L’exploit elettorale della Cup: l’indipendentismo radicale scuote la Catalogna
Chi ha seguito le elezioni catalane di domenica scorsa si sarà accorto che, tra la schiacciante vittoria degli indipendentisti e il tracollo del centro-destra di Ciutadans, vi è sicuramente un vero grande vincitore: la Candidatura d’Unitat Popular (Cup) di Dolors Sabater.
I militanti dell’estrema sinistra indipendentista raggiungono ben 9 seggi, diventando, citando Catalan News, i veri e propri “kingmakers” dello scenario politico catalano.
Il risultato della CUP con i suoi nove seggi pone di fronte ad un interrogativo enorme: cosa faranno le altre forze indipendentiste, proprio ora che sono costrette ad includere nel governo una formazione così radicale ed antiborbonica come quella di Sabater?
Resta infatti a dir poco improbabile un governo tra gli indipendentisti e il PSC, mentre sono state ufficialmente inaugurate delle trattative che dovrebbero andare a coinvolgere En Comú Podem, l’ala catalana di Podemos.
Partiamo quindi da questi ultimi nella nostra analisi: il loro posto è stabile con otto seggi.
Sicuramente possiamo rivelare la solita natura ambigua di questa forza politica nei confronti dell’indipendentismo, essendo l’unica che non ha mai realmente preso posizione ufficiale. Tuttavia, considerevole è ricordare che la campagna elettorale di En Comú sia stata guidata da Jéssica Albiach, uno dei volti più critici nei confronti dell’indipendentismo all’interno del partito. En Comú può sicuramente constatare per l’ennesima volta una sorta di fidelizzazione del suo elettorato, cosa che fino ad un certo punto vale anche per Podemos stesso in termini nazionali. Esprimendo Colau come sindaca di Barcellona e uscendo senza troppe schegge da queste travagliate elezioni, i seguaci di Albiach possono perlomeno tirare un sospiro di sollievo.
Buon risultato per la branca catalana dei socialisti, oggi al governo nazionale, toccando una vetta più che rispettabile del 23%. Tuttavia, è difficile immaginarli al governo con Esquerra, dato il forte sostegno del PSOE – ergo anche della sua filiale catalana – alla casata borbonica.
Se andiamo ad osservare il blocco indipendentista (ERC+Junts+CUP) vediamo che per la prima volta nella storia l’indipendentismo oltrepassa la soglia del 50% dei voti, il che mostra un fallimento su tutti i fronti della strategia repressiva di Madrid. Che non pare comunque aver imparato, dato che l’autoritarismo borbonico si manifesta oggi nella sua forma più dura contro il rapper incarcerato Pablo Hasel, colpevole di “ingiurie alla Corona”.
Il laboratorio Catalogna ha sicuramente negli ultimi mesi subito profonde modifiche per quanto riguarda la galassia indipendentista. Appare subito agli occhi la sconfitta e la scomparsa dell’ala destra del movimento indipendentista, ovvero il PDeCAT, già in precedenza espulso dall’alleanza con Junts. Interessante è proprio andare ad osservare come Junts sia oggi, dopo la CUP, la frangia più oltranzista dell’indipendentismo catalano: tutto ciò, ripeto, dopo la cacciata dei liberali, Carles Puigdemont e i suoi fedelissimi hanno ristrutturato il partito, realizzando una sorta di Junts 2.0, unendo radicalismo, socialismo, populismo, trasversalismo ed insistenza sulla democrazia diretta.
A differenza dei fedelissimi di Puigdemont, sempre più spinti a sinistra verso le braccia della CUP, Esquerra – che ha ottenuto stavolta il 21% – ha conosciuto una fase di ammorbidimento delle sue posizioni. La base del partito è sempre più moderata, tant’è che ERC è oggi la più propensa a trattare sia con lo Stato spagnolo, sia con la grande borghesia catalana. Non stupirebbe forse più di tanto, io credo, vedere un corteggiamento da parte di Esquerra del vecchio elettorato, ora orfano, del PDeCAT.
Da notare come nonostante l’ingresso dell’estrema destra di Vox, se dovessimo sommare i voti di liberali, conservatori e reazionari (C’s+PP+Vox) raggiungeremmo poco più del 15%. Mentre se sommassimo i voti “sovranisti”, cioè che riconoscono l’autodeterminazione della Catalogna (indipendentisti + En Comú), arriveremmo ad occupare una parte estremamente consistente della società catalana, ben oltre la metà.
È anche vero che in queste elezioni molti commentatori hanno fatto notare la bassa affluenza, presumibilmente legata al fattore Covid, forse in alcuni casi nel tentativo di sminuire la portata della spinta indipendentista.
La figura di Dolors Sabater sicuramente è stata un fattore chiave per l’ascesa della CUP. Una donna coraggiosa dei quartieri poveri di Badalona, lavoratrice e radicalmente indipendentista: l’ideale raffigurazione della lotta contro l’oppressione in ogni sua forma.

Sicuramente la CUP ha visto crescere il proprio consenso anche in funzione Anti-Vox, per rabbia ed esasperazione di una popolazione, a detta di Dolors, afflitta da tre crisi: quella sanitaria, quella economica e la crisi democratica. Da notare come l’impianto della CUP sia estremamente particolare dal momento che si tratta dell’unica forza parlamentare europea a dichiararsi “municipalista”: appare evidentemente una chiara commistione tra il nazionalismo catalano e la gloriosa tradizione della Federazione Anarchica Iberica. Proprio come Junts e i suoi fedelissimi a Puigdemont, anche la CUP dedica estrema importanza alle consultazioni popolari e valorizza il concetto di democrazia diretta.
Ora la CUP, che in questi giorni ha proposto un interessante reddito di base, potrebbe giocare un ruolo chiave attraverso la figura di Sabater, vicina tanto ad En Comú quanto alla galassia indipendentista, rendendo più facile intavolare le trattative.
Concludo dicendo di ricordare a Madrid e ai sovrani che è già per la terza volta consecutiva che i catalani chiedono il diritto all’autodeterminazione, e la percentuale di indipendentisti cresce, oltre ad occupare uno spazio politico sempre più estremo e dichiaratamente di sinistra.
Se oggi la CUP festeggia, può dire chiaramente “Grazie Madrid”
La gent del país és persistent en seguir reclamant les urnes i un canvi per deixar d’estar al servei de les elits. Hem vingut a plantar cara
Dolors Sabater
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