La secolarizzazione e le sue conseguenze sociali
Lorenzo Villani oggi ci parla di un tema sottovalutato ma di grande pregnanza, la secolarizzazione. La fine della storia coincide con la fine della politica e delle ideologie? Buona lettura!
Sono molteplici le sfumature e i fattori che costituiscono le società post-industriali, le quali sommano al loro interno componenti di fenomeni e processi sociali complessi. Il progredire di fattori originati in epoche distanti dalla nostra è oggi giunto ad un livello di sviluppo che talvolta evidenza una base comune a molti dei fenomeni che caratterizzano le comunità che quotidianamente viviamo. Fenomeni, quelli a cui mi riferisco, che seppur diversi dalla forma in cui si manifestano oggi, conferiscono in ogni caso un forte imprinting alla nostra moderna concezione di sistema sociale.
La modernizzazione così intesa, dunque, può definirsi come il prodotto evolutivo di un perpetuo cambiamento che, alla luce delle numerose correnti sociali a cui si è esposto nel corso della sua evoluzione, ha finito per generare una mutazione quasi genetica del suo profilo tradizionale. Ed è proprio sul concetto di mutazione da cui occorre partire, e dalle numerose ramificazioni di fenomeni che tale espressione assume in una moltitudine di conseguenze che rappresentano in maniera egemone le nostre società.
Fra tali fenomeni si colloca in primo piano la secolarizzazione.
Il termine secolarizzazione indica la graduale perdita del peso specifico nelle dinamiche politiche di fattori quali le ideologie e le appartenenze subculturali.
Il fenomeno si palesa con chiarezza a seguito della caduta del muro di Berlino nel 1989, pur manifestando tratti della sua emersione già nei decenni precedenti.
Tale processo è la risultante di un movimento storico che condurrà, nei primi anni ’90, ad un radicale ribaltamento dei rapporti di forza degli equilibri geopolitici che nel corso di quasi tutto il ‘900 avevano rappresentato le fondamenta politiche, ideologiche e sociali globali.
L’emersione della secolarizzazione, che procede parallela al rapido declino delle ideologie, rappresenta dunque la fine di un’epoca.
Si è soliti indicare tale periodo storico come la fine delle ideologie o, per citare Fukuyama, “la fine della storia“. Al netto di tali osservazioni, infatti, l’interpretazione dominante in materia è solita attribuire a tale fase di rottura una lettura neutra; la quale si limita semplicemente a decretare la sconfitta di una delle due potenze mondiali. Ma tale visione semplicistica riduce il dibattito ai minimi termini, in quanto se la guerra fredda fonda i suoi presupposti su una contesa fra le due ideologie, è chiaro che il fallimento di una delle due preveda la vittoria (e dunque l’egemonia) dell’altra. Da tale contrapposizione dunque non emerge una neutralizzazione di tutte le parti coinvolte. La secolarizzazione è uno dei prodotti dell’ideologia uscita vincitrice da tale conflitto.
La perdita di peso delle ideologie, intese come sistema dotato di una propria struttura normativa coerente coi fini che intende perseguire, non va collocato all’interno di un contesto unicamente politico. La secolarizzazione, infatti, essendo una linea organizzatrice che dal vertice della piramide sociale si dirige verso ogni periferia di quest’ultima, influenza ogni segmento della vita associata e individuale. Trattasi dunque di un oggetto complesso che sconfina in più territori, dalle arti alla letteratura, dalla filosofia alla psicologia, dal giornalismo alla burocrazia.
Sviluppo della secolarizzazione
In un’ottica complessiva occorre poi evidenziare come il fenomeno della secolarizzazione sia stato accompagnato da una trasformazione culturale e comunicativa in termini commerciali.
La trasmissione della conoscenza, dei valori politici e delle norme sociali è stata infatti progressivamente agevolata da una trasformazione in un‘ottica consumistica. La crisi scaturita dal crollo dell’apparato di certezze che fino a quel momento aveva caratterizzato il pilastro fondamentale sul quale si concentravano gli equilibri delle comunità necessitava di essere sostituito con altri pilastri, seppur inferiori qualitativamente e meno stabili. Una mancata sostituzione di tali certezze avrebbe significato il trasloco di intere comunità all’interno di universi sociali anomici, insicuri, privi di qualsiasi coerenza. Ed è in tale direzione che si innesta la progressiva instaurazione di apparati normativi con finalità prioritariamente di profitto: i quali si rivestivano di un indiscusso valore sociale che veniva costantemente meno nel suo compito di integrazione.
L’ideologia vincitrice, trovandosi sola in ogni attività di pianificazione e gestione culturale, condurrà la sua attività di egemonia parallelamente ad un sistematico svilimento dei prodotti informativi e culturali. Tale fenomeno di abbassamento del livello culturale trae la sua motivazione dai fenomeni concorrenziali e commerciali propri della nostra epoca, secondo cui, nel perseguimento di livelli di consumo sempre maggiori, sorgeva la necessità di fidelizzare con i settori più remunerativi del mercato. E da qui, sul versante della stampa e dell’informazione televisiva, il progressivo ricorso a narrazioni sensazionalistiche, scandalistiche, personalistiche.
Quest’ultima osservazione è relativa al mondo dell’informazione, il problema sorge quando fenomeni analoghi vengono adottati anche all’interno del campo politico. Se l’intero sistema informativo tende a convertirsi in un grande tabloid non c’è poi da meravigliarsi se congiuntamente l’intero universo politico si trasformi in un grande palcoscenico.
