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La pace che ha portato alla guerra totale contro il Tigray

Etiopia guerra Tigray

La pace che ha portato alla guerra totale contro il Tigray

Su gentile concessione dell’autore pubblichiamo la traduzione dell’articolo di Yosief Ghebrehiwet pubblicato il 23 gennaio scorso su “Ethiopia Insights”, dal titolo “The ‘peace’ that delivered total war against Tigray”. Un’analisi che aiuta a fare luce sulle dinamiche storiche e geopolitiche che hanno scatenato la recente tempesta bellica in Etiopia.

Traduzione di Marco D’Attoma e Gino Fontana

Link all’originale: https://www.ethiopia-insight.com/2021/01/23/the-peace-that-delivered-total-war-against-tigray/

La pace nella tormentata Regione del Corno d’Africa è presumibilmente entrata in scena il 5 giugno 2018, quando il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed ha accettato di attuare l’accordo di pace tra Etiopia ed Eritrea come stabilito nell’accordo di Algeri.

Due settimane dopo, il presidente eritreo Isaias Afwerki ha formalmente ricambiato la ratifica. Poi è andato oltre: ha dichiarato che l’obiettivo primario del suo governo era “la stabilità dell’Etiopia”, rinviando l’effettiva demarcazione sul terreno a un tempo non specificato; un’inversione della sua politica rispetto ai precedenti 16 anni.

Nel giro di un mese circa, i due leader hanno visitato le rispettive capitali, per la contentezza dei residenti. Nella Millennium Hall, migliaia di élite di Addis Abeba si sono riunite per dare a Isaias il ricevimento della sua vita, con fragorose grida di “Isu! Isu!” che risuonavano nella sala. Poco dopo, quando il confine è stato aperto, folle inneggianti hanno manifestato lungo tutto il confine Eritrea- Tigray.

Questo entusiasmo ha toccato il Mondo esterno.

L’Occidente ha accolto con favore il riavvicinamento, sperando che la Regione avesse ora una pace duratura che portasse ad una crescita sostenibile. L’UE sperava anche che il recalcitrante problema dei rifugiati, che spesso raggiunge le sue coste, potesse ora trovare una soluzione duratura. Ora che la pace è stata dichiarata, si credeva che il servizio nazionale a tempo indeterminato, che è stato il motivo principale dell’esodo di massa della gioventù eritrea, sarebbe finito.

Ma se l’Occidente era soddisfatto, non lo erano le terze parti coinvolte.

Non solo l’Arabia Saudita ha inizialmente facilitato il processo di pace tra i due leader, che ha portato all’accordo di pace di Jeddah, ma ha anche dato loro la sua più alta medaglia, “l’Ordine del Re Abdulaziz“, per aver posto fine alla guerra e portato la pace nella Regione. Successivamente, Abiy ha ricevuto l’ambito premio Nobel per la pace. Un anno prima, l’ONU si era già unita al coro revocando le sanzioni che aveva imposto nei confronti dell’Eritrea dopo che gli Stati Uniti avevano lasciato cadere la loro timida protesta.

Questa apparentemente sincera, gioiosa e speranzosa accoglienza della pace nella Regione, tuttavia, aveva tutte le premesse per quello che sarebbe sfociato in una guerra vera e propria due anni e mezzo dopo il suo annuncio.

I due leader e l’élite amhara accolsero entusiasticamente il “patto di pace” che, secondo loro, sarebbe rimasto confinato tra di loro al solo scopo di creare un’alleanza tripartita contro la Regione (con “la stabilità dell’Etiopia” nella loro mente); i mediatori degli Stati del Golfo che lavorano duramente per promuovere e mantenere la ‘pace nel Corno’, principalmente con un occhio a tenere i rivali (Qatar, Iran e Turchia) fuori da quello che sono venuti a considerare sempre più il loro territorio di influenza (poi, così sembra, da difendere con droni degli Emirati Arabi Uniti), con la piena benedizione degli Stati Uniti, che ha esternalizzato loro quel lavoro, con la Cina come rivale; un ignaro comitato norvegese per il Nobel che facilita questa marcia verso la guerra, fornendo una copertura dolorosamente necessaria ad Abiy; le Nazioni Unite che fornisce incoscientemente la componente più importante per i preparativi della guerra revocando prematuramente l’embargo sulle armi all’Eritrea; e le popolazioni, le uniche interessate a una pace duratura, che tuttavia non avevano idea di ciò che stesse arrivando a devastarle.

Di seguito, saranno discussi i tre lati di questa tragedia: primo, la struttura dell’alleanza tripartita contro la Regione tenuta insieme dal “patto di pace”; secondo, la cronologia dei preparativi di guerra resi possibili dagli “anni di pace”; e, terzo, il genocidio emergente, con la carestia usata come strategia di guerra per sottomettere il popolo della Regione.

Verso la fine, il ruolo dell’Eritrea sarà rivisitato, con l’enfasi sul suo ruolo critico nell’alleanza e la sorprendente assenza di punizioni dal resto del Mondo.

Alleanza anti-Regione

C’erano tre entità che hanno partecipato al “patto di pace” : come un’opportunità molto rara – che ha avuto luogo solo una volta in quasi 50 anni – in cui potevano formare un’alleanza strategica per mettere la Regione tra due nemici mortali (Eritrea e Amhara) per poi attaccarlo, con una guerra totale nei loro piani; una guerra che mirava a spazzare via la Regione People’s Liberation Front (TPLF) e il suo esercito; a distruggere la struttura di sviluppo della Regione; a cancellare gran parte del suo patrimonio culturale; e a smembrare il suo dominio. Erano Abiy dell’Etiopia, Isaias dell’Eritrea e i nazionalisti amhara.

Hanno giustamente capito che questa pace doveva reggersi solo tra di loro, e che non aveva nulla a che fare con le principali parti interessate, cioè le masse eritree e tigrine.

Quando Abiy si è precipitato ad Asmara subito dopo essere salito al potere, potrebbe averlo fatto con questo obiettivo ostile in mente. Così è stato quando l’élite di Addis Abeba ha dato a Isaias una accoglienza adatta ad un eroe nazionale: tutto ciò che hanno visto in lui è un alleato affidabile in questa candidatura ostile, non un pacificatore. E così è stato anche quando Isaias ha risposto con un linguaggio bellicoso che tutti e tre capivano perfettamente: “Game over“.

Ovviamente, questa non era la pace che un Mondo distratto e ingenuo aveva in mente.

I nazionalisti amhara erano in vantaggio: avevano già fatto la loro parte nel ‘’sandwich con la Regione’’. Sono quasi tre anni che hanno bloccato tutte le principali strade che portano al Tigray, separandolo efficacemente dal resto dell’Etiopia. Bisogna aggiungere che non avrebbero mai tentato questo se non fossero stati rassicurati che il Tigray non avrebbe mai avuto accesso attraverso l’Eritrea, rendendo così la strategia della ‘tenaglia’ contro la Regione non solo desiderabile ma anche efficace.

In questi ‘anni di pace’, hanno anche preparato il loro popolo alla resa dei conti finale, sia mentalmente che fisicamente. Hanno fatto un lavoro di successo nel dipingere il Tigray come il nemico numero uno nella mente della popolazione amhara, una campagna mediatica che ha spianato la strada all’odierno assalto a tutto campo contro la Regione.

Avevano già iniziato la pulizia etnica dei tigrini dal loro kilil (Regione in amarico), con decine di migliaia di persone costrette a raggiungere il Tigray, tra gli altri, attraverso il Sudan, molto prima dell’assalto finale. Oltre all’odio etnico che hanno accuratamente fomentato per anni (che accusano il TPLF e altri etno-nazionalisti di nutrire odio nei loro confronti a causa dei fondamenti anti-imperiali della loro ideologia), hanno anche fornito alle popolazioni elementi tangibili in cui possono facilmente identificarsi: antifederalismo o centralizzazione (ahudawinet) a livello nazionale, e la rivendicazione della terra a livello di Kilil .

E, infine, come ha spiegato il commissario di polizia di Amhara, hanno fatto tutti i preparativi per un assalto militare, con le forze speciali e decine di migliaia di altre milizie, tutte addestrate, armate e mobilitate per muoversi contro la Regione, che, pur essendo ben preparato, è stato sopraffatto.

