che oggi parla a loro si è fermato alla terza elementare, dunque non ha una cultura, mentre loro potranno proseguire negli studi, andranno all’università. Tutto quello che ho imparato, l’ho raccolto dalle esperienze della vita, ma la mia cultura è una cosa da niente. Quel giorno ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo».
L’introduzione delle leggi razziali segna l’inizio di una serie di tragici eventi che colpiscono duramente la comunità ebraica dell’isola e conducono Sami Modiano e la sua famiglia nell’inferno di Auschwitz-Birkenau. Il lungo viaggio, dalla Grecia alla Polonia, è vissuto nell’inconsapevolezza di quello che sarebbe successo, quasi come se la punizione peggiore fosse proprio il viaggio, durante il quale stenti, privazioni di ogni genere e indescrivibili condizioni igieniche operano già una spietata selezione naturale, parte integrante di un disegno diabolico più grande; la paura di possibili rappresaglie, poi, rende inconcepibile qualsiasi piano o tentativo di resistenza, sintetizzando molto bene il dramma della Shoah.
«Tutti ignoravamo la nostra destinazione, pensavamo solo di andare a lavorare, ma non di andare in Germania o in Polonia. Eravamo ancora aggrappati alla speranza che l’incubo sarebbe finito, che quel viaggio sarebbe stato l’ultimo sacrificio e ben presto tutto sarebbe andato meglio. Ma quello che ci bloccava era soprattutto il terrore di possibili rappresaglie: se qualche giovane avesse tentato una qualsiasi forma di resistenza, allora i tedeschi se la sarebbero presa prima di tutto con i componenti della sua famiglia. Chi può permettersi di mettere in pericolo la vita della propria madre, nonna, sorella? Noi no di certo, ma oggi non so dire se abbiamo fatto bene, perché oggi so cosa ci sarebbe successo alla fine di quel viaggio».
La fine del viaggio coincide con l’inimmaginabile: la spietata realtà del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e tutte le sue dinamiche. Ed è proprio in questo contesto che si consuma il dramma più grande: la dissoluzione della sua famiglia, che prende le mosse dalle iniziali operazioni di separazione e selezione dei gruppi, svolte sulla rampa di Birkenau, e si ultima con la morte del padre e dell’amata sorella Lucia.
«Mio papà aveva capito subito che ci stavano separando, allora ci teneva stretti stretti. Ma i tedeschi vennero e cercarono subito di strappare mia sorella Lucia dalle mani di mio padre, che la difendeva con tutte le sue forze. Lo presero a calci e a pugni, finché, poverino, dovette cederla. Non poteva fare altrimenti, non c’era altra possibilità. Io non riuscì a dire niente a Lucia, l’abbracciai, mi abbracciava… Fu uno strappo, un dolore vedere mio papà, poverino… fare tutto quel che poteva, ma invano».
Anche nel corso del suo intervento telefonico, parlando del padre e della sorella Lucia, il tono di voce cambia, e Sami Modiano, lasciandosi tradire dalle emozioni, piange, mentre cerca di dare delle risposte a tragici eventi, evidentemente destinati a sfuggire a una piena comprensione razionale. «Non avevano alcun diritto di fare quello che hanno fatto!» afferma, ancora in lacrime, prima di ricomporsi e riprendere il dialogo con gli studenti. Questa frase, apparentemente scontata, in realtà, esprime molto bene il senso di impotenza di quanti sono stati toccati dalla ferocia del nazifascismo, spogliati della loro umanità e ridotti, infine, dal delirio scientista di onnipotenza, a categorie “sub-umane”. La vita di Sami Modiano rappresenta uno straordinario esempio di resilienza, soprattutto per le generazioni più giovani. A Birkenau deve dire addio al padre, il quale, ormai sfinito e consapevole della sua sorte, gli strappa un’ultima promessa.
«Io mi sedetti accanto e lui, tenendomi stretto, mi disse che il giorno seguente non l’avrei trovato lì, ma che sarebbe andato all’ambulatorio. Sapevo benissimo cosa significava andare all’ambulatorio: voleva dire andare dritti alla camera a gas. […] Mi accarezzò e mi baciò più volte. Infine mi posò le mani sulla testa e mi diede la sua Berachah. Aveva deciso di farla finita. Lo pregai un’ultima volta di non andare, ma lui disse solo: “Sami, non ti devi preoccupare per me. Sami, tu mi devi promettere di tener duro, perché tu ce la farai”. Se ne andò anche lui. Erano i primi di ottobre. Mia sorella Lucia e mio padre se n’erano andati quasi insieme. Non avevo più nessuno».
E solo rimane nell’inferno di Birkenau. Qui affronta prove su prove, la sua fede in Dio vacilla nei momenti più drammatici, ma, alla fine, riesce a mantenere la promessa fatta, uscendo vivo da Birkenau, anche grazie a un po’ di fortuna, come quando viene miracolosamente salvato da due prigionieri durante il macabro rituale delle todesmärsche, le marce della morte, ossia i trasferimenti dei prigionieri dei lager, dalla Polonia verso altri campi più a occidente, di fronte all’avanzata delle forze dell’Armata Rossa.
La determinazione di Sami Modiano, tuttavia, è ammirevole e rende manifesto il magnifico attaccamento alla vita che lo contraddistingue. Il che emerge chiaramente dal lungo viaggio di ritorno a casa, una vera e propria odissea, al termine del quale le ferite di Auschwitz-Birkenau sono ancora più evidenti, fanno ancora più male, soprattutto alla luce dell’incredulità, nei confronti di quelli come Sami, da parte della gente comune, che certamente non può avere ancora contezza della Shoah, e all’insopportabile senso di vuoto che caratterizza i luoghi della sua infanzia. La forza e la voglia di ricominciare e voltare finalmente pagina si concretizzano nell’ennesima scelta coraggiosa: il trasferimento nel Congo belga, dove egli ritrova alcuni parenti. Anche qui, però, dopo una breve parentesi prospera e felice, a causa dell’instabilità politica del Paese, dalla sera alla mattina, perde tutto, quasi come si trattasse un accanimento del destino.
«Ancora una volta ero stato cacciato da casa mia e qualcun altro si era appropriato delle mie cose. […] L’unica possibilità era rimettersi in gioco, dimenticare quella parentesi di benessere finita in disgrazia e tornare ad arrangiarsi».
È l’amore a salvare Sami Modiano e a permettergli di fare i conti, una volte per tutte, con Birkenau e con il suo passato. «Mi ci vollero anni e tutta la pazienza di Selma per farmi accettare una semplice verità: scegliere di non sapere è il modo più masochista e inefficace per chiudere i conti col passato. Nascondere a noi stessi una pagina cruciale della propria storia ci impedisce di andare avanti». Così, nel 2005, ritorna in Polonia, nel campo di sterminio che si è portato via tutti i suoi affetti e la sua infanzia. Solamente lì comprende appieno l’arduo compito che spetta a quelli come lui, ponendo fine ai suoi tormenti (“Ero vivo. E non capivo perché”): testimoniare quello che è stato, testimoniare la Shoah. E per questo egli ha vissuto.
L’incontro termina e Sami Modiano, decisamente commosso, si congeda, ringraziando tutti e affermando, con una certa amarezza, «da Birkenau non sono mai uscito».
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