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La Sospettosità Siciliana: II puntata

La Sospettosità Siciliana: II puntata

“… La sola nozione che l’uomo siciliano ha del peccato si può considerare condensata in questo proverbio: Cu havi la cummidità e nun si nni servi, mancu lu confissuri ca l’assorvi; che è appunto l’ironico rovesciamento non solo del sacramento della confessione ma del principio fondamentale del cristianesimo: non sarà assolto dal confessore colui che non saprà profittare di ogni comodità ed occasione che gli si offre, della roba altrui e della donna altrui in particolare. Ed è da questo atteggiamento nei riguardi dell’altrui che sorge quel senso di precarietà ed insicurezza nei riguardi del proprio: quell’acuta e sospettosa vigilanza, quell’ansietà dolorosa, quella tragica apprensione di cui la donna e la roba sono circondate e che costituiscono una forma di religiosità se non di religione“. (Leonardo Sciascia, Morte dell’inquisitore)

1. Regolazione Locale e Regolazione Economica.

Numerosi contributi sulla storia d’Italia mettono l’accento sul debole senso nazionale degli italiani e sottolineano il peso che hanno avuto le tradizioni locali nel determinare scelte, vocazioni, fortune e sfortune economiche dell’Italia post-unitaria [Romanelli 1991][1]. Altri storici, di tradizione anglosassone, sostengono che l’istituzione italiana più efficiente si è rivelata, anche in questo secondo dopoguerra la famiglia [Ginsborg 1989]. Si può anche dire che non esiste un sistema politico nazionale, da studiare come valida unità di analisi [Dente 1990][2]. Se poi si vanno a vedere le caratteristiche dell’economia si può affermare che il capitalismo italiano, tra quelli occidentali, sembra quello a minor tasso di mercato concorrenziale e di maggior presenza di potere politico [Prodi 1991] e che le stesse imprese preferiscono colludere piuttosto che competere [Onida 1992].

Per l’Italia, quindi, ci troveremmo nella condizione di dover constatare, contemporaneamente, l’assenza di uno Stato e di un mercato nazionale quali regolatori generali. Al contrario, è ragionevole ipotizzare un modello di crescita che si sia basato sulle caratteristiche dei sub-sistemi locali: inevitabile rifarsi a [Bagnasco 1977] che ha cercato di spiegare le peculiarità localistiche italiane (soprattutto le forme dell’economia) sulla base delle organizzazioni economiche e sociali storicamente precedenti.

Una conferma indiretta si ha in [Ganne 1991] che studia il rapporto tra localismo ed attività di impresa. L’autore francese riflette sull’impossibilità di trasferire in Francia il modello dei distretti industriali italiani del centro-nord. La scomparsa del notabilato locale francese e della sua funzione di regolazione sociale (alla fine della seconda guerra mondiale, ad opera di un’azione interventista dello Stato) ha fatto venir meno una delle caratteristiche essenziali del modello localistico: il bacino territoriale inteso come sistema economico che nella sua interezza interagisce con l’esterno. Quindi: interno ed esterno, considerati in termini geografici, influirebbero anche sul comportamento degli attori economici. Al contrario, quando le aziende sono organizzate in cluster di settore intendono come esterno le aziende di un diverso settore economico, anche se localizzate a poche centinaia di metri. Per queste aziende il territorio perde la sua funzione identificativa, assumendo per lo più qualità di servizio: più o meno attrezzato, più o meno vicino ai mercati di approvvigionamento e di sbocco.

Il saggio di Ganne ci permette di fare alcune considerazioni. In primo luogo si definisce un sistema economico locale attraverso lattività di regolazione sociale. In secondo luogo, collega l’impossibilità della sua esistenza ad un certo tipo di azione statale esterna, sostitutiva appunto della regolazione locale.

