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Il Brasile, un gigante fragile e il suo futuro dopo la pandemia

Il Brasile, un gigante fragile e il suo futuro dopo la pandemia

Dario Zanin è un manager di lungo corso, da sempre attivo nelle eccellenze italiane e di quelli che portano l’eccellenza italiana nel mondo.

Ha operato per lungo tempo nel settore automotive per poi ricevere, nel 2007, l’incarico di dirigere Industrie De Nora (gioiellino della nostra tecnologia elettrochimica italiana) in Brasile. Dopo più di dieci anni, ha scelto di dedicarsi alla consulenza.

Unisce alla passione per l’impresa quella per la geopolitica, inquadrando entrambe in una più vasta passione per tutto ciò che è “mondo”.

Ho avuto il piacere di fare con lui una chiacchierata a ruota libera per Osservatorio Globalizzazione (https://osservatorioglobalizzazione.it/.).

Buongiorno Dottore! Sedendosi al tavolo (per quanto virtualmente) con un top manager che ha lavorato per più di dieci anni nel mondo della tecnologia elettrochimica, non si può non aprire con una domanda secca e diretta: “Campagna vaccinale in Europa: cosa è andato storto? Logistica, contratti coi produttori, o altro ancora? Chi ha sbagliato e dove?

Non ho una visione dettagliata di come si stia gestendo la situazione in Europa e quindi non posso entrare nel merito. C’è sicuramente un problema di fornitura da parte delle case farmaceutiche. Gli altri problemi mi sembrano piccoli o poco significativi. Se ci fosse uma maggiore disponibilità di dosi molti problemi sparirebbero da soli. I contratti sono quello che sono. In tempo di crisi valgono flessibilità e scelte rapide, tutte cose che l’Europa oggi non ha in abbondanza, nessun paese escluso.

Oggi, nel mondo, ci siamo accordi di quanto la produzione farmaceutica e la relativa ricerca e sviluppo siano beni altamente strategici. All’Europa è forse mancato un campione nazionale dei vaccini. Avere solo l’R&D o solo la produzione fisica non basta se non hai il cuore decisionale delle aziende proprietarie dei brevetti: crede che si riuscirà a mutare questa situazione? No, non credo. La nuova frontiera che questa pandemia ci ha aperto è la farmaceutica legata alla genetica, importante da anni ma lontana dal grande pubblico e relegata finora ai laboratori e agli “esperti”. Oggi e domani questa frontiera è negli USA e soprattutto in Asia. La Russia è anch’essa un player anche se un po’ diverso e con proprie tipicità.

Domanda da mettere i brividi: dopo la SARS, la Zika, il COVID-19… quanto le fa paura la “prossima pandemia”? Sul piano tecnologico e produttivo siamo oggi più preparati o dovremo ripartire da zero?

È abbastanza realistico pensare che una prossima pandemia ci sarà. Dal mio punto di vista dobbiamo si essere preoccupati perché le democrazie moderne hanno dimostrato, salvo notevoli eccezioni, di non essere capaci di pensare e reagire in maniera chiara e rapida. In momenti di incertezza e di fronte all’ignoto è naturale temporeggiare ma i sistemi politici hanno dimostrato una inerzia eccessiva e assolutamente non compatibile con le scelte che la crisi demandava. L’eccezione è rappresentata dall’Asia-Pacifico dove la maggioranza dei paesi ha avuto una capacità di scelta elevata. Sottolineo che capacità di scelta non vuole dire necessariamente, in momento di crisi, fare la scelta giusta ma si fare qualcosa di importante che possa essere decisivo. Il non fare nulla o troppo poco è sempre la scelta peggiore in questi casi.

Lei è un profondo conoscitore del Brasile, ormai per lei quasi una seconda patria. Ci fotografa la situazione COVID nel paese? Dove stanno i punti di maggior debolezza, e quali le prospettive?

Con 350 mila morti ad oggi e 4000 morti nelle ultime 24 ore la situazione è drammatica. Il Brasile ha una costituzione e una forma di governo presidenzialista ossia il Presidente è votato direttamente, è capo dell’esecutivo ed ha poteri molto estesi che diventano quasi assoluti in epoca di emergenza.

