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Le radici libertarie degli Usa e la New Left

Le radici libertarie degli Usa e la New Left

Dopo averci parlato nei giorni scorsi delle principali tappe storiche del socialismo libertario, Giuseppe Gagliano approfondisce oggi la componente americana di questa corrente politica.

Esiste un libertarismo molto vicino all’anarchismo, per non dire un vero e proprio anarchismo, peculiarmente americano, autoctono, inteso come essenza dello spirito libero, antiautoritario, della nazione ed espressione della tradizione radicale del paese?

Si tratta di una domanda a cui ormai la quasi totalità degli studiosi non solo riconosce fondatezza ma attribuisce rispose positive, anche se ognuno dà del fatto un’interpretazione che si presenta con accentuazioni più o meno sfumate nel senso dell’identità specifica, unica, di questo carattere nazionale o nel senso di un background originale su cui si sono in ogni caso innestati fenomeni comuni anche ad altre realtà storiche che hanno conosciuto l’anarchismo tradizionale.

Quello che importa per il momento è che si conceda come dato di fatto che esiste un singolare spirito utopico-libertario coincidente con l’essenza stessa della nazione americana, caratterizzato da un desiderio di autonomia in cui possano trovar posto le legittime aspirazioni alla libertà e alla realizzazione individuale.

In un paese dove sono confluite le istanze di libertà di coscienza e di personale scelta di stili di vita tipico delle sette riformate, molte delle quali abbandonarono l’Europa proprio in cerca di un luogo e di un ambiente dove poter esprimere la loro cultura altra rispetto a quella dominante, oltre che istanze antistatuali proprie di uomini per i quali lo spirito della nuova frontiera in grado di dare uno sbocco al proprio desiderio di vita autonomamente gestita era una realtà profondamente sentita, un’autentica vena libertaria quale si è espressa nel corso del tempo non può che apparire come la naturale conseguenza dei fattori di partenza.

Quello che potrebbe apparire semplicemente come liberalismo dei padri fondatori aveva infatti in realtà come presupposti elementi che, se possono apparire a volte anche contraddittori tra loro, hanno però un comune denominatore che poggia sulla fiducia nella ragione individuale e nel progresso, sulla volontà di proteggere un’area personale al di là delle più o meno marcate ingerenze dell’autorità centrale, sul rifiuto di un’etica valida in assoluto, su un pronunciato individualismo a cui nello stesso tempo si accompagna la ricerca della possibilità di realizzare nuove esperienze comunitarie, sul credo in uno sviluppo naturalmente positivo della società e del mercato al di fuori di cogenti interventi dello stato.

Non stupisce quindi se in un paese come questo, nato sulle ceneri del “vecchio” rappresentato dal continente europeo e sulla volontà di nuove realtà al riparo dal dominio di autorità politiche e sociali, siano potuti germogliare fenomeni come la rivendicazione dell’autonomia individuale e collettiva del periodo jeffersoniano, l’abolizionismo antistatuale e l’anarchismo di un Josiah Warren nel primo trentennio dell’Ottocento, le esperienze bohémiennes degli anni Cinquanta di quel secolo, la nascita e lo sviluppo di organizzazioni operaie di matrice anarchica che hanno interessato gli anni tra la fine dell’ Ottocento e gli inizi del Novecento e tutti quei movimenti alternativi del secolo appena trascorso che sono sfociati nella beat generation, nel pacifismo anni Cinquanta, nella controcultura hippy, nella contestazione che ha investito le università nel ’68 e in quel movimento no global dei giorni nostri che ha una forte rappresentanza all’interno della nazione.

E’ opportuno a questo punto chiedersi se esistano differenze tra il libertarismo/anarchismo europeo e quello americano e, in caso affermativo, in che cosa consistano.

Pietro Adamo nel suo recente studio sull’anarchismo americano del Novecento rimarca che fino agli anni Settanta del secolo scorso gli storici e gli attivisti reputavano il libertarismo anarchico europeo come “la tradizione”, considerandolo un fatto riguardante l’Italia, la Francia, la Spagna, con riflessi di una certa importanza anche in Germania, Russia, Belgio, Inghilterra e, dopo l’emigrazione di gruppi di anarchici in America latina, anche quella zona. Ciò che avveniva negli Stati Uniti era considerato marginale, persino al tempo e negli anni successivi alla vicenda, pure di risonanza internazionale, di Sacco e Vanzetti, probabilmente per la precoce scomparsa dell’anarchismo come forza popolare di peso. E ciò nonostante che la rivista Liberty di Benjamin Tucker fosse largamente presente nei circoli anarchici del vecchio continente.

Adamo tuttavia attribuisce un peso maggiore relativamente alla scarsa o non esistente considerazione del pensiero libertario americano rispetto a quello della “tradizione” alle differenze che si percepivano e che erano tuttavia presenti tra i due movimenti. Quello europeo nasceva sul terreno della Rivoluzione francese, vista come un ribaltamento della storia e come un fondamentale evento eversivo fruttifero di ulteriori sviluppi insurrezionali che avrebbero fatto piazza pulita delle ormai decrepite autorità e istituzioni statuali ed economiche.