Possiamo ipotizzare quindi che la perdurante assenza di regolazione statale efficace abbia favorito in Italia il mantenimento o la formazione dei sistemi locali, anche economici, con caratteristiche regolative peculiari a seconda delle caratteristiche originarie di partenza.[3]

Non riteniamo del tutto soddisfacente una spiegazione dell’esistente fondata esclusivamente su elementi del passato perché si rischia di sottolineare le continuità e sottovalutare le discontinuità; e si trascura la ricerca di altre possibili spiegazioni. Tuttavia, il ragionamento vale per dimostrare che mercatoimpresaconcorrenza possono essere definiti in maniera diversa, a seconda dei luoghi e delle epoche.

La questione delle forme storiche del funzionamento del mercato ha avuto impulso tramite lo studio delle variabili non-economiche che determinano i criteri di utilità degli attori economici.

Un paio di volumi possono aiutare ad avere una panoramica degli approcci possibili: [Sapelli 1990] e [Magatti 1991]. Nell’Introduzione alla sua antologia di autori, Magatti riflette sugli sviluppi recenti e meno recenti di questo filone di studi. Certo, è interessante la citazione da Max Weber [1964] che permette di introdurre il concetto di regolazione del mercato e che rende possibile delimitarne le regole e le forme d’azione ai fini della ricerca sociale: “Nel considerare le strutture economiche, non è mai legittimo ignorare l’esistenza o l’assenza di gruppi con un potere di regolazione dell’attività economica, né ignorare gli scopi fondamentali della loro regolazione. I modi in cui il profitto viene ricercato sono fortemente influenzati dalle regolazioni sociali e non sono solo le corporazioni politiche che sono importanti a questo riguardo.”

Possiamo aggiungere un criterio che permette di moltiplicare il numero delle dimensioni di analisi: [I comportamenti degli uomini sono] forse ugualmente interessati, ma sicuramente non nello stesso modo né agli stessi oggetti. Un sapere autentico della storia e del sociale non passa dunque per la questione indecidibile se gli uomini sono interessati, bensì per quella della diversità dei loro interessi e non interessi, nonché delle possibili contraddizioni che vietano qualsiasi postulato di razionalità a priori [Caillè A. 1988].

Sviluppando queste considerazioni, ci sembra legittimo affermare che se gli uomini sono interessati ad oggetti diversi, spesso oggetti uguali possono essere investiti da interessi diversi. In altre parole: spesso gli uomini fanno le stesse cose ma gli attribuiscono importanza e significato differenti.

Così, siamo indotti a ritenere che proprio la regolazione locale interna ad un sub-sistema acquista per gli attori di quel contesto un significato peculiare: possiamo dire che la forma della regolazione sociale locale può strutturare la forma dello scambio economico verso l’esterno, oltre che determinare i criteri di identità su cui si basano le relazioni interne.

Il punto chiave del ragionamento è la considerazione che in occasione di modificazioni dell’economia e della società che portino un sistema o un sub-sistema all’apertura verso l’esterno, le forme della regolazione interna possono essere utilizzate come risorsa di relazione verso l’esterno. Cosicché invece di avere una tendenziale e progressiva omologazione (quando cioè la regolazione locale cambia e diventa uguale a quella esterna) si ha, al contrario, un consolidamento degli equilibri interni esistenti ed una loro ri-funzionalizzazione.

Perché ciò possa avvenire devono esserci ovviamente cause esogene e cause endogene. Tra le cause esogene (ai contesti locali) abbiamo fatto cenno all’assenza in Italia di un meccanismo che avrebbe potuto favorire l’omologazione: una forma-nazione incompiuta ed uno sviluppo capitalistico insufficiente, che hanno mancato di produrre un vasto e consolidato ceto dirigente nazionale. Tra le cause endogene, una forte stabilità e coesione interne.