Il Presidente del Brasile, Jair Messias Bolsonaro, rappresenta una destra bigotta, chiusa e golpista. Come individuo è ignorante, machista, omofobico. Odia profondamente la libertà di stampa, diritti civili e la libertà di espressione. Negazionista nei confronti del coronavirus fin dall’inizio è l’unico al mondo che non ha abbandonato questa linea. Quotidianamente pubblicizza ancora oggi l’uso del chiamato kit preventivo Covid (sovradosaggi di clorochina, idrossiclorochina e invemectina) che la comunità scientifica internazionale ha dimostrato nei mesi scorsi essere di nessun beneficio contro il Covid19. Stanno aumentando i casi di epatiti medicamentose anche gravi con conseguente necessità di trapianto del fegato. Gli altri poteri dello stato, legislativo e giudiziario, cercano di reagire ma non riescono ad essere effettivi a causa di interessi divergenti e di un sistema che concentra un grande potere nelle mani del presidente. L’unico contraltare è rappresentato dagli Stati (il Brasile è una Repubblica federale come gli USA) dove alcuni governatori più efficienti e decisi hanno reso possibile una riposta.

L’esempio che possiamo fare è quello dello stato più ricco, forte e importante del Brasile, San Paolo, il cui governatore Joao Doria (si, oriundo genovese per chi è attento al cognome) fin dall’inizio si è dato da fare per firmare un accordo con la cinese Sinovac Biotech per la produzione in Brasile del vaccino. Ad oggi circa del 70% delle 30 milioni di dosi somministrate in Brasile sono del Coronavac prodotto dalla Sinovac Biotech in collaborazione con un laboratorio di San Paolo. La prospettiva è quella di continuare la lenta campagna di vaccinazione al ritmo di un milione di dosi inoculate al giorno (Il Brasile ha 211 milioni di abitanti) almeno per i prossimi 2 mesi, forse dopo ci potrà essere un miglioramento. Tutto ovviamente dipende dalle forniture. Il Brasile ha una eccellente capacità di distribuzione e somministro nel territorio, senza problemi potrebbe fare due milioni al giorno o oltre.  

Ha visto cambiare il Brasile dal 2007 a oggi? Rispetto all’immagine di povertà estrema e cronici ritardi nello sviluppo che arriva a noi in Europa, si muove qualcosa nell’economia e più ancora nel tessuto sociale del paese?

Visito regolarmente il Brasile dal 1994 e ci risiedo stabilmente dal 2007. Il Brasile ha avuto cambiamenti positivi a livello economico e sociale. Il Brasile rimane ostaggio di un forte problema ciclico, cicli di crescita anche sostenuta e momenti di retrazione grave. Fenomeno antico, complesso e mutevole.

A livello infrastrutturale si è fatto molto anche se molto rimane ancora da fare. Un grande limite, anche se si è parzialmente ridotto durante i governi Lula, è quello che esiste una disparità sociale molto amplia tra classe sociali abbienti e grandi fasce della popolazione a livelli di povertà. La novità più importante degli ultimi anni è stata la crescita di una vera classe media che ora si trova a vivere un momento di forte stress e ansia per il futuro.

Una domanda ineludibile per chiunque voglia parlare del gigante brasiliano: cosa significherà il “fattore L” (Lula) alle prossime elezioni? Il 30% dell’elettorato voterebbe Lula se ci fossero le elezioni oggi. Dall’altro canto anche l’avversione a Lula e al partito dei lavoratori (PT) è grande.

Difficile predire se Lula si presenterà o no. La possibilità è alta. Ormai Lula è stato “sdoganato”, ci possono essere altri colpi di coda ma non cambieranno la sostanza. Se Lula si candiderà alle elezioni della fine 2022 è una decisione di opportunità del PT. Il paese è fondamentalmente diviso in tre parti dimensionalmente molto simili. Un terzo di Bolsonaristi convinti e fedeli.

Un terzo del PT, fedele all’immagine iconica ed ancora molto forte di Lula ed un terzo in mezzo, legato al ceto medio urbano, quadri e dirigenti, impiegati, piccoli imprenditori, commercio. Quest’ultimo terzo che rappresenta il centro è atomizzato, diviso, senza una chiara guida. L’unica possibilità di poter entrare nel gioco considerando il sistema a doppio turno presidenziale brasiliano sarebbe che il centro unisse le forze su un fronte unico con un candidato unico e forte, cosa che sembra quasi impossibile o comunque molto difficile.