La pulizia etnica a cui stiamo assistendo ora nella Regione occidentale da parte delle milizie Amhara è, in parte, il risultato di anni di duro lavoro fatto dalla leadership di Amhara sul campo. In questo, sono pari solo al regime di Asmara, che ha preparato le sue truppe per questo giorno da più di due decenni.

Abiy aveva compreso come l’odio quasi genocida tra queste due fazioni avrebbe potuto essere pienamente sfruttato per scatenare una forza distruttiva contro la Regione.

A parte l’antipatia personale per le élite del Tigray che condividono, anche i due leader hanno avuto obiettivi tangibili che mirano a raggiungere sul ‘’cimitero’’ del TPLF: hanno identificato la Regione come l’unico ostacolo alle loro ambizioni come leader indiscussi nei loro rispettivi domini per gli anni a venire.

Dopo essersi mosso contro l’opposizione Oromo, Abiy sapeva che la Regione era l’unica che ostacolava il suo progetto di abolire il federalismo multinazionale e creare uno Stato centralizzato in Etiopia. Il suo sogno non è diverso da quello del presidente dell’Uganda Yoweri Museveni, che condurrà elezioni fasulle per estendere all’infinito la sua posizione di potere. In questo caso, la sua vittima principale non è il federalismo in sé, ma la democrazia.

Allo stesso modo, l’obiettivo di Isaias è di estendere il suo dominio totalitario in Eritrea fino a quando resterà in vita.

Per mantenere la sua presa autocratica sulla popolazione, ha bisogno di una Nazione che sia isolata dal resto del Mondo, sia fisicamente che economicamente. Ormai ha scoperto che non può farlo da solo; ha bisogno dei leader delle Nazioni vicine che lo assecondino in questo sua volontà. Ne ha trovato uno in Abiy.

Il problema perenne dell’Eritrea è stato un confine estremamente frastagliato, e un vicino (Tigray) che accoglie i rifugiati, che ha reso impossibile trattenere la sua popolazione giovanile, impoverendo la sua popolazione complessiva ad un ritmo rapido. Un continuo esodo di massa della popolazione giovanile – finora più di mezzo milione – per più di due decenni ha provocato un tracollo demografico, limitando la sua popolazione a circa tre milioni (quasi la metà di quello che avrebbe dovuto essere).

Inoltre, se dovesse materializzarsi un’opposizione armata al suo dominio totalitario, il timore del despota è che venga dai campi profughi della Regione dove si riuniscono i suoi oppositori. La disputa sui confini arriva per ultima nella lista delle sue critiche; infatti, una soluzione duratura a quel problema avrebbe accelerato la fine del suo regime, negandogli la scusa di cui ha bisogno per mantenere il suo grande esercito e lo Stato blindato. Così, un vicino relativamente fiorente, stabile e pacifico è stato identificato dal regime di Asmara come una minaccia esistenziale.

Potrebbe sembrare che Isaias, Abiy e l’élite Amhara siano contro il federalismo, ma ciò deriva da un’errata comprensione di ciò che realmente li motiva a mantenere questa posizione.

Isaias non ha paura del federalismo nel suo dominio semplicemente perché è distante da esso per due motivi. Il federalismo diventa possibile solo sotto la democrazia, e la democrazia diventa possibile solo quando, al minimo, una Nazione è considerata normale (anche per gli standard dittatoriali). La preoccupazione principale di Isaias è che le condizioni ‘anormali’ in Eritrea, necessarie al funzionamento del sistema totalitario, sarebbero minacciate se la Nazione fosse costretta ad aprirsi al Mondo esterno.

E quando si tratta dell’Etiopia, egli è contro il federalismo nella misura in cui permette alla democrazia di gestire il sistema, rendendo impossibile ad uno Stato totalitario di “sopravvivere” a lungo.

Anche Abiy è contrario al federalismo multinazionale semplicemente perché lo aiuta ad eliminare la democrazia; la sua alleanza con l’élite Amhara si basa su questa particolare comprensione: che la centralizzazione in Etiopia non può essere realizzata in una vera democrazia, dato che porterebbe inevitabilmente al federalismo.

L’élite Amhara non si preoccupa dei privilegi federali quando sono limitati alla loro Regione; la loro agenda espansionistica accetta il framework federalista come un dato di fatto. Hanno un problema con il federalismo solo quando questi privilegi sono estesi ad altre Regioni, rendendo impossibile il progetto di assimilazione.

Così, il problema alla radice dell’accordo federale in Etiopia è un problema linguistico; il problema cartografico è secondario a questo. Se il dominio linguistico di una lingua finisce – come in Sudafrica – il progetto centralizzatore, con l’assimilazione come nucleo centrale, crolla per mancanza di una motivazione.

Il Mondo spinge ingenuamente per la pace attraverso la persuasione, senza capire che questi tre partner hanno stretto un patto suicida.

Prendiamo, per esempio, lo scenario ipotetico in cui Abiy sia costretto ad accettare la pace, o a causa della rigida resistenza della Regione o della crescente pressione del Mondo esterno, o di entrambi. Quel giorno stesso, sia Isaias che i nazionalisti Amhara si rivolterebbero contro di lui, con conseguente ritiro immediato delle loro truppe.

Per il leader eritreo, un lavoro incompiuto nella Regione sarebbe l’inizio della sua fine; una Regione ferita ma sopravvissuto è l’ultima cosa che vorrebbe. Non solo dovrebbe spiegare la sua sconsideratezza, con un altro eccidio di “martiri” presto annunciato, alla sua popolazione sempre traumatizzata, ma dovrebbe anche affrontare l’ira della Regione per gli anni a venire.

Ancora di più nel caso degli Amhara, dato che gran parte del “sacrificio” – in termini di vittime – è stato finora il loro. Con la perdita delle aree che professano di aver reclamato, l’élite Amhara avrebbe difficoltà a spiegare il sacrificio che hanno richiesto al loro popolo. E per Abiy, perdere il sostegno dell’Eritrea e dell’Amhara significherebbe un rapido disastro, dato che il grosso del suo esercito proviene da queste due aree.

Ecco perché il patto di pace tra i tre dovrebbe essere inteso come strutturato per portare o alla conquista della Regione o al suicidio reciproco dei tre leader – senza alternative nel mezzo.

Ed è proprio per questo che la pace che il Mondo cerca in questa Regione non sarà mai raggiunta solo attraverso la persuasione. Devono essere prese misure più dure; niente di meno che sanzioni economiche, diplomatiche e di armi e tagli drastici agli aiuti a favore dell’Etiopia e dell’Eritrea. E se si vuole evitare il genocidio – cioè la creazione di un altro Ruanda – queste misure devono essere prese adesso.

Prendiamo un esempio, il caso dei rifugiati eritrei, per vedere la natura intricata di questo patto tripartito.

Ultimamente, abbiamo visto l’assalto ai rifugiati eritrei accampati nei campi profughi in tutto il Tigray: il blocco voluto delle risorse alimentari per fornire i campi; la coscrizione forzata dei rifugiati da parte delle forze eritree; il rapimento di molti altri che sono finiti in Eritrea; la dispersione di molti altri dappertutto (nel Tigray, in Etiopia e anche nel Sudan); e altri tipi di danni collaterali: fame, malattia, tortura, uccisioni, separazione, esaurimento, terrore, ecc. E ultimamente abbiamo visto il ritorno forzato di rifugiati che erano arrivati fino ad Addis Abeba, di nuovo nei campi della Regione devastata dalla guerra da cui erano fuggiti.

Il Mondo è comprensibilmente indignato, e sembra non capire perché l’Etiopia sia disposta a intraprendere un crimine contro l’umanità così palese anche se gli occhi del Mondo sono puntati su questa terra. Uno sguardo più attento alla struttura del patto tripartito spiega però perché l’Etiopia non possa fare a meno di commettere questo atto anche se ne pondera le conseguenze: in questo momento, non può permettersi di dire di no all’Eritrea.

Se il Mondo glielo permette – e finora l’ha fatto – il regime di Asmara intende riportare tutti i rifugiati eritrei, presenti in Etiopia, in Eritrea. Questo fa parte del piano per arginare l’esodo di massa in corso che ha minacciato la vitalità della Nazione, in generale, e quella del suo esercito in particolare – e per ribadire il contesto, questo è uno dei principali motivi per cui l’Eritrea ha deciso di andare in guerra contro la Regione.

