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Vantaggi e rischi della riforma fiscale

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Vantaggi e rischi della riforma fiscale

A dicembre vi avevamo presentato, in due puntate, un lavoro di Matteo Samarani sulle disuguaglianze in Italia, diviso tra un’analisi storica e uno studio sul rapporto tra wage share e crescita economica. Il lavoro si conclude oggi con un’analisi di prospettiva sul tema della riforma fiscale.

Alla luce delle conclusioni che emergono dal lavoro di Canelli e Realfonzo sull’impatto della wage share sulla crescita economica possiamo ricavare delle importanti implicazioni di policy. Infatti una politica redistributiva può essere vista con favore sotto due aspetti: dal punto di vista prettamente sociale e come stimolo alla crescita economica.

Dal punto di vista prettamente sociale possiamo affermare che l’incremento della forbice delle disuguaglianze, la sempre più evidente scomparsa della classe media e il crescente numero di individui che hanno perso la partita della globalizzazione, hanno spinto l’opinione pubblica nella culla di quelle forze politiche che vengono definite populiste e antisistema. Una buona ricetta di policy improntata alla redistribuzione del reddito potrebbe portare al ricucirsi delle fratture sociali che stanno caratterizzando l’Italia e i paesi occidentali negli ultimi tempi, facendo ritrovare all’opinione pubblica la fiducia nelle istituzioni: condizione necessaria per la stabilità di un sistema democratico.

Dal punto di vista economico, come emerso nei punti precedenti, la redistribuzione del reddito a favore del lavoro potrebbe andare a stimolare la crescita del prodotto attraverso la spinta sui consumi.

Lo strumento redistributivo per eccellenza è sicuramente la politica fiscale che viene definita come l’insieme degli interventi di politica economica che permettono al policy maker di influenzare la domanda aggregata e di ottenere effetti sul reddito di equilibrio tramite le variazioni della spesa pubblica, dell’imposizione fiscale e dei trasferimenti. Nella parte conclusiva di questo lavoro, ci concentreremo sull’aspetto dell’imposizione fiscale cercando di proporre le linee generali di una ricetta di policy, incentrata su di una riforma fiscale, che a detta di alcuni economisti (si veda per esempio V. Visco, 2019) potrebbe portare ad un salto di qualità l’economia italiana. Oltre a considerare gli aspetti positivi della proposta verranno poi presi ad esame i possibili rischi da essa derivanti.

I vantaggi di una riforma fiscale

Una matrice comune che lega il sistema fiscale italiano a quello degli altri paesi avanzati, nonostante le varie riforme che a partire dagli anni ’70 si sono succedute nel tempo, è stata quella di far affidamento su basi imponibili in cui i redditi da lavoro, in particolare i redditi da lavoro dipendente, giocavano un ruolo prevalente. La scelta dipendeva sia dalla facilità del prelievo, affidato prevalentemente ai datori di lavoro sostituti di imposta, sia dal fatto che la quota prevalente del prodotto di tutti i paesi era rappresentata dai redditi da lavoro (V. Visco, 2019). Nel corso degli ultimi anni, come emerso dall’analisi precedente, la situazione è cambiata in modo radicale: infatti i redditi da lavoro si sono fortemente ridotti in termini relativi rispetto al prodotto interno lordo. Tuttavia, nonostante ai giorni nostri la quota di prodotto interno lordo che remunera il lavoro e quella che remunera il capitale si equivalgono (secondo una stima di Vincenzo Visco tali grandezze vedono il capitale leggermente avvantaggiato con una quota di Pil pari al 53% e il restante 47% che spetta ai lavoratori nel 2017), la distribuzione del carico fiscale si divide in questo modo:

  1. I prelievi fiscali a carico dei lavoratori sono pari a circa il 18% del Pil. Essi comprendono l’IRPEF derivante dai redditi da lavoro (il 93-94% del totale), le addizionali comunali e regionali e i contributi sociali e previdenziali.
  2.  I prelievi fiscali a carico del capitale sono pari a circa il 6% del Pil. Essi comprendono l’IRPEG, l’IRAP, le cedolari sugli affitti e sui redditi da capitale e l’IMU.

È facile comprendere come un sistema fiscale strutturato in questo modo e operante in un’economia con le suddette caratteristiche porti a due problematiche: i) la sempre più evidente difficoltà di finanziare i sistemi di welfare dato che la principale fonte di gettito fiscale segue una sempre più marcata dinamica al ribasso; ii) la propensione di tale sistema di imposizione fiscale a mantenere elevate le disuguaglianze di reddito, se non addirittura quella di generarle.