Ad oggi la probabilità maggiore è uno scontro elettorale Bolsonaro-Lula. Un confronto che sa di passato e non di futuro. C’è il rischio di perdere una grande opportunità per il paese

Oggi lei si occupa di consulenza business: chiuderei dunque con una domanda sui rapporti economici Italia-Brasile. Opportunità per le imprese italiane nel paese: dove, come e quanto? Ci sono competenze e possibilità per fare del paese una base produttiva per il continente, o suggerirebbe ai suoi clienti di focalizzarsi sull’import-export? La comunità italobrasiliana può essere “messa a leva”?

L’industria italiana storicamente ha saputo approfittare del Brasile solo in una fase storica, gli anni 70 con l’arrivo in Brasile della grande industria italiana (FIAT, Pirelli, Ansaldo, etc.. ). Epoca eccellente che ha dato ottime opportunità e gioie a queste aziende e tecnologie e capacità industriale al Brasile. La seconda fase è quella degli anni 90 e prima decada del nuovo millennio, la fase dell’internazionalizzazione delle medie ed in parte piccole aziende italiane. Questa fase, salvo come sempre alcune accezioni, è stata poco interessante.

Il Brasile è un paese continente, grande e complesso, con un livello di protezione doganale alto (tariffario e soprattutto non tariffario). L’export verso il Brasile può essere interessante ma mai si riesce a crescere in modo da influire nel settore di riferimento. L’unico modo è quello di installarsi in Brasile, magari per fasi sucessive approfittando dei momenti buoni del ciclo brasiliano e limitando l’esposizione nei momenti difficili. Le medie e piccole aziende non sono riuscite a fare questo anche per motivi “fisiologici” e quindi sono rimaste un fenomeno marginale. Questo parlando di comparti meccanici, elettrici, tecnologici.

Il Brasile, geopoliticamente, finanziariamente ed industrialmente non può non essere la potenza regionale del Sud America, è un ruolo quasi naturale considerando dimensioni, popolazione, risorse e potenzialità. È una tendenza storica e geopolitica ineluttabile.

Per le aziende italiane interessate alla crescita sostenibile la presenza in Brasile è inevitabile se vogliono una presenza nel sud America. Il momento è eccezionale per vari motivi. Prendo il principale e piú rappresentativo: la moneta brasiliana nei confronti di dollaro ed Euro. Lo scorso anno la svalutazione del Real nei confronti del dollaro è stata del 28%, la moneta in assoluto maggiormente colpita fra tutti i paesi emergenti. Perché questo è successo? Oltre alla fisiologica tendenza dei flussi di capitale di preferire in momenti di incertezze le economie centrali (EU, USA, Giappone) fondamentalmente per tre elementi: fiscale, abbassamento del tasso di sconto, incertezza politica su grandi temi soprattutto ma non solo ambientali. A noi interessa che per un acquirente straniero comperare una azienda in Brasile o fare un green field l’investimento risulti oggi il 30% più economico che nel 2019. Questo fa si che, unito al fatto più generale che in epoca di crisi il valore tende a ridursi, comperare o aprire una attività oggi in Brasile sia molto conveniente. Senza dubbio si è aperta una grande finestra di opportunità. Non so se le imprese italiane siano in questo momento capaci di cogliere questa opportunità ma questo è un altro tema.

Grazie infinite Dottore per il tempo che ci ha dedicato e Buon Lavoro!

Tutte le interviste dell’Osservatorio

Si è laureato in Economia presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano nel 2011. Dopo un’esperienza di cooperazione in Egitto durante le elezioni parlamentari dello stesso anno, inizia a collaborare con diverse riviste di Studi internazionali («Affari Internazionali», «Eurasia», «ISAG – Geopolitica» e altre). Si occupa di storia ed economia politica nonché di strategia e affari militari con un forte focus sul mondo arabo e islamico e sullo spazio post–sovietico, sia come analista che come appassionato viaggiatore.

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