Esso con l’andar del tempo si era inoltre nutrito di materialismo storico e concepiva lo scenario politico e sociale in termini di scontro di classi e di modi di produzione, aveva insomma al suo fondo un’impronta comunista, anche se non riconosceva nel marxismo la possibile via di soluzione ai problemi, dato l’autoritarismo che era emerso ben presto esserne alla base.

Il libertarismo americano nasceva invece da presupposti e tensioni di matrice prevalentemente “esistenziale” e prefigurava non tanto uno scontro frontale con lo stato, quanto piuttosto una progressiva ritirata da quest’ultimo, condotta in termini gradualistici, senza scossoni rivoluzionari, anche perché in effetti gli americani si consideravano già figli di una rivoluzione, quella che aveva portato alla nascita della loro nazione.

Le radici del libertarismo Usa

Il libertarismo americano era dunque più centrato su esigenze di libertà e di sperimentazione di nuove soluzioni sul piano non solo economico, ma anche nella sfera educativa, sessuale, culturale,  ciò a cui gli anarchici europei arriveranno con largo ritardo, circa un secolo più tardi rispetto alla tendenza americana.

Se queste sono le caratteristiche di fondo, senza tuttavia voler negare l’apporto degli immigrati anarchici europei, che pure ci fu soprattutto fra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento in coincidenza con il generale movimento migratorio verso gli Usa del periodo, cercheremo ora di considerare lo stato del libertarismo americano più vicino ai nostri giorni, che ha visto dominare la New Left a cui si sono affiliati tanti aderenti a quello spirito delle origini cui essa sembrava rispondere, a cominciare da tutto il mondo dei vari movimenti controculturali che hanno agitato il paese dalla fine degli anni Cinquanta fino ad oggi, oltre che figure di peso di intellettuali che hanno sviluppato un proprio autonomo pensiero, divenendo leader dell’antagonismo conclamato al sistema.

Tra i diversi gruppi che costituirono il substrato della controcultura di quel periodo e della nuova sinistra vanno annoverati il “movimento per i diritti civili” e un insieme composito di diverse forme organizzative cui partecipavano non solo i neri discriminati di origine afroamericana, ma anche portoricani, nativi, asiatici, sostenitrici del femminismo, omosessuali, poveri, pacifisti, socialisti progressisti e il movimento degli studenti.

La New Left

La New Left radicale, come ben sintetizzò il sociologo C. Wright Mills in una lettera aperta scritta nel 1960 intitolata Letter to the New Left, si presentava come una nuova ideologia di sinistra intesa a portare avanti non istanze operaistiche come aveva fatto la vecchia sinistra ma esigenze esistenziali centrate sui problemi irrisolti dovuti all’alienazione, al disagio, all’autoritarismo e agli altri mali prodotti dalla società moderna. Non per niente la nuova sinistra aveva avuto come progenitori gli esponenti della beat generation con tutto il malessere che poteva esprimere la loro generazione “bruciata”, per esprimerci nei termini del film cult diretto da Nicholas Ray. E non per niente nei più giovani, nei “figli dei fiori”, i baby boomers nati nella società dei consumi ormai avviata all’apice del suo sviluppo, essa dissolse il suo potenziale di rinnovamento sociale in una vaga utopia galleggiante sui miti dell’amore, di un pacifismo apolitico, sui paradisi delle droghe dove cercar rifugio da una società percepita come innaturale o, come avevano detto e avrebbero ripetuto gli intellettuali di matrice comunista e marxista, “alienata”.

A tutto questo magma di fermenti antiautoritari che gravitava all’interno e intorno alla New Left e vi trovava un punto di aggregazione, secondo vari autori lo spirito libertario proprio dell’anarchismo aveva insegnato molto, nonostante non ne fosse stata percepita la provenienza.

Come scrisse infatti George Woodcock ripupplicando nel 1986 il suo testo del 1961 fondamentale per la storia del movimento anarchico americano Anarchism. A History of Libertarian Ideas and Movements, in cui aveva dato sostanzialmente per spacciato l’anarchismo negli USA, «…[esso] è riemerso in nuove forme, adattandosi a un mondo in mutazione».

Quali fossero queste nuove forme è facile capirlo da quanto sopra detto riguardo ai movimenti di protesta e alla New Left, circa i quali, anticipando quanto riconosciuto da Woodcock, David Thoreau Wieck nel 1975 aveva sostenuto l’importanza della presenza dello spirito anarchico, anzi dell’anarchismo tout court, come elemento di collegamento di fondo. Lo studioso aveva infatti affermato che « ..l’anarchismo è la naturale espressione generica dei molti particolari movimenti di liberazione, inclusi alcuni emersi in forze solo di recente. In quanto tale, esso implica queste liberazioni; di converso, molte linee argomentative contro le specifiche relazioni di potere-e – dominio tendono a generalizzarsi verso la posizione anarchica. Quindi ciò che ha dato all’anarchismo una “rilevanza “ particolare sia per la gioventù radicale sia per vari intellettuali e filosofi sociali non è la semplice consapevolezza dell’estensione novecentesca del potere dello Stato. L’anarchismo fa di più che unire i molti temi della liberazione. A chi sospetta che sia il potere e non la ricchezza la radice dell’oppressione, e che sia il potere il concetto più ampio, l’anarchismo offre una cornice esplicativa».

