Maria Spiridonova, la martire della rivoluzione
Ottobre e novembre sono i mesi della Rivoluzione e quindi ci pare corretto dedicare un “Ritratto” ad un protagonista minore, in questo caso una protagonista, che ebbe una certa rilevanza nei primi 2 anni ma che finì tragicamente come molti che si opposero a Lenin prima e Stalin poi. Una storia di tenacia, di coraggio, di coerenza e di sconfitta. Stiamo parlando di Maria Spiridonova.
La Spiridonova nacque a Tambov il 16 ottobre 1884, suo padre Aleksandr era un piccolo nobile di provincia e funzionario di banca, sua madre Aleksandra era casalinga e curava le sorelle maggiori di Maria e il fratello minore. Essendo la famiglia benestante, Maria completò gli studi ginnasiali nel 1902 e poi studiò odontoiatria a Mosca, fino a quando la morte del padre e la tubercolosi non la costrinsero a lasciare gli studi e a trovarsi un impiego come segretaria all’Assemblea della nobiltà di Tambov. Fin dai tempi del ginnasio si era avvicinata al Partito Social Rivoluzionario, cui aveva aderito nel 1900, prendendo successivamente parte alle “giornate social rivoluzionarie” del 1905, venendo arrestata e poi rilasciata per mancanza di prove, ma perdendo il lavoro.
La repressione di quei moti fu brutale e vide protagonisti tre funzionari: Bogdanovic, Von der Launitz e Luzenovski jche era anche fondatore dell’organizzazione monarchica “Unione del Popolo Russo”. In quella occasione mezzi nudi, i rivoltosi furono costretti a stare in ginocchio per ore nella neve, mentre altri, incolonnati, vennero spietatamente massacrati dai cosacchi. Il PSR si muoveva sul solco del populismo russo della seconda metà del XIX secolo, e una delle pratiche che ereditò era la creazione di una ala combattente che si occupasse di eliminare fisicamente esponenti dello stato russo che si fossero macchiati di gravi violenze contro il popolo. La Spiridonova si offrì volontaria per eliminare Luzenovskij; era notoriamente contraria alla violenza, fin dai tempi del ginnasio, ma accettò di prendere parte alla missione assumendosi poi tutte le conseguenze violente del caso. Dopo aver pedinato il suo obiettivo per settimane, travestita da liceale ferì mortalmente Luzenovskij alla stazione di Borisoglebsk il 16 gennaio 1906, cercando poi di togliersi la vita venendo fermata dai cosacchi (altre versioni dicono invece che rivendicò l’attentato). Venne subito arrestata, picchiata, torturata e molestata, subendo angherie sia nella stazione di polizia locale sia nelle prigioni di Tambov, al fine di estorcerle i nomi dei complici. Nomi che non fece, ma in compenso riuscì (fortuitamente) a far pubblicare una lettera in cui raccontava la sua vicenda presso il giornale pietrogradese “Rus” vicino al “Partito dei Cadetti”.
La campagna stampa che ne scaturì ebbe un’eco notevole soprattutto dopo la condanna a morte che però viene revocata dal Ministro dell’Interno Durnovo, convinto che al governo avrebbe giovato mostrare compassione verso una tubercolotica che non sarebbe sopravvissuta al carcere. Nel frattempo, la Spiridonova era diventata una vera e propria martire ed icona popolare: Maria venne mitizzata come eroina-martire e molti contadini della provincia di Tambov e Voronez tenevano nelle loro case, accanto alle icone sacre, anche il suo ritratto. Tradotta nella prigione di Butyrskaya già a metà del 1906, Spiridonova incontrò le colleghe rivoluzionarie Alexandra Izmailovich, Anastasia Bicenko, Lydia Yezerskaya, Rebekah Violet e Maria Shkolnik. Tutte queste donne erano state identificate come terroriste e imprigionate per varie attività antistatali. A luglio del 1906 il sestetto venne trasferito nel bagno penale di Akatui in Transbaijkalia in cui godette di un trattamento tutt’altro che terribile. Durante il trasferimento in treno, testimoniò la Izmailovich più tardi, intere folle si radunavano per vederla passare e salutarla. Nel 1907 furono spostate, a seguito del definitivo esaurirsi dei moti del 1906, nel ben più duro carcere di Maltsev, dove restarono per 10 anni. La Izmailovich e la Bicenko diventarono per lei delle vere e proprie sorelle.
