Aukus e la corsa all’Indo-Pacifico tra Occidente e Cina
Il 15 settembre scorso, il Presidente americano Biden, il Primo Ministro britannico Johnson e quello australiano Morrison, hanno dato vita ad un nuovo patto sulla sicurezza tra i loro Paesi, denominato AUKUS.
Questo accordo nasce dalla volontà di aumentare l’interscambio di conoscenza e tecnologia in diversi settori strategici riguardanti la sicurezza, quali l’intelligenza artificiale, l’informatica quantistica e la cosiddetta cybersecurity. Questa alleanza, chiamata anche la NATO del Pacifico, ha il preciso scopo di contenere una possibile volontà di affermazione egemonica di Pechino nell’area dell’Indo-Pacifico.
Questo patto si inserisce nella cornice delle storiche alleanze stipulate dagli americani al termine della seconda guerra mondiale nella regione, quali l’ANZUS del 1951 tra Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, con lo scopo di accerchiare l’Unione Sovietica e rinforzare la barriera naturale a occidente degli Stati Uniti, appunto l’oceano Pacifico. L’UKUSA, quell’alleanza tra Paesi anglofoni in materia di intelligence. Si aggiunge l’alleanza con il Giappone del 1951, rinnovata poi nel 1960 come trattato di mutua cooperazione e sicurezza; nel 1953 l’alleanza tra Stati Uniti e Corea del Sud; il Quadrilateral Security Dialogue tra India, Giappone, Australia e Stati Uniti, stipulato nel 2007-2008.
La reazione di cinese a questo accordo tripartito non si è fatta attendere. Pechino ha rigettato le accuse lanciate da Canberra e Washington in merito alla questione di Hong-Kong e le repressioni della minoranza uigura di religione musulmana nello Xinjiang. Pechino, ha inoltre dichiarato che questa alleanza è una provocazione ed una minaccia militare, sebbene i Paesi firmatari di AUKUS non abbiano specificatamente menzionato la Cina. “Washington is losing its mind by trying to rally its allies against China”, come riportato sulle colonne del Global Times, il tabloid quotidiano cinese in lingua inglese.
L’adesione di Canberra all’AUKUS, non ha fatto che inasprire i rapporti con Pechino, già ai minimi storici dopo che il Paese Down Under aveva richiesto l’apertura di un’inchiesta indipendente sulle origini del Covid-19. Dal canto suo, Pechino ha risposto con l’imposizione di dazi commerciali a Canberra.
L’alleanza AUKUS verrà probabilmente estesa anche a Nuova Zelanda e Canada. Tuttavia, la Premier neozelandese Jacinda Ardern ha dichiarato di non essere stata invitata ed ha interdetto l’ingresso nelle acque neozelandesi dei sottomarini a propulsione nucleare australiani, in linea con una sua politica già esistente.
Tuttavia, questo accordo non ha suscitato solamente il malcontento di Pechino, bensì di altri Paesi, alleati storici di Washington d’oltre Atlantico. Parigi, infatti, aveva stipulato un contratto con Canberra per la vendita di 12 sottomarini convenzionali, per il valore di più di 50 miliardi di euro. Canberra, ha preferito i sottomarini a propulsione nucleari, ritenuti più veloci, più difficili da individuare a differenza di quelli convenzionali. Inoltre, questi sottomarini possono rimanere in immersione per mesi, lanciare missili ad una più lunga distanza e trasportarne di più. Per questa ragione, il Presidente Macron ha richiamato a Parigi gli ambasciatori in Australia e negli Stati Uniti per consultazioni.
Infine, vi è un ulteriore punto da tenere in considerazione. Questo accordo permette il trasferimento di tecnologia nucleare, in particolare di reattori a propulsione nucleare che permetteranno ai sottomarini di compiere missioni fino a Taiwan, ma non il trasferimento di armi con tecnologia nucleare.
Il Primo Ministro australiano Morrison, è sempre stato un fermo oppositore del nucleare, sia per uso civile che militare, ribadendo questa sua opposizione nonostante la fornitura dei sottomarini. I reattori utilizzati nei sottomarini a propulsione nucleare necessitano di grandi quantità di uranio arricchito e l’Australia potrebbe avere accesso a questa tecnologia man mano che la sua flotta si espande. Il che potrebbe portare nella direzione di ottenere altre infrastrutture per lo sviluppo delle tecnologie nucleari. Si potrebbe avanzare un’ipotesi, la quale suggerisce che gli Stati Uniti, possano derogare la loro tradizionale opposizione alla proliferazione nucleare, quando sono in ballo interessi particolari.
In fondo, gli Stati Uniti lo avevano già fatto. Rievocando gli accordi tra Washington e Nuova Delhi del 2005, con l’allora Presidente Bush Jr e il Primo Ministro indiano Manmohan Singh, l’India accettò di sottoporre i propri impianti nucleari, sia civili che militari, sotto la vigilanza dell’agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), ottenendo in cambio da Washington, una collaborazione in merito allo sviluppo della tecnologia nucleare in ambito civile.
Rimane tuttavia la questione di fondo: quali saranno le reazioni di Pechino e degli alleati americani della regione?