Se l’Etiopia non accontenta l’Eritrea su questa richiesta critica, anche il patto di pace tra di loro sarebbe minacciato. Quindi, per Abiy, la minaccia è chiarissima: se segue le norme internazionali riguardo ai rifugiati, potrebbe finire per inimicarsi l’Eritrea, con la possibilità di perdere la guerra, dato che l’esercito eritreo è la spina dorsale di questa alleanza, inizialmente con, a quanto si dice, almeno 12 divisioni schierate in profondità nella Regione.

Che Abiy abbia finora scelto di cercare la vittoria contro la Regione, non dovrebbe sorprendere. Dopo tutto, la crisi dei rifugiati è l’ultimo dei suoi misfatti, dato che sta adoperando niente meno che una guerra totale per raggiungere il suo obiettivo.

Oltre alla continua definizione etnica dei tigrini in tutta l’Etiopia, una profonda pulizia etnica nella Regione occidentale e vari massacri lungo le strade attraversate dagli eserciti tripartiti, in questo momento il regime di Abiy sta intraprendendo bombardamenti nella Regione, colpendo indiscriminatamente villaggi e città; il tutto sotto un completo blackout informativo.

Soprattutto, negare il cibo e le altre necessità di base – elettricità, acqua, medicine, servizi bancari, ecc. – alla popolazione bisognosa è diventata la sua arma principale per sottomettere la Regione; è per questo che sta impedendo agli aiuti umanitari di raggiungere i milioni di persone che ne hanno disperatamente bisogno ora.

Patto di guerra

L’obiettivo principale dell’alleanza tripartita – schiacciare il Tigray- si riflette non solo nella guerra, ma anche nei preparativi che hanno avuto luogo negli ultimi due anni di “pace”, inconsapevolmente facilitati da organizzazioni prestigiose come le nazioni Unite e il Comitato norvegese del Nobel.

Nobile ignoranza o doppiezza?

Il comitato norvegese del Nobel ha sviluppato un’abitudine ‘pigra’, nel migliore dei casi, e, nel peggiore, ha mostrato motivazioni ambigue rispetto all’assegnazione del premio di pace rispetto a Paesi del terzo Mondo come Myanmar ed Etiopia.

Non fa mai adeguatamente i suoi compiti quando assegna i premi a leader che promuovono la loro versione perversa di “pace”; sempre con parole adatte alle orecchie occidentali, ma sempre con ulteriori priorità nella loro mente.

Questo è particolarmente vero quando il comitato aggiunge nel suo calcolo altri fattori oltre alla pace pura, come “l’indispensabilità della stabilità dell’Etiopia per il Corno d’Africa” o “la promozione della democrazia nella Regione” che l’Occidente ha spacciato per decenni, a scapito degli attori minori. Un po’ di controllo avrebbe fornito alla commissione un quadro complesso di Abiy, sufficiente a porre seri dubbi anche sulle menti prevenute dei suoi membri.

Fin dall’inizio, il Primo ministro, come era ben chiaro a chi seguiva i suoi discorsi e le sue azioni, nonostante qualche retorica superficialmente calorosa, ha demonizzato il popolo della Regione tigrina in generale, e ha incolpato il TPLF per tutto ciò che è andato male nella Nazione, anche sotto il suo controllo.

Ma anche mettendo da parte la sua apparente antipatia per i tigrini, ha tanti altri difetti che sollevano dubbi sulla sua sincerità e competenza.

Egli soddisfa prontamente tutti gli elementi mostrati nel “cocktail tossico” dei despoti moderni. È un pensatore superficiale, incline al plagio. Come altri despoti strampalati ossessionati dalla propria importanza, ha elaborato una “bibbia” incoerente da far seguire alla Nazione, con una “filosofia” del medemer (“sinergia”) vagamente articolata e priva di contenuti tangibili; un chiaro esempio di un ciarlatano. Come una macchia d’inchiostro di Rorschach, potrebbe far dire al suo libro tutto quello che vuole, a seconda del contesto sempre mutevole.

In secondo luogo, questo delirio di onnipotenza ha in sé elementi fondamentalisti – evangelismo messianico e transazionale. Crede sfacciatamente di essere destinato ad essere il “settimo re”, come profetizzato nientemeno che da sua madre. La “Prosperità” nel nuovo partito che ha creato – il Partito della Prosperità – proviene dalla controversa Chiesa della Prosperità, che equipara le ricchezze alle virtù, con le sue aspirazioni apocalittiche che non hanno spazio per la pace di alcun tipo.

Elezioni nei tempi finali

Nonostante l’orrenda persecuzione di Isaias nei confronti dei cristiani evangelici (la loro religione è proibita, le loro chiese chiuse, tutti i membri privati del diritto di voto e migliaia di persone imprigionate), Abiy, apparentemente un devoto pentecostale, ha sviluppato una stretta relazione con lui per ragioni puramente transazionali – tuttavia, razionalizzate come accettabili nel suo sistema di credenze.

In terzo luogo, è ingenuamente impressionato dalla modernità araba, una modernità ossessionata dai materiali e priva dei suoi aspetti liberatori. Ossessionato dall’architettura kitsch di Dubai, ostenta apertamente il suo gusto sgargiante affinché la Nazione lo ammiri e lo segua. Il suo tentativo disinvolto di rifare Addis Abeba a quell’immagine imitativa, in mezzo a una crisi umanitaria di milioni di sfollati interni, viene da quella comprensione della modernità staccata dalla sua utilità umana. Ha impiegato un anno per visitare un solo campo di sfollati interni, ma anche allora, non ha mostrato alcuna empatia per le vittime.

E, infine, l’uomo è un bugiardo patologico dello stampo trumpiano. Come nel caso di Trump, si potrebbe contare un certo numero di bugie di vario livello in un singolo discorso che pronuncia in qualsiasi momento.

Lasciatemi fornire un esempio della grandezza delirante di Abiy in mostra.

In un discorso che ha tenuto in quello che sembra essere il palazzo del Parlamento, afferma: “Entro il 2050 il Mondo avrà due superpotenze e una di esse sarà l’Etiopia”. E questo secondo un piano di 30 anni che ha disegnato, ci dice. Una grandezza delirante e una bugia abbastanza grande da corrispondere a quella grandezza che lui si è convinto essere vera, con qualche profezia religiosa da matti spruzzata dentro (dove puoi letteralmente far accadere cose/fatti attraverso i tuoi desideri/parole; la cosiddetta Legge di Attrazione), portano a questa dichiarazione.

Questo è un uomo che potrebbe aver bisogno di aiuto psichiatrico, non qualcuno da incoraggiare con un premio Nobel per la pace, che ha solo finito per spingere la sua grandezza delirante ad un livello stratosferico.

Il personaggio comico raffigurato sopra non dovrebbe ingannarci quando si tratta degli orrendi danni che Abiy sta infliggendo alla Regione.

Alcuni osservatori hanno attribuito alcuni omicidi di alto profilo al suo regime: Simegnew Bekele, l’ingegnere capo della diga Renaissance; il generale Se’are Mekonenen, il Capo di stato maggiore dell’esercito; Hachalu Hundessa, un popolare cantante e attivista dei diritti civili, ecc. Ma anche se le accuse sono fuori luogo, ci sono pochi dubbi che Abiy le abbia sfruttate per servire la propria agenda.

In ogni caso, un dramma è stato inscenato intorno all’assassinio per consolidare ulteriormente il potere del Primo ministro.

Nell’ultimo caso, dopo aver implausibilmente attribuito l’assassinio a vari gruppi di opposizione, l’ha usato come pretesto per arrestare più di 10.000 persone, quasi tutte quelle che immaginava potessero andare contro il suo consolidamento del potere, dai leader dei partiti di opposizione ai manifestanti di strada ai giornalisti indipendenti.

Fedele alla sua capacità di creare “fatti”, sembra anche che a volte tolleri gli scontri etnici, solo per dimostrare che il federalismo ne è la causa principale; aprendo la strada alla centralizzazione che lui brama. E ora, stiamo guardando come lui sia uno dei tre principali architetti della guerra totale condotta contro la Regione.