Gli eventi per la Russia zarista precipitarono nel corso dei dieci anni successivi e dopo la Rivoluzione di febbraio la Spiridonova fu amnistiata e rientrò a Mosca, diventando delegata al Terzo Congresso Nazionale del partito, schierandosi con l’ala sinistra ed emergendo come figura di primissimo piano, grazie al suo carisma, alla sua fama e alle sue abilità oratorie.
Spostatasi a Pietrogrado venne eletta nel Soviet locale e nel Comitato Esecutivo dei soviet contadini. Del resto, i socialrivoluzionari erano ampiamente radicati nel mondo contadino. Fortemente critica verso la presenza del PSR nel governo borghese provvisorio e dell’alleanza con il Partito dei Cadetti, addivenne alla rottura, fondando il Partito social-rivoluzionario di Sinistra (PLSR) che decise di permanere nel II Congresso dei Soviet. Le sue tesi erano: fine della guerra, terra ai contadini, cessazione della pena di morte e potere ai Soviet, e le propagandava con efficacia nei periodici “Terra e libertà“, “La bandiera del lavoro” e “Il nostro cammino”. Nel novembre del 1917 venne eletta presidentessa del Congresso dei Deputati dei Contadini, determinando, essendosi già schierati a fianco dei bolscevichi nella Rivoluzione di Ottobre, l’ingresso del soviet contadino nel Comitato Esecutivo Centrale Panrusso dei Soviet saldamente in mano ai bolscevichi. Il fatto che Lenin avesse riconosciuto che il Decreto sulla terra del 26 ottobre 1917, approvato dal II Congresso panrusso dei Soviet, fosse un progetto fortemente voluto dai socialisti rivoluzionari di sinistra fu sufficiente per convincere la Spiridonova a trovare un accordo di governo con i bolscevichi. Il 12 dicembre il PLSR entrò nel Sovnarkom con due nomi: Andrej Kalegaev, nominato commissario del popolo per l’agricoltura e Isaac Steinberg, commissario del popolo per la giustizia, restando i posti chiave in mano ai bolscevichi. Questi proposero la Spiridonova come Presidente dell’Assemblea Costituente insediatasi il 5 gennaio 1918, ma la candidatura venne sconfitta 151 a 246 voti contro il centrista Cernov. La sinistra abbandonò l’Assemblea che venne sciolta dal VCIK (Comitato Esecutivo Centrale dei Soviet) in cui la Spiridonova entrò alla guida della Sezione contadina (poi divenne anche membro del Comitato Rivoluzionario di Difesa di Pietrogrado).