Bibliografia

Bagnasco A. 1977, Tre Italie, La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna: il Mulino

Caillè A. 1988, Mitologia delle scienze sociali, Braudel, Levi-Strauss, Bourdieu, Torino: Bollati Boringhieri

Dente B. 1990, (a cura di), Le politiche pubbliche in Italia, Bologna: il Mulino

Ganne B. 1991, Sistemi industriali locali: che cosa insegna una comparazione tra Francia e Italia, Stato e Mercato n. 31

Ginsborg P. 1989, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e politica (1943\88), Torino: Einaudi

Magatti M. (a cura di) 1991, Azione economica come azione sociale. Nuovi approcci in sociologia economica, Milano: Franco Angeli

Onida F. 1992- Un’economia di collusione: il nostro sottosviluppo, Il Giornale dei libri, Novembre.

Prodi R. 1991, In quale capitalismo c’è posto per l’Italia, Il Mulino, n.1

Romanelli R. 1991, La Rivista dei libri, Giugno

Sapelli G. 1990, L’impresa come soggetto storico, Milano: Il Saggiatore

SISSCO 1991, Una d’arme di lingua d’altar”. La Nazionalizzazione culturale degli italiani- I seminario Annuale della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea- San Marino in Bentivoglio, Bologna 26-28 marzo 1991

Weber M. 1964, The Theory of Social and Economic Organization, New York: The Free Press of Glencoe.

Note


[1]. Si veda anche la bibliografia ivi citata, soprattutto [SISSCO 1991].

[2]. È un’antologia che raccoglie 17 saggi di autori diversi, divisi in 4 aree (politiche istituzionali, politiche economiche, politiche territoriali, politiche sociali) al fine di individuare un comune denominatore.

[3]. Tutte le analisi condotte sui distretti economici del Centro-Nord hanno sottolineato lo stretto legame di questa particolare forma di organizzazione della produzione con le forme economiche del periodo storico precedente. Per rimanere all’Emilia Romagna: la tipologia della produzione si presenta o come sviluppo di una precedente produzione artigianale (la ceramica) o (per la meccanica fine) come evoluzione di una produzione inizialmente di servizio a quella originaria (la meccanica per l’agricoltura). Anche il rapporto tra i produttori sarebbe una continuazione isomorfa dei precedenti rapporti intraziendali ed interaziendali. Intraziendali: la modalità di conduzione mezzadrile o affittuaria fondata sulla produttività del fondo (che ha avuto più successo socialmente ed economicamente della proprietà rentier) spiegherebbe la dimensione medio-piccola delle imprese industriali, la loro dinamicità e capacità di adattarsi ai cambiamenti. Interaziendali: il rapporto tra i produttori di un distretto viene visto come rapporto tra eguali fondato sull’appartenenza ad un comune territorio, alla sua tradizione, alla sua unicità identitaria. Quest’ultimo elemento in particolare spiegherebbe la monocultura tendenziale dei distretti (meccanica, ceramica) e la visione del mercato di approvvigionamento e di sbocco come dimensione logica esterno in termini geografici.

[4]In foto: Chiesa di San Giovanni Evangelista patrono di numerose società segrete tenuto in alta considerazione dalla massoneria.

Indice

I Puntata (Premessa; Introduzione: a) La sospettosità siciliana come convenzione sociale; b) Gli Imprenditori; Bibliografia; Note).

II Puntata (Capitolo 1. Regolazione Locale e Regolazione Economica; Bibliografia; Note).

III Puntata (Capitolo 2. Le Ipotesi Storiche; 2.1. Le Due Inchieste Del 1875; Bibliografia; Note).

IV Puntata (Capitolo 3. L’importanza Dei Ceti Medi.; 3.1. La Mafia; 3.2. Il Ceto Medio Clientelare; 3.3. I Valori di Riferimento;Bibliografia; Note).

V Puntata (Capitolo 4. La Fiducia Come Strumento di Analisi; Bibliografia; Note).

VI Puntata (Capitolo 5. Teoria Dei Giochi ed Analisi Sociologica: Il Caso Siciliano; Bibliografia; Note).

Nato nel 1955, Laurea in Scienze Politiche. Al suo attivo pubblicazioni a stampa, progetti e rapporti di ricerca, missioni di lavoro in Venezuela, Russia, Ucraina, un lungo soggiorno di studio e lavoro negli Stati Uniti.

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