La pace tra Etiopia ed Eritrea deve essere radicata nel passato

Il Mondo ha anche bisogno di ricordare che Abiy rimane un leader non eletto, originariamente messo nella posizione di guidare il governo attraverso la transizione. Invece, ha usato la pandemia COVID-19 come copertura per estendere i limiti del mandato. Gli si sarebbe dato il beneficio del dubbio, se non fosse che è in questo periodo di estensione che ha consolidato il suo potere mettendo in disparte, mettendo a tacere ed eliminando i suoi oppositori. Dopo aver imprigionato molti leader dell’opposizione, sciolto molti partiti e mosso guerra alla Regione, ora è pronto a condurre un’elezione fittizia in cui l’unico partito serio sarà il suo, il Partito della Prosperità.

Ignorando tutte le informazioni che erano disponibili allora, il comitato norvegese per il Nobel è andato comunque avanti ad assegnargli il loro premio per la pace per una causa che non aveva assolutamente capito, semplicemente impressionato da un titolo che annunciava “la pace” tra due Nazioni da tempo antagoniste, senza rendersi conto che in questa Regione le alleanze dipendono non solo dagli interessi nazionali ma anche da quelli personali e subnazionali.

Le alleanze si fanno all’interno e attraverso i confini, rendendo la nozione di “Nazione” in questa Regione sospetta. Un patto di pace che non tiene conto di questo concetto elementare non potrà mai avere successo; in questo caso, un patto di pace che non ha preso la questione tigrina come elemento serio. E non è che il Comitato sia stato colto di sorpresa; i suoi membri hanno avuto un anno e mezzo per studiare il loro “uomo di pace”.

Da allora, l’Etiopia ha avuto una serie di scontri etnici ben pubblicizzati, assassinii dubbi, massacri orrendi e spostamenti di massa. E più rilevante per il fatto in questione, più di un anno dopo che il patto di pace era stato concluso non c’erano segni di successo sul campo; cioè, i campanelli d’allarme che la commissione avrebbe dovuto ascoltare stavano già suonando forte.

Nonostante tutti questi fatti, questa immagine di un giovane leader etiope che lavora per le riforme, la pace e la prosperità nel Corno non sarebbe stata acquisita senza l’avallo del comitato norvegese del Nobel. Il danno che il premio ha causato alla Regione tigrina è stato quindi monumentale. E per quanto riguarda la guerra in corso nella Regione, ha fornito una copertura perfetta per i preparativi di guerra che erano già in corso. Dopo tutto, chi avrebbe ma pensato che un leader vincitore del premio Nobel per la pace avrebbe usato gli anni della pace per creare segretamente un’empia alleanza tripartita con forze subnazionali ed esterne per terrorizzare i suoi stessi sudditi?

Tutto è iniziato con la riabilitazione del leader emarginato del Corno- nientemeno che il presidente Isaias – agli occhi del Mondo, un compito che Abiy ha intrapreso dal primo giorno con zelo quasi religioso.

Riabilitare Isaias Afwerki

Abiy, in un tempo molto breve, ha fatto molto di più per normalizzare il regime di Asmara di tutti gli altri che hanno cercato di farlo negli ultimi due decenni messi insieme; sia i suoi sostenitori nella diaspora o le compagnie minerarie straniere con interessi personali. In ogni occasione, ha salutato il paria della Regione, Isaias, come un grande leader che genuinamente cerca e lavora per la pace nel quartiere e ha romanticizzato senza ritegno la città fantasma di Asmara e la Nazione eritrea traumatizzata (a volte indicata come “la Corea del Nord dell’Africa”). Ha venduto questa immagine asettica con così tanto successo al suo popolo che quando Isaias è arrivato ad Addis Abeba, è stato accolto da un’adulazione euforica che non trovava più tra la sua gente da molto tempo.

E peggio ancora, il compito di normalizzazione di Abiy non si è limitato all’Etiopia; ha portato questa missione con zelo incontenibile al Mondo esterno. Ha venduto l’Eritrea al vicinato, all’IGAD, all’UA, all’ONU, all’UE, agli USA, ecc. Tutto questo è stato fatto senza che il regime di Isaias abbia compiuto il minimo gesto umanitario da parte sua.

Invece, ha coordinato un abile spettacolo alla Potëmkin con il governo di Abiy per convincere il Mondo, in generale, e le nazioni Unite, in particolare, che sta veramente abbracciando la pace: ha aperto la frontiera con la Regione per alcuni mesi, permettendo ricongiungimenti con le popolazioni oltre il confine. Queste visioni, accuratamente gestite, hanno funzionato. Una volta che il regime ha ottenuto il riconoscimento che voleva e che, a sua volta, ha permesso di revocare le sanzioni contro di lui, ha chiuso senza tante cerimonie la frontiera per sempre – con la piena intenzione di intrappolare la Regione tra due nemici mortali.

Per quanto riguarda i preparativi di guerra, l’obiettivo più importante nella missione di riabilitazione era quello di convincere l’ONU a revocare le sanzioni che aveva imposto all’Eritrea; in particolare, l’embargo sulle armi. Abiy ha convinto con successo l’ONU, dopo aver radunato il vicinato. Non c’è dubbio che da allora il regime di Asmara si è dato alla compravendita di tutti i tipi di armamenti.

Gran parte dei suoi armamenti sofisticati (come i jet da combattimento), che erano rimasti inattivi per molto tempo per mancanza di pezzi di ricambio, sono stati riattivati e sono state aggiunte nuove armi. Abiy ha aiutato l’Eritrea a riarmarsi fino all’orlo, tanto che quando è iniziata la guerra è riuscita persino a riarmare i soldati etiopi che sono sbarcati sul suo lato del confine.

Così, la prima missione di Abiy nei preparativi per la guerra contro il Tigray- armare pesantemente l’Eritrea – è stata paradossalmente compiuta con l’aiuto dell’ONU. L’ONU però non può fingere innocenza come il comitato norvegese per il Nobel. Avrebbe dovuto saperlo, visto che ha trattato con il regime di Isaias per più di due decenni. Ogni anno, ha fornito al Mondo una lunga lista delle sue atrocità. In seguito, visto che il problema non scompare, ha persino assegnato un relatore speciale per esaminare e riferire annualmente sui diritti umani in Eritrea dal 2012.

Il timido sforzo degli Stati Uniti di collegare la revoca delle sanzioni al miglioramento dei diritti umani è stato abbandonato troppo presto, con il mantra della “pace regionale” che ha preso il sopravvento. Inoltre, nella maggior parte delle sanzioni che l’ONU ha revocato in precedenza, ci sono voluti anni di ostacoli burocratici per materializzarsi. Non è così nel caso dell’Eritrea, grazie all’offensiva di Abiy.

La chiusura dei confini

L’abolizione dell’embargo sugli armamenti non risolve la questione relativa all’ingrandimento delle fila dell’esercito eritreo. Negli ultimi due decenni, il tentativo di isolare l’Eritrea dal resto del mondo è stato condotto attraverso l’autoisolamento e varando l’autarchia, due misure utilizzate principalmente dai regimi totalitari. Questi due fattori hanno rispettivamente causato l’esodo di massa di gran parte della popolazione giovane e il tracollo economico.

Tra le centinaia di migliaia di giovani che hanno lasciato il Paese negli ultimi due decenni, troviamo molti disertori dell’esercito e coscritti. In questo modo, l’obiettivo di mantenere un grande esercito numericamente parlando, è diventato alquanto difficile, se non si decide di prosciugare la forza lavoro del Paese. Ad Abiy, spetta quindi il compito di arginare questo esodo di massa.

Come sottolineato sopra, il Tigray è stata una delle principali regioni di destinazione di questo esodo, dove si sono riversati centinaia di migliaia di rifugiati eritrei in campi profughi e in molte città. Tuttavia, la maggior parte dei rifugiati che sono riusciti ad arrivare in terre straniere, hanno poi continuato il viaggio abbandonando il Paese di primo ingresso. Abiy aveva già iniziato a considerare questo problema molto prima che la guerra scoppiasse.

In primo luogo, ha cercato di chiudere due campi profughi, spostando i rifugiati in altri campi e in alcune città etiopi. Questa decisione di Abiy ha trovato diverse resistente, tanto che il Primo Ministro decise di ridurre gli ingressi in questi campi, costringendo la maggior parte dei nuovi arrivati a stabilirsi nelle città del Tigray. L’Etiopia è attivamente coinvolta nel passaggio di responsabilità della questione dei rifugiati all’Eritrea: sia fornendo alle truppe eritree libero accesso e concedendo libertà di fare quello che vogliono nei campi profughi; sia rimpatriando i rifugiati da Addis Abeba. Se Abiy riuscisse a vincere la guerra, l’Etiopia non solo cesserebbe di essere un rifugio sicuro per gli esuli eritrei, ma collaborerebbe attivamente con il regime di Isaias per arrestarli e rimandarli indietro da dove sono fuggiti. Questo, sarebbe un modo se non per fermare, almeno per arginare l’esodo di massa.