Gli effetti psicosociali della secolarizzazione
Va aggiunto che la secolarizzazione non ha riguardato soltanto i partiti, la loro visione del mondo e i contenuti dei loro messaggi, essa ha anche prodotto conseguenze in termini di effetti psicosociali. La soppressione delle ideologie ha infatti condotto a fenomeni che oggi contaminano qualsiasi forma di dibattito pubblico, quali la defidelizzazione, l’antipolitica, la disaffezione dell’elettorato. La sostituzione dei tradizionali apparati valoriali non ha dunque assolto al suo compito di spiegazione e descrizione della complessità sociale di cui ogni individuo necessita. La reazione di tale insoddisfazione è così esplosa nell’ambito dell’incertezza, del disinteresse e dell’allontanamento da qualsiasi tematica dal contenuto politico e pubblico.
La distanza che si crea fra il sistema della politica e la cittadinanza si esprime in un’ulteriore dimensione, consistente nella frammentazione dell’elettorato. Gli elettori, secondo le moderne strategie del marketing politico, vengono infatti divisi e studiati sulla base di ricerche sociodemografiche rivolti a specifici target. Lazarsfield, nel corso delle ricerche sugli effetti della comunicazione politica e pubblicitaria sui consumatori condotte dal Bureau of Applied Social Research nella Columbia University, giunse a delineare la teoria del determinismo sociale. Essa prevedeva che ogni individuo era portato ad esercitare il suo compito di analisi e valutazione della realtà politica sulla base della sua appartenenza sociale. Per cui il voto è sì un comportamento individuale, ma il suo esercizio è disciplinato da una serie di norme collettive che fanno principalmente riferimento alla collocazione sociale del singolo. La teoria di Lazarsfield nel corso della seconda metà del ‘900 acquistò rilevanza all’interno degli studi sociologici sul comportamento elettorale della massa. Ai fini dell’instaurazione del marketing politico e della piena attuazione del “pensiero unico“, l’elettorato che agiva secondo le logiche del determinismo necessitava di essere soppresso; si percepiva cioè la necessità di segmentare la popolazione. E non è un caso se negli anni ’90 Putnam ha evidenziato una dissoluzione della coesione sociale nel contesto statunitense.
Alla luce della nascita di un nuovo elettorato, e cioè di nuovi cittadini che agiscono coerentemente ad un nuovo sistema normativo, doveva corrispondere una nuova politica. La dimensione politica doveva cioè cambiare volto, adottare nuove tecniche comunicative e nuovi strumenti persuasivi. Le nuove modalità di presentazione della politica nel nuovo millennio, elaborate sulla base di numerosi studi condotti in ambito della sociologia dei media e del newsmaking sulle tecniche della persuasione commerciale, delineano un quadro che affonda le sue radici in tre grandi ambiti.
In primis, si registra la preponderanza del cambiamento di visione della politica in termini di soundbites. I messaggi politici, alienati ed estranei alla massa, necessitano in ogni caso di essere inseriti all’interno dell’opinione pubblica che, seppur disinteressata e talvolta contraria, deve mostrare comunque un certo orientamento sul campo delle preferenze. Non è dunque necessario che vi sia una cittadinanza critica e informata. La continuazione delle dinamiche politiche deve avvenire usufruendo di una massa indistinta di individui dotati di opinioni che, seppur deboli e disinformate, tendono alla legittimazione del sistema in cui vivono. La politica viene così diluita e contaminata in rapporto alla comunicazione di massa e per il tramite di programmi che si rivolgono alla grande moltitudine di cittadini. Nel corso di tale comunicazione la sfera politica non può fare altro che subire una sorta di effetto clip, ossia frammenti di dichiarazioni, brevi, semplici, dirette. In tale contesto, ulteriore fattore di rilievo è il peso ricoperto dalla spettacolarizzazione, consistente nella riduzione della discussione politica a un vero e proprio show. In ultima istanza va menzionato il fenomeno della personalizzazione della politica, in riferimento alla tendenza a minimizzare la figura del soggetto politico ad una vera e propria celebrità. Quest’ultimo, infatti, non viene più inquadrato all’interno di un’ottica idealista e valoriale, bensì viene esaltato a seconda delle dimensioni individuali che compongono la sua immagine. Weber, all’inizio del ‘900, aveva già evidenziato la sostanzialità all’interno delle dinamiche politiche del fattore del carisma personale, nonché il principale responsabile dell’impoverimento della formazione politica e culturale di ogni singolo soggetto che opera all’interno dell’arena politica. Tali fattori vengono poi sommati all’interno della più ampia dimensione dell’infotainment. Quel territorio, cioè, capace di coniugare al suo interno i tratti tipici dell’informazione e dell’intrattenimento al fine di sottomettere il dibattito pubblico e politici alle sole logiche delle esigenze produttive, alle finalità di intrattenimento e alla rappresentazione del pubblico prefissate dalle industrie mediali e dalle elite politico culturale governanti.
Il processo di cambiamento in atto e in continuo cambiamento mostra dunque un nuovo ordine sociale, il quale si adatta e adatta chi lo abita a logiche provenienti dalla medesima radice.
La sfera della politica e la sfera dei media di massa vengono così a contatto, instaurando rapporti dalla natura ibrida, ma che in ogni caso evidenziano una certa interdipendenza fra i due soggetti.
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