La fragilità dell’Occidente di fronte alla crisi migratoria
Al giorno d’oggi il tema dell’emigrazione e dell’immigrazione sono centrali all’interno del dibattito pubblico. Questo perché i flussi migratori si sono trasformati in emergenze migratorie, specialmente per i paesi europei che si trovano a dover affrontare ondate che non hanno le risorse e le capacità di gestire. È in corso una vera e propria diaspora africana verso i paesi europei.
Sebbene ci fossero dei segnali premonitori (Craxi aveva previsto questo flusso migratorio incontrollato), si è iniziato a preoccuparsene prevalentemente nel momento in cui la questione migratoria era già diventata un problema: si è cercato, quindi, di tamponare il più possibile quel flusso inarrestabile con scelte frettolose e poco oculate dettate dalla necessità di agire repentinamente e non da un piano studiato e lungimirante. Sono stati organizzati vertici internazionali come quello tenutosi a Malta nel 2015.
Si è pensato che bastasse proporre finanziamenti di miliardi di euro in cambio di procedure più rapide per il rimpatrio dei migranti irregolari per cancellare più di un secolo di campagne di sfruttamento che non hanno permesso ai paesi africani di essere indipendenti e di poter diventare competitivi a livello mondiale.
Si fatica a comprendere che l’immigrazione in atto è solo un effetto superficiale che continuerà a diffondersi senza un’azione decisa che punti a estirpare le radici della pianta malata.
Il deposto presidente del Niger Mohamed Bazoum in occasione della conferenza “Italia, Niger. Europa, Africa. Due continenti. Un unico destino” è stato chiaro: “L’idea che possano bastare degli investimenti europei in Africa per portare allo sviluppo e bloccare i migranti nei Paesi di origine è irrealistica. Lo sviluppo dell’Africa è qualcosa di assai più complesso del tema dell’immigrazione.” Lo snodo della questione sta proprio qui: i paesi europei non sono realmente interessati allo sviluppo del continente africano, l’attenzione è rivolta a bloccare il prima possibile i flussi migratori. Lo sviluppo del continente africano è un obiettivo che richiede tempo e l’Europa non ne dispone, dal momento che, come è accaduto anche in Ucraina, la tendenza è quella di cercare di risolvere le emergenze quando sono già diventate tali. Un altro aspetto cruciale che, però, si tende a tacere è che l’Europa si aggira in Africa accompagnata dall’ombra dell’Imperialismo.
Si pensi al Niger, il grande alleato europeo di cui tutti i giornali stanno scrivendo per il golpe militare appena avvenuto. Bazoum aveva un obiettivo: investire sull’educazione in quanto avrebbe permesso di combattere l’altissimo tasso di natalità -la principale causa di povertà nei Paesi del Sahel- e altresì la presenza di gruppi jihadisti. La politica del presidente deposto avrebbe giovato al suo Paese e di riflesso anche all’Europa, ma è stato destituito. “Continuo degradare della situazione securitaria e cattiva gestione economica e sociale del Paese”: questa è la motivazione del golpe militare.
Se in Occidente il Niger era percepito come “l’ultima tessera del dominio democratico in Sahel” in quanto il governo era presenziato da Bazoum, in Niger la percezione era di avere un traditore al comando. Non si può dimenticare che per le strade di Niamey vengono sventolate bandiere russe e si inneggia Putin, mentre il risentimento antifrancese cresce esponenzialmente. Come possono preferire il dispotico Putin alla democratica Francia? Ecco che ancora una volta l’Occidente viene inghiottito dalla trappola: la ferma convinzione di essere superiore in quanto colui che dispone della giusta lente per osservare il mondo.
Ma cosa accadrebbe se per un attimo sospendessimo il nostro sguardo giudicante e mettessimo in discussione il nostro modo di agire? Non dovremmo forse interrogarci sul perché un popolo preferisca Putin, colui che la narrativa occidentale dipinge come un dittatore, invece che noi, i pionieri della democrazia e dei diritti umani? Forse è proprio questo che manca al mondo occidentale: l’umiltà di mettersi in discussione.
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