Inoltre, c’è la questione dell’economia nazionale, gestita il partito al governo, Shaebia (nome popolare attribuito al partito Fronte di Liberazione del Popolo Etireo) che la monopolizza. È proprio questo monopolio che è minacciato dall’apertura delle frontiere e dal libero scambio. Questa apertura metterebbe a repentaglio i due principali vantaggi che il partito possiede: il controllo totale sulla valuta e sul resto dell’economia. Con il fiorente commercio transfrontaliero, la Nacfa, manipolata artificiosamente, avrebbe rischiato di crollare. Con la valuta forte che le famiglie eritree ricevono dalla diaspora (quando scambiata in Birr) la spirale discendente della Nacfa era inevitabile.

Il controllo del partito Shaebia sul resto dell’economia (proprietà delle aziende agricole, fabbriche, imprese, banche, negozi, ecc.) è stato realizzato con decreti finalizzati a eliminare la concorrenza, attraverso espropri, fallimenti manipolati, chiusure forzate e concorrenza sleale. Con l’apertura della frontiera e la concorrenza proveniente dall’esterno, quindi rappresentava qualcosa che il partito non era in grado di controllare, Shaenia non sarebbe durato a lungo.

Ora possiamo facilmente capire come questa immagine del Tigray rappresentato come nemico è stata utilizzata durante quel breve periodo di pochi mesi in cui la frontiera è stata aperta per consentire la libera circolazione di merci e persone. In primo luogo, decine di migliaia di persone hanno tentato in ogni modo di uscire dall’Eritrea, alcune migliaia per sempre. Se il confine fosse rimasto aperto per un anno o giù di lì, la nazione si sarebbe trovata completamente svuotata della sua popolazione giovane, e a seguire l’inevitabile collasso. Secondo, quelle migliaia di persone che sono riuscite ad arrivare nel Tigray e a tornare indietro, sono tornate con in mente idee pericolose. Queste persone, hanno visto un Tigray relativamente libero, hanno visto un po’ di democrazia, un buon ritmo di sviluppo e infine una migliore qualità della vita, cosa bramata dagli eritrei. Questo ha aggiunto ulteriore tensione all’interno del Paese, ed è diventato un ulteriore motivo per l’esodo. Terzo, il monopolio di Shaebia sull’economia stava per terminare bruscamente e la nazione era a rischio di sperimentare il disastro economico. Quando Iasias decise di chiudere il confine, tra l’altro senza obiezioni da parte di Abiy, il dittatore eritreo, ha tentato di preservare queste tre componenti essenziali della preparazione alla guerra: la forza lavoro, l’ideologia (anti-Tigray) e le risorse.

Il pretesto pandemico

Il maggiore indizio sul fatto che i due leader si stavano preparando al conflitto, risiede nel modo in cui l’Eritrea ha sfruttato la pandemia di Covid-19 per coprire i preparativi di guerra. Questo, risale molto prima agli eventi scatenanti dichiarati da Abiy, ovvero l’attacco al Comando del Nord, o di quello che sostiene Debretsion Gebremichael: le elezioni.

Ecco il quadro: l’Eritrea, nazione impoverita, ha avuto il minor numero di casi di covid nella regione e ha imposto il lockdown più lungo al mondo (ininterrotto da dieci mesi), e il più severo: nessun veicolo ad eccezione di quelli di proprietà dello Stato sono stati autorizzati a muoversi. Solamente quando è iniziato il saccheggio nel Tigray, alcuni camion sono stati autorizzati a muoversi. Nella sua ultima versione, ci sono stati giorni in cui ai residenti di Asmara era proibito uscire di casa.

Tutte queste misure spietate, sono state intraprese nonostante il fatto che la maggior parte della gente soffra la fame e le continue rapine. (Si ritiene che solamente dopo che il regime abbia chiamato i giovani di Asmara a partecipare alla guerra nel Tigray, il numero delle rapine sia diminuito). Inoltre, questo approccio apparentemente esagerato, non tiene conto dell’avventatezza in cui decine di migliaia di soldati sono stati esposti al virus nella guerra del Tigray. Infatti, l’ultimo picco nei casi di Covid-19 è attribuito proprio alla guerra.

Inoltre, molti residenti delle città, hanno iniziato a spostarsi con carrozze trainate da cavalli, rendendo la durata del viaggio più lunga rispetto alle automobili e quindi con il rischio di una maggiore esposizione al virus. Tuttavia, questo non può essere spiegato solo da un punto di vista epidemiologico o economico, ma può essere facilmente interpretato come una tattica militare.

In realtà, il regime di Asmara ha sfruttato la pandemia Covid-19 come copertura per condurre i preparativi finali per la guerra: massicci dispiegamenti di truppe regolari e irregolari (sia proprie che dell’Etiopia), dispiegamento frettoloso delle riserve e delle reclute Sawa, oltre che massicci trasporti di armamenti da porti e aeroporti; il tutto fatto in gran segreto e oscurando i media. Dato che il regime continua a negare il suo coinvolgimento nella guerra, era necessario che tutti i preparativi fossero fatti di nascosto, quindi sfruttando l’elemento sorpresa.

Mesfin Hagos, ex ministro della difesa eritreo, ci fornisce un’ulteriore informazione al riguardo: le truppe etiopi appositamente addestrate, stavano stazionando furtivamente in un’area totalmente isolata dell’Eritrea (nota come Gergera) molto prima delle elezioni e della soppressione del Comando del Nord. La loro presenza è stata infatti segnalata già a giugno, anche se nessuno ha realmente capito che si trattava dei preparativi alla guerra.

Pertanto, la preoccupazione principale del regime era il diffondersi informazioni legato alla libera circolazione delle persone. Non c’è da meravigliarsi che la versione più rigorosa del lockdown sia avvenuta subito dopo l’inizio della guerra, quando un gran numero di soldati etiopi sono stati portati in Eritrea attraverso l’aeroporto di Asmara e i porti marittimi (attraverso Massaua, via Assab).

Inoltre, questa copertura è stata utilizzata per impedire la fuga dei giovani, inclini a disertare l’esercito ed evitare la coscrizione in tempi di guerra. Quando le notizie sulla guerra e sulla morte dei propri cari cominciarono a circolare all’interno dell’Eritrea, il blocco sarebbe stato utile anche per monitorare e prevenire eventuali lamentele o forme di dissenso.

Sopra, abbiamo visto come l’Eritrea si è preparata alla guerra negli ultimi due anni, con e senza l’aiuto di Abiy. Ora guardiamo come invece come si è preparato il Primo Ministro etiope.

Alienare il Tigray

Il primo passo di Abiy è stato quello di alienare il Tigray dal resto dell’Etiopia. In primo luogo, sovrapponendo i termini “tigrini” e TPLF come sinonimi con il preciso intendo di indurre il resto degli Etiopi a pensare che rappresentassero la medesima cosa, ad esempio con il lancio del documentario sugli abusi di Stato che ha etichettato chi parla tigrino. In secondo luogo, ha incolpato il TPLF per ogni male immaginabile che affligge la nazione: corruzione, omicidi, conflitti etnici, crisi economica, ecc. Allo stesso modo, ha rifiutato di attribuire alcun merito al TPLF per gli obiettivi sullo sviluppo raggiunto nel Paese, tra cui la solida crescita economica, in parte grazie a investimenti pubblici durante il seconda metà del governo dell’EPRDF. Anche il fatto che il Tigray sia l’unico “Kilil” in Etiopia che non ha conosciuto conflitti interni è stato presentato come una sorta di piano malvagio per preservare la pace nel proprio territorio a spese degli altri. In qualche modo Abiy stava cercando di convincere il resto della Etiopia che la pace e la prosperità nel Tigray era inversamente correlata a quella del resto del Paese. E ora, questa logica perversa è arrivata ad includere la nozione stessa di vita. La morte del Tigray significherebbe la vita per il resto dell’Etiopia; una logica che ora viene interpretata dalle forze tripartite come la distruzione sistematica delle fabbriche, aziende agricole, banche, ospedali, scuole e tutti gli altri tipi di istituzioni e infrastrutture del Tigray e naturalmente i massacri.