Per questi motivi Visco (2019) propone di “indirizzare il prelievo verso le categorie di reddito più dinamiche”. Nel dettaglio egli propone una riforma che preveda il superamento del ricorso ai contributi sociali e previdenziali sostituiti da un prelievo generale proporzionale all’intero valore aggiunto prodotto dal sistema economico, costituendo un fondo speciale destinato al finanziamento delle pensioni e della sanità, mantenendo invariato l’attuale meccanismo di calcolo contributivo. Questo porterebbe così a restituire la neutralità fiscale rispetto alla forte penalizzazione del fattore lavoro oggi implicata nella struttura del sistema di prelievo. In altre parole la proposta di Visco prevede un ridimensionamento del contributo al gettito fiscale a favore del lavoro, proposta può essere intesa come una politica fiscale con finalità redistributive che va ad incrementare le imposte a carico del capitale riducendo quelle a carico del lavoro.

Per comprende gli effetti di questa ipotetica manovra di policy proveremo a mostrarla attraverso l’aiuto del noto modello macroeconomico della sintesi neoclassica: il modello AD-AS.

Al fine di inglobare all’interno di questo modello teorico i risultati ottenuti al punto precedente in tema di reattività del prodotto alle variazioni della wage share assumeremo che la funzione del consumo all’interno della curva AD sia di tipo Kaldoriano e così rappresentata:

Dove C rappresenta i consumi; Yl e Yk rappresentano rispettivamente il reddito da lavoro e il reddito da capitale;Ca rappresenta i consumi autonomi, ossia indipendenti dal reddito; Cl e Ck rappresentano rispettivamente la propensione marginale al consumo dei lavoratori e dei capitalisti e, in linea con quanto risultato dall’analisi di Canelli e Realfonzo, assumeremo che Cl>Ck ossia la propensione al consumo dei lavoratori è maggiore rispetto alla propensione al consumo del capitale.

In tema di equilibrio finale bisogna far notare due cose: i) l’assunzione che consente all’economia di tornare al livello di produzione naturale è la flessibilità di salari e prezzi, tale ipotesi potrebbe non verificarsi nella realtà in quanto essi, soprattutto i salari, sono difficili da rivedere, specialmente al ribasso, o comunque tale revisione potrebbe richiedere parecchio tempo; ii) anche se l’economia dovesse tornare al suo livello naturale la politica redistributiva sarebbe comunque efficacie dal punto di vista sociale, in quanto cambia la composizione della domanda aggregata.

Rischi di una riforma fiscale

Il principale rischio derivante da una riforma fiscale introdotta nella forma della proposta di Visco (2019), risiede nella perdita di attrattività del paese in termini di IDE (investimenti diretti all’estero). Il processo di globalizzazione e di interdipendenza delle economie mondiali ha reso la localizzazione fisica delle imprese sempre meno importante e tutto ciò fa si che gli effetti delle politiche adottate dallo Stato-Nazione diventano dipendenti dall’azione degli altri stati nazione e il controllo delle dinamiche economiche non può prescindere dal considerare la mobilità dei fattori, in particolare quella dei capitali d’investimento (M.R. Alfano, 2003). Come abbiamo discusso all’inizio di questo lavoro, la grande mobilità della base imponibile sta aumentando la pressione per i governi che per evitare la perdita della base imponibile e la conseguente riduzione del gettito fiscale devono rispondere strategicamente alle politiche attuate da altre giurisdizioni. Tutto ciò spinge ogni paese a porre in essere un processo di concorrenza fiscale attraverso il quale si scelgono in modo strategico le variabili fiscali.

Tali caratteristiche del sistema economico globale devono essere necessariamente prese in considerazione in sede di riforma del fisco, infatti una riforma fiscale che prevede un incremento della pressione fiscale a carico delle imprese potrebbe portare ad una “fuga” di IDE dall’Italia. Diversi studi mostrano ciò andando a stimare la reattività degli IDE alla pressione fiscale evidenziando quasi sempre una relazione negativa tra le due variabili: al crescere della tassazione gli IDE si riducono ( si veda Altshuler et al., 2001). Anche uno studio del FMI dimostra il legame tra IDE ed imposte, esso evidenzia che i paesi che applicano aliquote più basse hanno i maggiori afflussi di IDE rispetto a quelli che applicano imposte più elevate. Quattro paesi europei con regimi fiscali più favorevoli Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Svizzera pur producendo il 9% del Pil mondiale hanno attratto il 38% di IDE tra quelli diretti dagli Usa all’Europa tra il 1996 ed il 2000.