Le incompatibilità tra bolscevichi e socialisti rivoluzionari di sinistra emersero presto: gli SR di sinistra erano favorevoli a un sistema di soviet decentrati, alla ‘comune’ dei contadini, alla strutturazione delle fabbriche secondo criteri anarco-sindacalisti e all’autonomia politica delle minoranze nazionali. Ma nel valutare la situazione, la Spiridonova commise un errore. Credeva che il successo del movimento bolscevico fosse un fenomeno temporaneo e che le persone si sarebbero presto allontanate da esso. Era convinta che la politica aggressiva dei bolscevichi, che vedeva incentrata sull’annichilimento di ogni elemento borghese, non fosse in grado di trasformarsi in qualcosa di serio e potente. In altre parole, non sarebbe stata in grado di guidare la rivoluzione sociale. La rottura definitiva tra Lenin e la Spiridonova si ebbe in occasione della pace di Brest: se da un lato la Spiridonova era interessata alla socializzazione della terra e vedeva nella pace il suo presupposto, dall’altra non poteva schierarsi da sola contro il suo partito che riteneva inaccettabili le condizioni imposte dal II Reich. A portare la Spiridonova al conflitto aperto furono però le requisizioni forzate di derrate alimentari nelle campagne, autorizzate dal governo, e che si videro compiersi tra abusi e violenze sui contadini. L’opposizione divenne crescente e il 6 luglio 1918 due militanti socialrivoluzionari uccisero l’ambasciatore tedesco Mirbach-Harff. Lei si assunse subito la responsabilità politica dell’atto e il 7 luglio il PLSR tentò una insurrezione contro i bolscevichi, arrivando ad arrestare per poche ore Dzerzinskij, il capo della Ceka. L’anima della rivolta era sempre la Spiridonova, che si presentò al teatro Bolshoj, dove si stava svolgendo il Congresso dei Soviet, per pronunciare un discorso di attacco al regime bolscevico e di difesa della creatività rivoluzionaria delle masse. Lenin fu prontissimo ad agire e la fece arrestare. Condannata ad un anno di carcere ma amnistiata poco dopo, continuò la sua attività politica, cercando di riunire il partito che aveva visto la scissione di un’ala filobolscevica: in particolare accusava i bolscevichi di non aver fiducia nel popolo e nella sua forza creatrice, di aver delegittimato i soviet imbrigliandone la libertà e di aver tradito gli ideali di emancipazione della Rivoluzione d’Ottobre.
Nel febbraio 1919 fu nuovamente arrestata, dichiarata “inferma di mente” e rinchiusa in una caserma-ospedale del Cremlino da dove di lì a poco fuggì, iniziando una fase di clandestinità spacciandosi per una contadina di nome Onufrieva. Il 6 ottobre 1920 la Ceka la arrestò nuovamente, scovandola in un appartamento malata di tifo. Venne sottoposta, per volere di Trockij ad un regime carcerario piuttosto duro, per poi essere trasferita in un istituto psichiatrico, assistita dalla Izmailovich, venendo liberata l’anno successivo e affidata alla custodia dei vertici dell’ex PLSR fedeli alla linea bolscevica, purché non si occupasse più di attività politica. Lei stette ai patti ma nel 1923, probabilmente per un tentativo di fuga all’estero, venne nuovamente arrestata e mandata in esilio alle periferie dell’Unione Sovietica: all’inizio era nella fattoria statale di Mosca, l’ONPU “Vorontsovo”, nel 1925, fu trasferita a Samarcanda e nel 1928 a Tashkent. Riceveva un sussidio di 6,25 rubli al mese e le venne assegnato un lavoro presso un ufficio pubblico da svolgere a casa. Non svolse più attività politica ma creò una rete di contatti per aiutare gli ex compagni esiliati a Samarcanda a vivere dignitosamente. In questo periodo si sposò con Andreij Majarov, ex dirigente social rivoluzionario anche lui al confino, vivendo con lui, il suo figlio adolescente, il suocero ultraottantenne invalido, la Izmailovich e un’altra compagna di prigione con la relativa zia. Con l’inasprirsi delle purghe staliniane, venne esiliata con la famiglia allargata a Ufa, in Bashkiria, lavorando nella banca agricola locale e organizzando un piccolo collettivo casalingo, senza pretese e con il consenso del ministero dell’interno. Nel 1937, con le nuove purghe venne nuovamente arrestata, offrendosi come vittima sacrificale per salvare i suoi compagni, avendo la Ceka minacciato direttamente il suocero e il figliastro e fu portata a Mosca nella prigione di Oriol per scontarvi 25 anni di carcere, dopo un processo sommario con l’accusa di cospirazione, attività controrivoluzionarie e sovversive per costruire una Repubblica Social Rivoluzionaria in Bashkiria. L’11 settembre 1941, Stalin, su indicazione di Berija, la fece fucilare insieme alla Izmailovich, Majarov e altri 150 prigionieri politici e seppellire in una fossa comune, presto camuffata. Ultimo oltraggio per una donna che, fino all’ultimo (1937 in una lettera al ministero dell’interno), si era sempre dichiarata contraria alla pena capitale.
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