La parabola del Marengo e l’Unione monetaria Latina
Cosa hanno in comune una battaglia della Seconda Campagna d’Italia e il primo tentativo di egemonia monetaria interstatale europea? Quali sono le matrici non solo ideali ma concrete del processo di unione monetaria implementatasi definitivamente nel 2002?
Cercheremo qui di tracciare la parabola che porta dalla battaglia di Marengo (14 giugno del 1800), alla fine, nel 1927, della Unione Monetaria Latina.
Partiamo dunque da quel 14 giugno del 1800 quando a Marengo il Primo Console Napoleone Bonaparte sconfisse gli austriaci, riottenendo il dominio di gran parte dell’Italia settentrionale: Lombardia, Piemonte, Emilia e Liguria. Gli austriaci, oltre a ritirarsi al di là del Mincio, consegnavano artiglieria e viveri, mantenendo le piazzeforti di Ferrara, Mantova e Peschiera. Con la vittoria di Marengo nacque anche la Repubblica Subalpina, una repubblica sorella che sorgeva sui territori del Regno di Sardegna e che nel 1801, per celebrare la vittoria napoleonica dell’anno precedente, coniò una moneta d’oro dal valore nominale di 20 franchi e a cui fu dato il nome di “Marengo”. La Lira torinese, ex moneta ufficiale in Francia, era in sostituzione col Franco da 5 anni al momento della coniazione del Marengo, che pertanto faceva riferimento alla nuova monetazione francese, il Franco Germinale (istituito il 18 germinale del 1795, l’8 aprile). Caratteristica del Franco Germinale era, oltre alla divisione in centesimi, il bimetallismo di oro e argento, per cui ogni franco doveva avere 0,29025 grammi di oro puro e 4,5 grammi di argento puro, con un rapporto di 1:15,5.
Il Marengo, che sul dritto raffigurava le effigie di Napoleone, aveva un diametro di 21 millimetri, un peso di 6,45 grammi, di cui 5,80 grammi in oro, quindi 900/1000 (o 90%). La moneta fu coniata fino al 1815, ma durante il periodo napoleonico, la Francia aveva esportato il Franco, almeno come sistema monetario, anche in altri paesi d’europa come Paesi Bassi (nel senso che il Belgio lo adottò quando nacque nel 1830) , Ducato di Parma, Regno di Sardegna (1815) e Svizzera (che adottò il Franco con la legge federale sulle monete del 1850).
Questa, dunque, era la situazione quando vennero scoperti giacimenti d’oro in California (1848) e Australia (1851) che fecero calare il prezzo dell’oro portando ad una prima crisi dei pagamenti in argento. Fenomeno questo che viene chiamato “bimetallismo zoppo”: ciò è dovuto al fatto che la scoperta di ampi giacimenti d’oro portò al ribasso il valore relativo dell’oro nei confronti dell’argento, essendo però le monete coniate in oro e argento la questione diventò di fatto una questione di convenienza, come insegna la legge di Gresham. Il valore commerciale dell’argento aumentò ma il suo valore legale, come quello dell’oro, rimase uguale, per cui, quando il valore commerciale divenne così alto da poter coprire i costi di rifusione, le monete venivano fuse e l’argento veniva venduto come metallo realizzando un profitto. Ciò portò ad una prima crisi del bimetallismo.