La suddetta riforma fiscale potrebbe portare a due possibili scenari: i) se la delocalizzazione delle imprese in risposta all’incremento della pressione fiscale riguardasse sola la sede, mantenendo così intatti i comparti produttivi, ciò andrebbe ad incidere sulla riduzione della base imponibile con conseguente riduzione di gettito, riduzione che molto probabilmente dovrebbe essere compensata da politiche di consolidamento fiscale; ii) se la “fuga” riguardasse invece anche i comparti produttivi, ciò andrebbe ad avere infauste conseguenze anche dal lato dell’offerta con caduta di reddito ed occupazione.Fi

Conclusioni

A partire dagli anni ’80 si è assistito ad un profondo cambiamento strutturale del sistema economico globale. Tale processo, guidato dall’affermarsi della dottrina neoliberista sia in ambito accademico che in ambienti politici, ha portato l’economia mondiale ad un processo di deregolamentazioni in tutti i suoi settori rilevanti, deregolamentazioni che hanno accelerato il processo di globalizzazione. La governace di tale transizione, il progresso tecnico, le liberalizzazioni commerciali, finanziarie e del mercato del lavoro, anche se hanno spinto al rialzo il Pil mondiale, hanno inciso pesantemente sulle disuguaglianze a livello globale aggiudicandosi così il titolo di driver internazionali delle disuguaglianze. Tra questi non bisogna dimenticare il fenomeno della concorrenza fiscale che ha contribuito a spingere al ribasso il gettito degli stati andando ad incidere negativamente sulla sostenibilità dei sistemi di welfare, a scapito delle fasce più deboli della popolazione.

Guardando al caso Italia si assiste ad una divaricazione della distanza tra Pil e reddito disponibile delle famiglie a partire dal 1992. I fattori che hanno guidato tale fenomeno sono essenzialmente due: i) il consolidamento fiscale, resosi necessario all’indomani della crisi valutaria di quell’anno al fine di rispettare i rigidi impegni assunti con la firma del trattato di Maastrich, cheha contribuito a spostare risorse dalle famiglie alla pubblica amministrazione; ii) l’evoluzione del mercato del lavoro nel verso della flessibilità che, anche se ha contribuito a migliorare le performance di tale mercato in termini di occupazione, ha portato ad una stagnazione dei redditi da lavoro spostando risorse dalle famiglie alle imprese.

La stagnazione dei redditi da lavoro ha portato ad un processo di riduzione della c.d. wage share andando ad incidere sulla crescita economica attraverso il canale della domanda aggregata. Inoltre, dall’analisi sul regime di accumulazione italiano abbiamo riscontrato una relazione positiva  tra la wage share e la produzione aggregata, in particolare, una redistribuzione del reddito in misura di un punto percentuale e a favore del fattore lavoro, porta ad un incremento del prodotto interno lordo pari a 0,45%  andando ad evidenziare così la natura wage-led dell’economia italiana.

A seguito dei risultati ottenuti dall’analisi empirica sul regime di accumulazione italiano, abbiamo discusso i possibili vantaggi e i possibili rischi della proposta di riforma fiscale che porta la firma di Vincenzo Visco e che prevede una redistribuzione del carico fiscale a favore del lavoro e a scapito del capitale. Dal nostro ragionamento emerge che, a seguito della natura wage-led dell’economia italiana, tale riforma potrebbe portare a benefici sia dal lato prettamente sociale, che dal punto di vista della crescita economica. Tuttavia, in sede di riforma bisognerebbe considerare i possibili rischi legati soprattutto alla “fuga” di IDE a seguito dell’incremento della pressione fiscale sul capitale. A seguito della sempre maggior dipendenza delle politiche nazionali dalle politiche degli altri paesi, gli autori pensano che sarebbe opportuno una gestione del fisco sovranazionale: con un’armonizzazione fiscale a livello comunitario, per esempio, si potrebbe evitare la concorrenza fiscale interna all’Unione Europea, rendendo più efficienti sia le politiche redistributive, che i sistemi fiscali in senso lato.

Classe 1995, nato a Brescia e residente a Coccaglio (BS), è laureato in Economia con laude presso l'Università degli Studi Brescia e, attualmente, frequenta il corso di Laurea Magistrale in Economia e Politica Economica presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna. Si interessa principalmente di economia politica e politica economia.

Comments

  • Luca defioee
    14 Giugno 2020

    Solito mantra antiliberismo. Che palle. Un economista vera che ci aiuta a ridurre le tasse in Itala ci sarà mai? Ci siamo stufati. Basta tasse, bisogna tagliare lo stato e i suoi servizi da quattro soldi. Rimetterci in soldi in tasca e ce la vediamo da soli. Lavoriamo sodo per noi stessi e non per gli altri.

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