Come risultato della campagna sostenuta da Abiy, i trigrini sono ora etichettati, specialmente dagli Amhara, come traditori e immeritevoli di essere considerati come etiopi. Così, si è creato lo stato d’animo necessario a compiere il genocidio.

Consolidamento del potere

Mentre il Presidente Isaias, dopo aver terminato i suoi preparativi di guerra, rimase in attesa, Abiy dovette affrontare un ulteriore problema prima di fare la sua mossa. Dopo due anni al potere, la sua stretta politica sull’Etiopia si era attenuata: molti gruppi di opposizione conducevano una seria lotta e varie parti dell’Etiopia rimanevano fuori della sua orbita di controllo. Aveva bisogno di consolidare il suo potere prima di poter intraprendere un’avventura così importante come la guerra nel Tigray. Non che non avesse usato la forza in precedenza, anzi, il suo esercito ne aveva fatto uso per sedare dissensi in varie regioni come Amhara, Metekel, Oromia, Somali, Sidama, Wolayta, ecc. Tuttavia, in quei casi non necessitava di una superiorità militare o di alleanze non convenzionali. L’unico problema che non è stato in grado di risolvere rapidamente è stato il dissenso politico di molti partiti. La creazione del Partito della Prosperità ha risolto solo metà dei problemi. Era necessaria quindi una mossa più intransigente. Questa è arrivata con l’assassinio di Hachalu Hundesa, la scusa perfetta di cui Abiy aveva bisogno e con la quale ha potuto far arrestare più di diecimila membri dell’opposizione, compresi i leader più importanti.

Una cosa sorprendente e allo stesso modo deludente, sta nel fatto che il mondo non abbia prestato attenzione a questo crimine, dato che ha segnato la deriva autoritaria del regime di Abiy. Inoltre, questa mossa assomiglia molto alle tattiche utilizzate da Isaias: un assassinio; la ricerca di colpevoli; la ricerca di un reato grave abbastanza per accusare molti dell’opposizione; e, la totalità di tutto, in quanto segna un punto di non ritorno. Con un colpo audace, l’allievo stava superando il maestro; è stato il primo grande passo per modellare l’Etiopia a immagine del regime di Isaias. Una volta che il primo ministro ebbe consolidato il potere, la mossa successiva è stata quella di rimuovere l’unico ostacolo rimasto al suo completo controllo, ovvero il Tigray.

Con questa idea in mente, l’intenzione era di mobilitare gran parte dell’esercito nazionale verso nord in coordinamento con i suoi due alleati, l’Eritrea e l’Amhara che si apprestavano a raggiungerlo. L’Eritrea ha mobilitato l’intera popolazione mentre l’Amhara ha radunato un elevato numero di combattenti composto da forze speciali e vari tipi di milizie al confine nord-occidentale con il Tigray.

Ancora una volta, tutti questi preparativi erano già stati organizzati per tempo, prima dei cosiddetti eventi scatenanti: la neutralizzazione del Comando del Nord e le elezioni del Tigray. Tuttavia, per il successo della missione, per Abiy era necessario l’appoggio dalle forze dell’Eritrea e di Amhara arrivando quindi a consolidare ulteriormente l’alleanza tripartita.

Copertura elettorale

Un altro fattore utilizzato da Isaias nei preparativi di questa guerra è stata la tempistica. Nel 2001, Isaias utilizzò l’attacco terroristico al World Trade Center come copertura per schiacciare tutte le opposizioni nel paese: ex compagni, generali, alti funzionari, giornalisti, gruppi religiosi e molti altri percepiti come dissidenti furono imprigionati. Come nel caso di Hachalu, questo ha segnato la svolta totalitaria dell’Eritrea. La guerra doveva iniziare al momento delle elezioni statunitensi per tre motivi.

Primo, come nel caso dell’11 settembre, tutti gli occhi del mondo sarebbero stati puntati sulle elezioni americane in particolare per le ripercussioni che queste avrebbero avuto non solo negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo.         
Secondo, i due leader hanno capito che se avesse vinto Joe Biden, la sua amministrazione sarebbe stata ostile alla guerra. Con la guerra totale progettata per sottomettere il Tigray e la sua gente, non c’è da meravigliarsi del timore dell’insediamento di un Presidente democratico. L’amministrazione Trump era percepita come più simpatizzante verso la loro causa e non disposta a prendere misure punitive contro di loro (è anche possibile che Abiy contasse sui suoi contatti evangelici alla Casa Bianca).

Osservando le prime reazioni degli Stati Uniti, il Segretario di Stato Mike Pompeo e il Segretario per l’Africa Tibor Nagy, utilizzarono termini simili accusando il TPLF di voler internazionalizzare il conflitto. Non credo che le valutazioni dei due leader fossero sbagliate.

Infine, come terzo punto, si credeva che i tre mesi di interregno tra le elezioni e l’insediamento del nuovo Presidente, avrebbero concesso abbastanza tempo per concludere la guerra in tempi brevi. Dopo di che, ha l’amministrazione Biden non avrebbe avuto altra scelta che prendere la situazione come fatto compiuto e riconoscere l’Etiopia come partner indispensabile per la stabilità della regione.

La tempistica, fornisce un’ulteriore prova dei preparativi di Isaias e Abiy. La ricerca di un casus belli, se non vi fosse trovato, si sarebbe potuto inventare. Ma il fattore tempistica non poteva essere modificato.

Inoltre, coloro che credono solamente nei cosiddetti eventi scatenanti come causa della guerra, non riescono a spiegare il ruolo giocato da Isaias, è come questi è arrivato in ritardo nel supportare Abiy. Non comprendono che Isaias si stava preparando per la guerra imminente. Se non vi fosse stata la guerra, Isaias lo avrebbe considerato come un tradimento nei suoi confronti.

Se Hachalu non fosse stato assassinato, il regime di Abiy non sarebbe diventato autoritario, ma potremmo anche dire che se gli eventi scatenanti non avessero preso luogo, questa guerra si sarebbe potuta evitare. In entrambi i casi, altri eventi (manipolati o no) sarebbero stati trovati al fine di rispettare la tabella di marcia.

Ma non è solo una guerra “regolare” quella che si sta conducendo; come indicato prima, è guerra totale con fini di genocidio e sottomissione totale.

Genocidio in atto

Quando si compie un genocidio, questo deve essere pensato nella sua totalità e con consenso unanime; come se tutta la popolazione condividesse un unico pensiero. Questo è qualcosa che i contadini sono incapaci di fare da soli. Il pensiero unico è invenzione delle élites.

L’idea di una pulizia etnica per omogeneizzare un territorio è un concetto estraneo per un paesano o un contadino. Ecco perché quasi tutte le forme di genocidio sono guidate da élites. Avendo fatto tutti i preparativi, da parte dell’élites etiope (in particolare l’élites Amhara), la nazione è ora sul punto di commettere un genocidio di massa nel Tigray. Preparare un popolo a commettere genocidio significa presentare il genocidio come una soluzione accettabile per un dato problema; l’eliminazione dell’altro diventa non solo desiderabile, ma anche pragmaticamente fattibile. I Tigrini vengono raffigurati come l’altro, l’estraneo, il nemico, dagli etiopi in generale e specialmente dagli Amhara. Quasi tutti i Tigrini stanno vivendo questa strana sensazione di alienazione, di sentirsi l’altro; come se venisse tolto loro “l’essere etiope”. Questo, per loro è molto strano, siccome per gran parte della loro vita, e della loro storia, i Tigrini si sono sentiti il cuore di tutta l’Etiopia.

Se guardiamo al storia recente, vediamo che hanno combattuto valorosamente contro egiziani, sudanesi e forze italiane nella seconda metà del 19º secolo. Ora, si trovano al di fuori della stessa entità che hanno contribuito a preservare per secoli. Qualunque cosa accada in questa guerra, l’Etiopia non troverà mai più posto nel cuore dei Tigrini; in misura non piccola grazie alla élites Amhara, che ha fallito miseramente quando la nazione aveva bisogno di loro. Proprio ora, anche con le informazioni sparse che escono dal Tigray, stiamo assistendo al genocidio in tempo reale, grazie soprattutto ai social media.

