I morti della pandemia e il dovere del ricordo
A primavera l’impennata di morti legata al Covid-19 e la tragedia di aree come Brescia e Bergamo hanno sconvolto l’intera nazione. Nella seconda ondata le morti di Covid, aumentate in tutta in Italia, sono passate in secondo piano nel discorso pubblico e nel mondo mediatico è calato l’interesse per capire le ragioni della tragicità del caso dell’Italia, primo Paese tra i più popolosi e sviluppati della Terra in quanto a morti in rapporto alla popolazione. In vista delle festività il ricordo dei morti per la pandemia, che a fine anno saranno più di 70mila, appare doveroso per tutta la comunità nazionale.
Inizialmente erano “solo anziani”, magari “con patologie pregresse”, malati da tempo, irrilevanti se non a meri fini statistici. Per alcuni erano comunque meno di quelli di influenza, meno di quelli di qualsiasi patologia, per altri erano lo spauracchio da agitare ricordando le bare di Bergamo portate nei camion militari. Da un mese e mezzo sono centinaia al giorno, appartenenti in larga misura alla generazione con la schiena dritta che col lavoro e il sudore ha portato l’Italia da nazione distrutta a potenza mondiale. La memoria storica della nazione, la generazione dei nonni che una stucchevole retorica vorrebbe contrappore a quelle più recenti, non certamente per causa loro dimenticate.
Via via sono diventati statistica, e anche a ridosso del Natale nei media e nella politica sembrano essere scomparsi.
La rimozione dei morti di Covid del 2020 dal discorso quotidiano, dal ricordo e dal dibattito di un Paese che ha il triste primato dei decessi in rapporto alla popolazione per coronavirus tra i Paesi più popolosi e sviluppati della Terra, la riduzione del computo quotidiano a un macabro bollettino statistico e un sostanziale calo dell’attenzione sulle motivazioni di una mortalità tanto alta sono uno dei fenomeni più contraddittori dell’anno della pandemia.
A marzo e aprile abbiamo avuto un nuovo contatto con la morte come fenomeno collettivo, siamo stati travolti emotivamente e psicologicamente dai necrologi che si moltiplicavano nei paesi e nelle regioni epicentro della pandemia. Erano quindici le pagine nel bimestrale parrocchiale di Orzinuovi, piccolo paesino bresciano da 12mila abitanti, dopo la tragedia di primavera.
Ora che la mortalità è aumentata in tutto il Paese per la seconda ondata sembra di esser tornati al punto di partenza, la sottovalutazione e le giustificazioni alternative sembrano tornati all’ordine del giorno. Fino alla tragedia autoreferenziale di un esperto, Matteo Bassetti, che ci ricordava in televisione, alcune settimane fa, che i morti da noi sono tanti perchè noi li contiamo tutti (come a non cogliere la tragica ironia in tutto ciò) e che forse fosse da sospettare un errore di conteggio.
Per mesi ci si è chiesti se la mortalità da Covid avrebbe inciso sul bilancio annuo finale dei decessi in Italia. In un suo recente intervento il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, parlando ad ‘Agorà’ su Rai3, ha dato la risposta: inciderà, eccome.
Blangiardo ha detto che”è chiaro che la previsione” dei morti per l’intero 2020, tenendo presenti i dati certi del periodo gennaio-settembre e lo scoppio della seconda ondata a ottobre, “fa pensare che quest’anno, purtroppo e facilmente, supereremo il confine dei 700mila decessi complessivi, che è un valore preoccupante. Pensi che una cosa del genere in Italia era successa nel 1944, l’ultima volta che siamo andati oltre i 700 mila morti eravamo nel pieno della Seconda guerra mondiale. Quindi, purtroppo, è un anno particolarmente sfortunato”.
Cosi’, ricordando che “nel 2019 il dato è stato di 647.000 morti”, il presidente dell’Istat ricorda che nel periodo gennaio-settembre la variazione dei decessi è stata un +9% su base nazionale, con picchi del +35% in Lombardia e solo due regioni sotto il +5%, Valle d’Aosta e Veneto.
Purtroppo questi dati vanno letti assieme a un altro tema fondamentale: l’incentivo alla denatalità. Il 2019 ha messo in luce, per il settimo anno consecutivo, un nuovo superamento, al ribasso, del record di minor numero di nati mai registrato: si tratta del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918.
E quest’anno andremo, con ogni probabilità, ancora oltre, scendendo da 435mila a sotto quota 400mila. Fermo restando che le conseguenze di lungo periodo della pandemia sull’economia e la società non impongano, negli anni a venire, ulteriori crolli.
Tra una generazione, quella più anziana, che molto spesso nel silenzio è stata decimata e una che vede la luce a ranghi sempre più ridotti questa pandemia lascerà un profondo impatto demografico, lasciandolo, come fatto da ogni evento epocale (guerre incluse), quale principale e più visiva cicatrice del suo passaggio. Viene un brivido a pensare che i morti di Covid in Italia a fine anno saranno oltre 70mila e i morti totali oltre 700mila, come non accadeva nel 1944. Interrogarsi su questi numeri, sul perchè di una sofferenza tanto grande è la missione che la comunità nazionale dovrebbe darsi in vista delle festività. Stringendosi con forza a chi le vivrà avendo a fianco vuoti incolmabili.