Francia, Italia, Svizzera e Belgio avevano già in essere da diversi anni una comunità monetaria informale, poiché la moneta di ciascun paese aveva il medesimo contenuto di metalli preziosi. Il sistema aveva dato grossi vantaggi in termini commerciali. Si trattava di fare un passo ulteriore per garantirgli stabilità e rafforzarlo. Alla guida di questo percorso si mise la Francia di Napoleone III e del suo vicepresidente del Consiglio di Stato, l’economista e giurista Felix Esquirou de Parieu. Egli avrebbe voluto creare proprio una moneta unica dal nome “Europa” , vincolata all’oro e a quello che sarebbe stato il gold standard, ma realisticamente, dato che la Francia aveva grandi riserve argentee, decise di mantenere il bimetallismo. Dopo un mese di negoziati al Quai D‘Orsay, il 23 dicembre 1865 si arrivò alla firma del Trattato sull’Unione Monetaria Latina da parte di Napoleone III, Leopoldo II, Vittorio Emanuele II e Konrad Kern, ministro plenipotenziario in Francia, Albert Escher, direttore della Zecca federale e Carl Feer-Herzog consigliere nazionale argoviese (per la Confederazione Elvetica). In base agli accordi permaneva il bimetallismo, cioè una valuta basata su un tasso di cambio fisso tra oro e argento, determinato e uguale in ogni paese membro sulla base del rapporto 1 Kg:15,5 Kg del Franco Germinale. L’accordo poi regolava la coniazione di monete con titolo di 900/1000 per le monete d’oro dei Paesi aderenti. 900/1000, proprio il contenuto metallico in oro del Marengo, che in qualche modo funse da unità di misura e riferimento dell’accordo. Le monete diventarono mezzi di pagamento liberamente circolanti e universalmente accettati all’interno degli Stati dell’Unione. Le monete mantenevano il loro vecchio nome, ogni paese poteva coniarle, non esisteva una banca centrale, non era prevista l’emissione di carta moneta ma ciascun paese era tenuto a informare gli altri in merito al numero di monete d‘oro e d‘argento in circolazione. Vennero infine fissati forme e pesi delle monete d’oro da 100, 50, 20, 10 e 5 Franchi/Lire e in più il titolo (835/1000) delle monete divisionali in argento da 5, 2, 1, 0,5 e 0,2 Franchi/Lire.
L’idea era quella di accettare chiunque volesse uniformarsi al sistema sottoscrivendo gli accordi. La Prussia rifiutò, perché era opinione di Bismarck, che pur non era contrario in linea di principio soprattutto come strumento diplomatico allo strumento monetario, che gli obiettivi geopolitici prussiani dovessero essere perseguiti senza la Francia, che, con l’Unione a guida del Franco avrebbe creato una moneta egemonica. Vi si adeguarono (tramite accordi bilaterali o allineamenti unilaterali), senza aderire, però altri stati: Stati Pontifici nel 1866, Impero Austro-Ungarico nel 1870, Principato di Romania nel 1867, Regno di Spagna nel 1868, Principato di Serbia nel 1873, Granducato di Finlandia nel 1877, Principato di Bulgaria nel 1880 e Impero Russo nel 1886. Persino l’Albania, che adottò un proprio sistema monetario solo nel 1925, diede corso legale, nel 1912, alle monete dell’Unione Monetaria Latina provenienti da Francia, Italia, Grecia e Austria-Ungheria, al posto della Lira turca.
Nel 1868 vi aderì invece ufficialmente il Regno di Grecia guidato da Giorgio I, un paese quest’ultimo che destabilizzò non poco l’Unione: infatti era economicamente più arretrato, desideroso di avanzamento rapido sul piano economico e bisognoso di risorse per l’industria, le infrastrutture e l’esercito. La costruzione del canale di Corinto, della ferrovia tra Atene e il Piero e l’accettazione dell’organizzazione delle Olimpiadi del 1896 fecero salire alle stelle il debito con l’emissione susseguente di carta moneta scoperta. La Grecia nel 1893 dichiarò la bancarotta. Questo unitamente alla crisi della guerra franco-prussiana e alla scoperta di miniere d’argento nel territorio del II Reich fece emergere tutti i difetti dell’Unione, che si basava sul bimetallismo, che subiva inesorabilmente gli effetti della fluttuazione del valore commerciale dei metalli che componevano le monete, portando al fenomeno di “bimetallismo zoppo” già visto in precedenza.