La carestia sta emergendo come la più grande arma che il governo di Abiy può utilizzare nel processo di sottomissione del Tigray. Il Tigray è sempre stato incline a siccità prolungate e milioni di persone hanno bisogno di aiuti anche in tempi di pace. Quest’anno la questione alimentare è stata esacerbata da molteplici invasioni di cavallette nel sud. La guerra ha poi peggiorato la situazione. Inoltre, l’UNICEF sostiene che ci sono più di due milioni di bambini che hanno bisogno di assistenza. Il primo passo compiuto dal governo è stato di lasciare che la carestia faccia il suo corso, cioè di non intervenire in alcun modo, bloccando anche l’accesso a organizzazioni internazionali come ONU, UNICEF, USAID, ONG, ecc. Il rifiuto di lasciare entrare una qualsiasi di queste organizzazioni umanitarie è frutto di questa politica. L’élites Amhara è stata lo sponsor principale di questa politica, ricordando al governo che una popolazione ben alimentata sarebbe stata più difficile da sottomettere. Infatti, l’élites Amhara ha riportato come esempio la carestia del 1984, sostenendo come gli aiuti alimentari internazionali abbiano aiutato i Woyane a vincere la guerra contro il Derg. Il governo ha ascoltato scrupolosamente i loro consigli.

In secondo luogo, non solo il regime di Abiy lascia che la carestia faccia il suo corso senza ostacoli, ma la sta attivamente inducendo. Con la guerra, ha causato lo sfollamento di più di due milioni di persone dal Tigray, principalmente contadini che sono stati costretti a fuggire dalle loro case, lasciando i loro animali da fattoria e i loro raccolti. Alcuni di questi sono stati bruciati dalle forze terrestri e da attacchi di droni. In un’immagine satellitare, gli esperti sono riusciti ad identificare migliaia di case e terreni bruciati.

Nella parte occidentale del Tigray, dove la metà degli sfollati sono fuggiti dall’assalto delle milizie Amhara, si è riscontrato una più sistematica e massiccia pulizia etnica, accompagnata con l’esproprio di case, terreni agricoli, raccolti e bestiame; con l’esplicita intenzione di suddividere la terra con i contadini dell’Amhara. I contadini Tigrini sfollati e coloro che sono rimasti, hanno perso i loro raccolti e bestiame e ora devono affrontare anche la carestia.

La politica di affamare le masse tirgrine al fine di sottometterle, non si limita solo ai contadini; anche la popolazione urbana sta affrontando il medesimo destino. In primo luogo, il governo ha deliberatamente congelato i conti bancari dell’intera popolazione del Tigray. In secondo luogo, centinaia di migliaia di mezzi di sussistenza sono stati distrutti dall’esercito tripartito.

Solo ad Adwa, più di 5.300 donne principalmente, con basso reddito, hanno perso il lavoro perché le truppe eritree hanno completamente distrutto la fabbrica tessile di Almeda. In alcune città, l’intera fornitura di cibo ai residenti è stata saccheggiata. L’insicurezza nei villaggi si è aggiunta a questa situazione, in quanto la fornitura regolare di prodotti alimentari è stata interrotta. A Mekelle, per esempio, i prezzi dei prodotti alimentari sono saliti alle stelle. Tutto questo ha creato una condizione precaria, non diversa da quella di una carestia. Infine, l’oscuramento delle informazioni sulla carestia e sul genocidio perpetrato in Tigray. Il governo di Abiy ha categoricamente rifiutato l’ingresso in Tigray di quasi tutti i media indipendenti del mondo e in secondo luogo, ha tagliato la linea telefonica e il collegamento a internet. Solamente un servizio telefonico limitato è rimasto in funzione a Mekelle, ad ovest e a sud, questo perché Abiy crede di poterlo controllare. Tuttavia, quello di cui ha veramente paura è internet per ovvie ragioni: le immagini della carneficina in Tigray, villaggi abbandonati, edifici bruciati, università e fabbriche saccheggiate, la presenza diffusa di truppe eritree, ecc. L’ultima cosa che Abiy vuole vedere è l’immagine di gente emaciata e affamata che fa il giro dei media di tutto il mondo; conosce bene quali sono le conseguenze che hanno passato i suoi predecessori come Haile Selassie e Mengistu Hailemariam a tali esposizioni mediatiche.

Recentemente, la carestia come un arma per sottomettere il Tigray ha acquisito una particolare urgenza tra i partner tripartiti, dato che l’obiettivo di concludere la guerra in modo rapido è fallito. Più a lungo sarebbe durata la guerra, più facilmente il mondo avrebbe scoperto cosa sta realmente accadendo nel Tigray. L’esercito saccheggiatore dell’Eritrea avrebbe avuto difficoltà a spiegare la sua presenza prolungata.

La pulizia etnica condotta dalle forze Amhara non può continuare nell’invisibilità dato che, prima o poi, il conflitto armato probabilmente ritornerà in quelle zone. Ma, soprattutto, c’è paura tra i tre partner e il tempo potrebbe avvantaggiare il TPLF; il fatto che giovani tigrini indignati stiano fuggendo nelle montagne per unirsi alla resistenza è un indicatore pericoloso di ciò che potrebbe accadere. Per questo motivo la carestia ha assunto un’importanza centrale nella strategia di guerra.

Massacri

Ironicamente, il massacro di Maikadra è riuscito a minimizzare i massacri che si sono verificati in tutto il Tigray. Dato che Maikadra si trova vicino al confine con il Sudan, con molti dei suoi abitanti che ora vivono in campi profughi, è comprensibile che la notizia di nuovi altri massacri nel Tigray non faccia scalpore. È abitato da una consistente popolazione di entrambi i gruppi etnici (Tigrini e Amhara) non come gli altri villaggi tigrini, fornendo narrazioni conflittuali che il regime di Abiy sta sfruttando. È interessante notare che Abiy finora non ha attribuito alcun massacro avvenuto in Tigray al TPLF, ad eccezione di quello di Maikadra. Quello che sta cercando di fare è impedire la fuga notizie dei massacri nel resto del mondo.

Nonostante tutti gli sforzi, le informazioni provenienti dal Tigray, vengono costantemente filtrate. Tuttavia, attraverso testimonianze orali di familiari, parenti, immagini e video, sta emergendo lentamente quello che realmente sta accadendo in Tigray. Qui sotto, troviamo alcune località dove si sono svolti massacri, con immagini e video raccolti dai social media: Abiadi, Abraha-Atsbaha, Adiabun, Adidaero, Adigrat, Adihageray, Adihano, Adikeyih, Adinebried, Adiqeweylo, Adiaweshi Adwa, Agula’e, Ahferom, Ala’isa Alitena, Axum, Ba’Eker, Beles, Bizet, Chercher, Dahwan, Dibdibo, Digum, Edagahamus , Endabaguna, Finariwa, Gebezya, Gijet . Guya, Halah, Hawzien, Hiwane, Hitsats , Humera , Koraro, Maikadra , Maitsebri, Mariam- Dengelat, Mekelle, Menji, Mekhoni, Nebelet, Negash, Rawyani, Raya, Seharti, Semema, Shire, Tembien, Tashi , Welkait, Werkamba, Wukro , Wushti-Gulti, Zalambesa, Zara, ecc.

In tutte queste aree, i massacri sono stati condotti dall’esercito etiope, dalle forze Amhara e dalle truppe eritree. I massacri più orribili sono stati compiuti da questi ultimi due. Eppure il mondo rimane focalizzato su Maikadra, dove secondo i media sembra che entrambe le parti siano coinvolte. Ma chi punta il dito contro l’Etiopia è l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, sostenendo che le prove indicano che le milizie di Fano e Amhara hanno compiuto il massacro e l’esercito non ha interferito.

Tuttavia, anche se queste spiegazioni possono essere plausibili, la verità è che in Tigray hanno perso la vita migliaia e migliaia di persone a causa delle forze tripartite. Eppure, alla fine, questi massacri rappresentano solo una piccola parte del genocidio in atto.

Mentre da una parte il governo nega, ostacola e impedisce che aiuti internazionali raggiugano il Tigray, insieme all’oscuramento delle informazioni, dall’altra, il dilagare della carestia è facilitato dalla guerra e distruzione del Tigray.

