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Il canale di Istanbul, tra paure fondate e irrazionali

Erdogan Istanbul

Il canale di Istanbul, tra paure fondate e irrazionali

Recep Tayyip Erdogan non ha mai nascosto di avere piani grandi ed ambiziosi per la Turchia e, armato di dosa significativa di pragmatismo, coraggio, statismo e lungimiranza, poco alla volta è riuscito a trasporre in realtà i sogni del proprio mentore e progenitore del neo-ottomanesimo, Necmettin Erbakan: la (ri)conversione in moschea di Santa Sofia, la reislamizzazione della nazione turca, il recupero dell’influenza su tutti quei territori appartenuti direttamente o indirettamente all’impero ottomano e la parziale emancipazione dall’amato-odiato Occidente.

L’ultimo grande progetto dell’era Erdogan, in apparenza infrastrutturale, ma in realtà squisitamente (geo)politico, è il cosiddetto canale di Istanbul, termine con il quale si fa riferimento ad un potenziale canale faraonico pensato per superare il regime di transito promanante dalla convenzione di Montreux e convertire la Turchia in un decisore determinante del Mar Nero.

Per capire quali potrebbero essere le ripercussioni del suddetto canale, che sta suscitando malumori tra le forze armate turche e preoccupazione in Russia, abbiamo raggiunto Giuseppe Paccione, esperto di diritto internazionale, editorialista per diversi siti e portali, e membro del comitato scientifico di Italia Strategic Governance.

Dottor Paccione, può fare una breve ricostruzione della questione di Montreux, del canale di Istanbul e  spiegarne al pubblico l’importanza?

È ben noto che la Convenzione di Montreux del 1936, concernente il transito nello stretto dei Dardanelli, del mare di Marmara e Bosforo ha garantito sino ad oggi il controllo dell’ingresso nel mar Nero allo Stato turco.

La questione dello stretto veniva letta dai sultani dell’allora città Costantinopoli (poi denominata Istanbul) in questo senso: l’accesso al mar Nero doveva essere inibito a quelle che si chiamavano le Potenze straniere. Con l’accordo di Losanna del 1923, che diede l’inizio alla caduta dell’impero ottomano, venne determinato il passaggio libero alla navigazione, incaricando una commissione internazionale di vigilare che tale trattato venisse rispettato dagli stati.

Purtroppo, il trattato di Losanna fu sostituito da quello di Montreux che concerneva la sicurezza non solo della Turchia ma anche di Stati che si affaccia(va)no nel mar Nero. In esso si statuì che per poter navigare in quel lembo di mare era necessario inoltrare la richiesta di transito alle autorità turche, come pure il limitato numero di navi da guerra e il periodo di permanenza.

Quali sono le ragioni del canale di Istanbul?

Oggi, Erdogan ha deciso di pianificare la realizzazione di un canale di passaggio artificiale nella parte del nord ovest della città di Istanbul. Come scusante, Erdogan si è giustificato asserendo che sia l’inquinamento ambientale sia l’alto traffico di bastimenti stanno creando problemi all’ecosistema dell’area e al pericolo di forte inquinamento marino.

Il punto cruciale di tale progetto è il cosiddetto passaggio o transito soggetto ad una tassa obbligatoria. Altro aspetto di questa idea del presidente turco, il quale ha sottolineato che la convenzione di Montreux del 1936 è ancora in vigore, si fonda sul fatto che tale costruzione servirà solo per far passare alcune navi sotto la valutazione discreta delle autorità turche.

Sono giustificati i timori esterni di ricadute geopolitiche? Se sì, perché?

Quale Stato non è preoccupato dall’avanzamento della Turchia sul piano geopolitico che è contornato anche da quello strategico militare, marittimo, economico e commerciale? Le preoccupazioni sono dipese dalla continua ascesa di uno Stato come quello turco che, a mio parere, tende sempre più ad avvicinarsi e ad assimilarsi a quello che fu l’impero ottomano, sorto nel 623 d.C. ed ecclissatosi nel 1922. Si vedano, ad esempio, i contrasti con la vicina Grecia sulle questioni della delimitazione marittima afferente al problema della zona economica esclusiva, come pure la tendenza ad ingerire negli affari interni di altri Stati, con il celato artificio del buon vicinato e del rafforzamento delle relazioni, come nel caso dell’Azerbaigian, oppure l’apertura della Turchia all’Iran, quest’ultimo in forte contrasto con gli Stati Uniti dal 1979 con l’assedio dell’ambasciata statunitense e via discorrendo.

Tutte le interviste dell’Osservatorio

Classe 1992, è laureato in Scienze internazionali, dello sviluppo e della cooperazione all’università degli studi di Torino con una tesi sperimentale intitolata “L’arte della guerra segreta”, focalizzata sulla creazione di, e sulla difesa dal, caos controllato. Presso la stessa università si sta specializzando in Studi di area e globali per la cooperazione allo sviluppo – Focus mondo ex sovietico. I suoi principali campi di interesse sono geopolitica della religione, guerre ibride e mondo russo, che negli anni lo hanno portato a studiare, lavorare e fare ricerca in Polonia, Romania e Russia. Scrive per e collabora con diverse testate, tra cui Inside Over, Opinio Juris – Law & Political Review, Vision and Global Trends, ASRIE, Geopolitical News. Le sue analisi sono state tradotte e pubblicate all’estero, ad esempio in Bulgaria, Germania, Romania, Russia.

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