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Il massacro perenne del sistema scolastico

Il massacro perenne del sistema scolastico

Il ministro dell’Istruzione Fioramonti ha dato le dimissioni. Pur avendolo criticato più volte devo dire che questa volta ha agito con dignità e correttezza, mantenendo la parola data.

Il problema del mancato miliardo di ripristino dei finanziamenti precedenti, che è la ragione addotta per le dimissioni, è naturalmente un aspetto simbolico. Il punto non è che un miliardo supplementare avrebbe rovesciato le sorti della formazione pubblica nel nostro paese. Il punto è che una volta di più, come è accaduto praticamente senza eccezioni negli ultimi decenni, la pubblica istruzione è stata considerata un ambito marginale, minore, dove ‘fare cassa’ se necessario. E bene ha fatto il ministro a segnalarlo.

I problemi della formazione pubblica in Italia sono colossali. Siamo il paese OCSE che ha colpito più duramente i finanziamenti di Scuola, Università e Ricerca dopo la crisi subprime, pur partendo già da uno standard di finanziamento basso.

Decenni di ristrettezze economiche si sono accavallate con una miriade di “riforme a costo zero” con l’intento – drammaticamente imbecille – di rendere efficiente il sistema affamandolo.

Questo è stato l’argomento costante in tutte le ‘riforme‘ che si sono succedute, il cui senso è sempre stato quello di ‘unire l’utile al dilettevole’, perseguendo il sogno cretino dei nostri ceti dirigenti: migliorare tagliando.

La dinamica nella Pubblica Istruzione non è dissimile da quella che è stata applicata in altri ambiti, salvo che per la particolare intensità con cui si è preteso di ‘riformare’ il sistema.

Si partiva dalla constatazione di problemi e carenze, per dire e dirsi che un sistema così problematico non meritava di essere senz’altro finanziato: prima bisognava ‘riformarlo’ e poi i finanziamenti sarebbero venuti, riversandoli su di un sistema finalmente virtuoso e funzionale.

Ma naturalmente ogni ‘riforma a costo zero’ è di fatto un incremento di lavoro collaterale, di aggiornamento, di burocrazia che di fatto sottrae risorse alle finalità primarie dell’Istruzione. Perciò l’esito fatale di tutte le nostre ‘riforme’ (praticamente una a legislatura dal 1990) è sempre stata quello di peggiorare il servizio e demotivare la docenza.
In attesa di incrementi del finanziamento mai pervenuti.

Da tempo oramai scuole e università perdono una quantità colossale di tempo e risorse nel solo espletamento di una miriade di attività collaterali che dovrebbero servire sulla carta a migliorare il servizio, ma che in effetti si risolvono in una rincorsa a compiacere la burocrazia ministeriale per poter accedere a finanziamenti condizionali che permettano di sopravvivere.

Si sono messi in piedi sistemi barocchi di rendicontazione di tutto, dai dettagli più meschini delle spese di cancelleria, o delle missioni, al tentativo di raggiungere ‘target’ farlocchi, parametri di ‘qualità’ che solo per un caso fortunato possono cogliere fenomeni reali; si passa il tempo a redigere rapporti preparatori, autovalutazioni, curricula ‘europei’, prospetti, resoconti di ogni attività svolta da amplificare in termini autoelogiativi, a inviare documentazioni, a svolgere statistiche incrociate, a sottoporre ‘prodotti’, a dispiegare ‘progetti’ che diano l’impressione di essere ‘dinamici e attrattivi’ e consentano di attingere a qualche mancia.

In questa atmosfera delirante, studiare e insegnare sono divenuti sempre più aspetti marginali, alla cui coltivazione si può dedicare il tempo libero.

Mettersi a fare qui un elenco dei problemi contemporanei del sistema dell’Istruzione pubblica è improponibile. Dai sistemi di selezione del personale, ai salari, alle infrastrutture cadenti, alla totale mancanza di prevedibilità delle cadenze concorsuali, ecc. ecc. bisognerebbe fare un’indagine conoscitiva sul campo prima anche solo di iniziare a immaginare modifiche di qualunque natura.

Una cosa però è certa. Se si vuole arrestare il collasso del sistema della pubblica istruzione bisogna iniziare a fare due cose che sono l’esatto inverso di quanto è stato fatto finora: bisogna procedere ad una seria riduzione degli obblighi burocratici, ad una delegificazione e semplificazione che riconsegni risorse allo studio (inclusa la ricerca) e all’insegnamento; qui si possono mantenere alcune delle riforme fatte, dedicandosi a migliorarne l’implementazione, ma eliminando al contempo tutta una miriade di obblighi burocratici che non incidono in alcuna misura sul cuore dell’istruzione.
E poi bisogna puramente e semplicemente rimettere del denaro in circolo, non nella forma di ‘sforzi eccezionali’ una tantum, ma in quella di un incremento, magari moderato, ma di cui si garantisce la permanenza nel tempo, in modo da consentire programmazioni sensate, uscendo dal perenne spirito di emergenza e ‘ultima spiaggia’.

Andrea Zhok (Trieste, 1967) si è formato presso le università di Trieste, Milano, Vienna ed Essex. Attualmente insegna Antropologia Filosofica presso l’Università degli Studi di Milano. Tra le sue pubblicazioni monografiche: "Il concetto di valore: tra etica ed economia" (Mimesis 2001); "Lo spirito del denaro e la liquidazione del mondo" (Jaca Book 2006); "Emergentismo" (Ets 2011); "La realtà e i suoi sensi" (Ets 2012).

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