Di rincalzo il nostro Adamo scrive: «…. l’analisi sociale e culturale al centro della progettualità della New Left e della controcultura -la rivendicazione di una partecipazione politica (o impolitica) più diretta, ampia e significativa; la difesa dell’individualità dall’attacco della tecnoburocrazia; la critica delle relazioni di potere fondate sul dominio; l’apologia di uno stile di vita comunitario e personalistico esistenzialmente antagonistico-trova una riflessione naturale nella strumentazione intellettuale della tradizione anarchica, in particolare di quella che ha preso forma negli USA a partire dagli anni Quaranta».

Il frutto di quegli anni di dissenso dei vari movimenti di liberazione sarà il ‘68, con l’integrale ribaltamento della situazione preesistente e con una rivoluzione culturale che non aveva avuto precedenti nella storia americana degli ultimi due secoli.

Esso avrà un riflesso di portata mondiale, comportando una protesta che, come scrive il sociologo Theodor Roszac, sollevò questioni che miravano a indagare in profondità,anche da un punto di vista filosofico, il significato stesso della realtà, del concetto di salute mentale, di una teleologia del progresso e della storia umana dati comunemente per scontati, mettendo in discussione tutto l’assetto sociale ed economico esistente: famiglia, lavoro, istruzione, educazione dei giovani, i rapporti tra uomo e donna, la sessualità, l’urbanizzazione, la scienza, la tecnologia, il progresso, elementi sottoposti a una generale critica impietosa e irridente.

Per quanto riguarda la realtà degli intellettuali più influenti all’interno della New Left e del movimento controculturale dei Sixties la scena fu dominata da personalità forti, tra cui quella di Marcuse che per primo credette nelle nuove grandi potenzialità insite nella contestazione degli studenti, di Chomsky, singolare figura di intellettuale permanentemente in lotta contro il sistema, autodefinitosi “anarchico e socialista libertario”, di Howard Zinn, attivo pacifista e consigliere dello Student Nonviolent Coordinating Committee (SNCC), l’organo più rappresentativo della protesta giovanile del Sud, per citare solo i nomi più importanti.

Ciclo degli articoli dell’Osservatorio sul socialismo

– “Il socialismo è attuale?” di Verdiana Garau (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/il-socialismo-e-attuale/)
– “Sinistra e neoliberismo: l’abbraccio mortale” di Giuseppe Gagliano (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/sinistra-e-neoliberismo-labbraccio-mortale/)
-“La crisi della sinistra tra ambientalismo e MeToo” di Norberto Frangiacomo (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/linvoluzione-della-sinistra-tra-ambientalismo-e-metoo/) – Ripreso da “L’Interferenza”
-“Vita e pensiero di un intellettuale libero: intervista a Gianfranco la Grassa” di Amedeo Maddaluno (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/vita-e-pensiero-di-un-intellettuale-libero-intervista-a-gianfranco-la-grassa/)
-“Sinistra e populismo” di Matteo Luca Andriola (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/sinistra-populismo-ricolfi/)
-“Charles Wright Mills e i suoi interpreti” di Michele Gimondo (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/la-ribellione-delle-elites-e-lo-spettro-di-un-nuovo-totalitarismo-charles-wright-mills-e-i-suoi-interpreti/)

-“Chomsky: vita e pensiero di un uomo in rivolta” (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/chomsky-vita-e-pensiero-di-un-uomo-in-rivolta/)
-“Le radici libertarie della New Left” (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/le-radici-libertarie-degli-usa-e-la-new-left/)
-“La globalizzazione secondo Riccardo Petrella” (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/la-globalizzazione-secondo-riccardo-petrella/)
-“Zinn: una voce critica in America” (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/zinn-una-voce-critica-nel-cuore-dellamerica/)
-“La sinistra secondo Alan Caille (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/la-sinistra-secondo-alain-caille/)



Nel 2011 ha fondato il Network internazionale Cestudec (Centro studi strategici Carlo de Cristoforis) con sede a Como, centro studi iscritto all'Anagrafe della Ricerca dal 2015. La finalità del centro è quella di studiare, in una ottica realistica, le dinamiche conflittuali delle relazioni internazionali ponendo l'enfasi sulla dimensione della intelligence e della geopolitica alla luce delle riflessioni di Christian Harbulot fondatore e direttore della Scuola di guerra economica(Ege) di Parigi

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