Il fattore rilevante

Vorrei concludere questo saggio concentrandomi sul coinvolgimento dell’Eritrea in questa guerra. Se c’è qualcosa di sorprendente, è il modo in cui il mondo ha reagito al coinvolgimento dell’Eritrea: dal silenzio, al dubitarne, al minimizzarlo, all’ignorarlo o addirittura al sostenerlo. Gli Stati Uniti sono stati i peggiori: inizialmente lodando l’Eritrea per la sua pazienza nell’ammettere a malincuore la sua presenza nel Tigray, senza però alcun desiderio di contrastare il regime di Isaias. Ma anche l’Unione europea, che è l’unico organismo che in qualche modo ha reagito alla crisi in maniera sostanziale, trattenendo 109 milioni di dollari di aiuti all’Etiopia, finora è rimasta insensibile al coinvolgimento dell’Eritrea. Dato che l’esercito eritreo è la spina dorsale delle forze tripartite, rimane tuttavia un puzzle il perché l’UE non voglia punire l’Eritrea, soprattutto dal momento che è ben consapevole degli orrendi crimini che il regime di Isaias ha commesso contro il suo stesso popolo.

Inoltre, dalle notizie che sono uscite dal Tigray, i soldati eritrei sono coinvolti nel modo più raccapricciante: saccheggi massicci, stupri di gruppo, case e raccolti dati alle fiamme, fabbriche smantellate, edifici pubblici distrutti, attacchi ai campi profughi e, soprattutto, uccisione di civili ovunque. Se l’Eritrea merita il nome de “la Corea del Nord dell’Africa”, allora le sue truppe dovrebbero essere chiamati “i Khmer rossi d’Africa” per la pura brutalità e crudeltà che hanno utilizzato in Tigray. Nell’arco di meno di due mesi, hanno già massacrato migliaia di tigrini (più di quanti l’Etiopia abbia ucciso nei 30 anni di guerra con l’Eritrea). Cosa aspetta il mondo?

In realtà, il mondo avrebbe dovuto concentrarsi più sull’Eritrea che sull’Etiopia per vari motivi. In primo luogo, l’enorme crisi umanitaria provocata dall’occupazione eritrea, i massicci saccheggi, la distruzione sfrenata, le uccisioni di massa, sarebbero terminati bruscamente. In secondo luogo, la presenza dell’Eritrea nel Tigray è diventata un ulteriore motivo per cui il governo di Addis Abeba non vuole consentire l’ingresso di organizzazioni e giornalisti stranieri nel Tigray. Terzo, se L’Eritrea è costretta a ritirarsi dall’Etiopia, le possibilità di terminare con successo la guerra diminuirebbero e il terrore che ha scatenato, potrebbe prima o poi ritornare. Queste sono tutte ragioni che avvantaggerebbero immediatamente le persone terrorizzate del Tigray; e per estensione, gli etiopi. Ma anche gli eritrei ne trarrebbero beneficio.

In primo luogo, il terrore instillato nei rifugiati eritrei da parte delle truppe eritree cesserebbe. In secondo luogo, l’inutile perdita di vite umane dell’esercito eritreo impegnato anche nel Tigray giungerebbe alla fine. L’accento sull’Eritrea dovrebbe avere anche un aspetto a lungo termine, dal momento che il problema nella regione è istigato dal suo leader vendicativo. In questa guerra tra i tanti scontri accesi, quello che rimane costante è la sua perenne ricerca di imporsi come l’attore più importante della regione. Tuttavia, l’Eritrea non ha né le risorse né il soft power necessari per poter imporsi come attore rilevante nella regione. È una nazione piccola e impoverita, nota soprattutto per l’amministrazione brutale alla quale nessuna nazione al mondo vuole essere accostata. Alla luce di ciò, il grande timore di Isaias è sempre stato proprio quello di rimanere irrilevante nella regione.

Da molto tempo, ha scoperto che l’unico modo per rimanere rilevante è coinvolgendo la nazione in molteplici scontri. Egli sembra essere il principale architetto di questa guerra, e non si può fare a meno di ammirare il modo in cui è riuscito a porsi (o a porre l’Eritrea) come attore indispensabile, e quindi il più rilevante in questa guerra. In questo accordo, l’esercito eritreo è l’elemento indispensabile su cui poggia l’alleanza tripartita; se lo si toglie, il resto comincia a sgretolarsi. I tentacoli di questa alleanza vanno ancora oltre, in quanto i beneficiari indiretti sono fatti passare attraverso Asmara per rafforzare questa indispensabilità. I presunti droni degli Emirati Arabi Uniti che molti sospettano siano stati così efficaci nel determinare il corso della guerra e nel terrorizzare il popolo del Tigray, sorvolano lo spazio aereo eritreo.

Anche gli Stati Uniti sembrano riconoscere che il coinvolgimento dell’Eritrea è considerato indispensabile per la stabilità dell’Etiopia, quest’ultima che è sempre stata la priorità di Washington nella regione. “Cameron Hudson, un ex regista degli affari africani dell’U.S. National Security Council, ha dichiarato che c’è divisione nel governo degli Stati Uniti nel parlare pubblicamente del coinvolgimento dell’Eritrea in Tigray, a causa di considerazioni strategiche e tattiche”. Gli Stati Uniti hanno lasciato fare finché la situazione rimaneva nell’ombra. Solo quando la guerra sembrava trascinarsi, il coinvolgimento dell’Eritrea non poté più rimanere nascosto, il Governo degli Stati Uniti ha emesso un timido avvertimento intimando all’Eritrea di ritirare le truppe. Ma il punto chiave è come Isaias si è posizionato come attore indispensabile per l’interesse non solo dell’Etiopia, ma anche degli Stati Uniti, attraverso la guerra da lui architettata.

Se il quanto detto sopra è plausibile, allora si spiega come mai Isaias sia coinvolto negli scontri con Gibuti, Sudan, Yemen, Etiopia, e adesso nel Tigray. E questo potrebbe rappresentare l’inizio della sua caduta, con conseguenza la liberazione dell’Eritrea da decenni di orrore totalitario.

Deve essere chiaro che Abiy non avrebbe mai tentato di condurre una guerra totale contro il Tigray senza assicurarsi l’appoggio dell’Eritrea. Così, rimuovendo l’Eritrea da questa alleanza, la pace potrebbe ritornare nella regione.

Abbiamo visto come il mondo in generale è stato intenzionalmente o involontariamente complice di questa tragedia in corso. Cosa fare adesso? Cominciamo con le riparazioni. Ci sono già persone che chiedono la revoca del Nobel per la Pace di Abiy, anche se gli è stato conferito in un momento precedente il genocidio. L’ONU dovrebbe reintrodurre sanzioni contro l’Eritrea; questa volta, colpendo anche l’economia. L’UE dovrebbe anche tagliare gli aiuti che fornisce all’Eritrea. Allo stesso modo, l’Occidente dovrebbe tagliare drasticamente gli aiuti che fornisce all’Etiopia; e qualsiasi cosa essa richieda, dovrebbe essere fatta a condizione che si apra una corridoio per il Tigray.

Un altro Stato canaglia in questa guerra sembrano essere gli Emirati Arabi Uniti, che secondo quanto riferito stanno devastando il Tigray con i loro droni. Né l’UE né gli Stati Uniti parlano molto di questo nuovo fenomeno che ha già devastato lo Yemen e la Libia. Sarebbe di enorme sollievo per la regione se l’amministrazione Biden agisse su questo non appena si insedierà alla Casa Bianca. Soprattutto, il mondo dovrebbe unirsi nel fornire aiuti ai bisognosi tigrini, prima che vengano eliminati completamente dalle forze tripartite.

Nato a Bari il 20/12/1994. Ha conseguito la laurea specialistica presso la facoltà di Scienze politiche nell'Università LUISS Guido Carli a Roma. Dopo aver ottenuto una laurea triennale in Scienze politiche presso l'Università degli studi di Bari con lode, ha completato i suoi studi presso la LUISS svolgendo un corso in Relazioni internazionali sempre col massimo dei voti. I suoi ambiti di studio prediletti riguardano prevalentemente la politica sociale europea e gli effetti della globalizzazione nel Mercato del lavoro.

Comments

  • Barbara fontana
    2 Marzo 2021

    Qui c’è della testa e della preparazione, complimenti ragazzi.

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