Dall’altro lato proprio con la guerra franco-prussiana emergeva un forte concorrente del bimetallismo, il cosiddetto Gold-standard, in uso dalla Gran Bretagna fin dal 1815 e dalle sue colonie. Proprio in quell’anno, infatti, la Gran Bretagna aveva scelto come unica moneta convertibile l’oro, abbandonando il bimetallismo adottato fino alle guerre napoleoniche: una sterlina era convertibile con 7,32 grammi d’oro. Il sistema britannico si avvio alla prevalenza quando nel 1872 la Prussia, a seguito della vittoria sulla Francia, richiese il pagamento di un’indennità monstre di 5 miliardi di franchi, da pagarsi interamente in monete d’oro (come abbiamo già detto la Prussia rifiutò l’adesione alla Unione latina per ostilità alla Francia), aderendo formalmente al Gold-standard, coniando con l’occasione il nuovo marco aureo il Reichsmark e dando vita alla banca centrale tedesca, la Reichsbank, unica depositaria dei diritti di emissione. Il definitivo successo del sistema sarà sancito dall‘adesione, nel 1900, degli USAal sistema aureo dove 1 dollaro aveva il valore nominale di 1,50 grammi d’oro.
La crisi dell’Unione culminò nel 1914, quando la piena convertibilità del denaro in oro venne abbandonata a seguito della svalutazione causata dalla crisi economica dovuta all’inizio della Prima Guerra Mondiale. L’Unione fu sciolta definitivamente nel 1926. La Confederazione Elvetica fu l’ultima ad abbandonarla, stabilendo che solo le monete d’oro e d’argento nazionali avrebbero avuto corso legale in territorio confederale dal 1/4/1927.
E in tutto questo il Marengo? “Marengo” continuò ad essere il nome con cui venne chiamata la moneta da 20 franchi, lire e dracme d’oro e che poteva essere cambiata 1:1 nei vari paesi e dopo il fallimento dell’Unione diventò una moneta d’oro da investimento e da collezione.
In Italia fu coniato dal dal 1861 al 1923, con le effigie di Vittorio Emanuele II, Umberto I e Vittorio Emanuele III. La produzione del Marengo italiano cessò con l’uscita dell’Italia dall’Unione a seguito della pesante svalutazione della lira nel primo dopoguerra.
Il Marengo francese (con l’effigie dei sovrani prima dell’Unione e poi con gli stemmi repubblicani) continuò ad essere prodotto dalla zecca di Parigi anche dopo la fine del Secondo Impero con le medesime caratteristiche e fu il modello per i marenghi d’oro prodotti dagli altri stati europei.
Si definisce invece Marengo Belga la produzione di 20 franchi d’oro che va da Leopoldo I ad Alberto I. Ovviamente quella di Leopoldo I è pre unionista, quella di Leopoldo II ebbe la diffusione più vasta, essendo stata coniata dal 1865 al 1909; mentre invece è limitata al solo 1914 la coniazione di Marenghi di Alberto I. Il Belgio poi abbandonò l’Unione nel 1925.
Giorgio I di Grecia è invece il sovrano raffigurato sul dritto del Marengo greco, coniato fino al 1913 (sulle 20 dracme precedenti il 1865, sempre uniformate al franco germinale, e quindi inserite tra i “Marenghi” vi è raffigurato Ottone I).
Chiudiamo infine con il Marengo svizzero per diversi motivi: 1-la Svizzera fu l’ultima ad abbandonare l’Unione formalmente; 2- non ha sovrani raffigurati sul dritto, bensì la “Verena” la donna personificazione della Confederazione; 3- ultimo ma forse più importante, i Marenghi coniati fra il 1897 e il 1949 (1927 ancora nel quadro dell’Unione, dal 1927 al 1949 rimase però comunque con gli stessi standard metallici) sono tutt’ora considerati monete di borsa.
E’ bello pensare che i discorsi di Einaudi, Kalergi, Briand, Lothian, Monnet, Spinelli, Schuman, Brandt, abbiano in qualche modo, come loro antesignano, un evento “mandrogno”