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Dagli Zar agli eroi nazionali: la “Russia eterna” nella politica culturale di Putin

Dagli Zar agli eroi nazionali: la “Russia eterna” nella politica culturale di Putin

Uno dei cardini di uno Stato nazionale è la propria coscienza storica. Quest’ultima viene in parte costruita tramite lo studio, la ricostruzione e soprattutto la celebrazione del passato. Per fare ciò serve una politica culturale. Essa è fondamentale se non si vuole far perdere alla propria Nazione l’idea della Storia. Vladimir Putin e i suoi collaboratori hanno sviluppato nel corso degli anni una politica culturale molto interessante. La Mosca contemporanea si inserisce infatti in una lunghissima tradizione di attenzione alla cultura da parte delle autorità che si sono succedute al governo dello sterminato territorio eurasiatico. Nonostante l’oppressione degli zar fiorì la grande letteratura russa, personificata da Aleksandr Puskin tra molti altri illustri. Dopo la rivoluzione del 1917 l’Unione Sovietica ebbe una particolare attenzione per il mondo culturale e, nonostante i dissidi con alcuni intellettuali, cercò di portare quest’ultimo tra il popolo.

Putin e la strategia culturale del Cremlino

Putin, salito al potere alla fine del periodo confuso di Eltsin, ha ridato vita all’interesse dello Stato per questo tema cruciale. Il leader di Russia Unita ha fatto ciò consapevole della necessità che la sua Nazione non collassasse sotto le spinte centrifughe. Era quindi cruciale rinsaldare il patriottismo dei cittadini russi anche grazie a scelte di memoria storica e culturale. Putin sta portando avanti le sue iniziative con una particolare attenzione ai musei e al cinema. Ma la sua politica culturale comprende anche un’intensa opera monumentalistica, soprattutto la costruzione di statue. 

Negli USA ci sono state molte polemiche per la distruzione di monumenti celebrativi di schiavisti, esploratori e personaggi fondamentali della storia statunitense. Anche questa è una rozza politica culturale, portata avanti direttamente da una parte del popolo. L’obiettivo è nascondere un certo tipo di passato. In Turchia sono sempre di più le chiese, o i musei, che vengono trasformate in moschee, celebre è il caso di Hagia Sophia. Questi sono solo alcuni esempi di politiche culturali. La Russia ha visto sia i monumenti distrutti da folle inferocite sia, soprattutto nell’ultimo periodo, una nuova politica culturale, più costruttiva. Putin è tra coloro che presta più attenzione a questo fondamentale aspetto e lo fa in maniera raffinata. 

Finanziamenti e musei 

Durante il discorso del 21 aprile 2021 Putin ha affermato la volontà di destinare fondi ai musei e ai luoghi di cultura delle zone rurali della Russia. Questa può essere definita come l’ultima tappa di un percorso iniziato da tempo e volto a implementare una politica culturale attenta. L’ex ufficiale del KGB ha voluto affrontare il tema in maniera diversa rispetto agli immediati predecessori. Fino agli anni ’70 l’intellighenzia sovietica riteneva la cultura come strumento per nobilitare la vita sociale. Durante il decennio sopracitato la concezione cambiò e subentrarono processi di democratizzazione. Putin invece ritiene la cultura come un appoggio a programmi politici e come mezzo per lo sviluppo sociale. Ed è proprio nel solco di questo pensiero che si innesta il documento pubblicato nel 2014 dal titolo “I fondamentali della politica culturale statale”.

Le idee principali abbracciano la tesi, molto corretta, che l’industria della cultura sia centrale nella società moderna. Di conseguenza lo sviluppo umanitario e culturale è percepito come la base della prosperità economica e della sovranità statale, fondamento dell’identità civile e dell’unità nazionale. Per meglio comprendere cosa significa ciò ci sono le parole di Putin stesso: “Preservare la nostra identità è estremamente importante nell’era turbolenta dei cambiamenti tecnologici, è impossibile sopravvalutare il ruolo della cultura, che è il nostro codice di civiltà nazionale che libera il potenziale creativo umano”. L’ultima parte è una chiara eredità della volontà sovietica di dispiegare completamente le capacità dell’individuo. Sempre Putin afferma: “allo scopo di consolidare gli sforzi dello Stato e della società civile per creare le condizioni per stimolare le persone a realizzare il proprio potenziali creativo; preservare i valori culturali; garantire la divulgazione della cultura russa e contribuire allo sviluppo del potenziale culturale delle regioni russe”.

Ma non bastano i manifesti ideologici per sostenere la cultura, ci vogliono anche i fondi. Oltre ai già citati investimenti destinati ai musei e ai luoghi culturali rurali, Putin nel 2016 ha creato un fondo destinato a sostenere attività, iniziative e progetti in svariati campi. Molti documenti ufficiali che girano all’interno del ministro della cultura russa e nello stesso governo manifestano la volontà di aumentare i fondi destinati alla cultura. Si punta infatti a portare la spesa per la cultura all’1.4% del PIL entro il 2030. Tuttavia accrescere i soldi destinati a questo determinato ambito non è l’unica manovra pensata dal governo russo. Putin progetta sgravi fiscali, budget dedicati e capitali riservati a ogni attività culturale: cinema, teatro, musei e mostre. 

Statue e monumenti 

Negli ultimi anni in Russia si sta assistendo a una vera e propria ondata di nuove statue e monumenti celebrativi. E grazie ad essi vediamo chi sono i personaggi che Putin sceglie per plasmare una nuova identità per il suo Paese, vecchio e giovane al tempo stesso. La scelta di eroi nazionali non è per nulla banale e, attraverso l’analisi della loro vita e delle loro azioni, si può stabilire la direzione della Russia stessa. Putin ha una particolare attenzione per lo zar Alessandro III, da molti considerato una sorta di esempio a cui spesso si ispira l’ex membro del KGB. Alessandro III fu zar dal 1881 all’anno della sua morte nel 1894. Egli succedette a suo padre, Alessandro II, che era stato ucciso dai populisti del movimento Narodjana Volja. Alessandro III abrogò tutte le timide aperture del suo predecessore. Soprannominato “il Pacificatore”, portò avanti progetti di russificazione di vasti territori non-russi e fu un deciso sostenitore della religione ortodossa. Alessandro III aveva idee panslaviste e sfruttò la debolezza dell’Impero Ottomano per proteggere, o influenzare, le popolazioni ortodosse che abitavano il grande malato d’Europa. In politica estera si avvicinò notevolmente alla Francia della Terza Repubblica. Sotto il suo regno venne anche completato il mastodontico progetto della Transiberiana.

La figura di Alessandro III sta attraversando un processo di rivalutazione da inizio anni ‘90 anche grazie all’occhio di favore con cui viene visto da Putin. Quest’ultimo lo ha definito un esempio di armoniosa combinazione di modernizzazione del sistema produttivo e fedeltà alle tradizioni. Putin ha inaugurato ben due monumenti dedicati allo zar. Il primo nel novembre del 2017 in Crimea, luogo non casuale, il secondo nel giugno del 2021 a Gatchina, sud di San Pietroburgo. 

Un altro episodio significativo è avvenuto il 4 novembre 2021, giorno dell’unità nazionale. In quella data Putin ha deposto dei fiori nel monumento per la fine della guerra civile costruito a Sebastopoli, in Crimea. Altra scelta ponderata con attenzione. Per Putin i morti degli scontri tra bianchi e rossi sono perfettamente uguali, in quanto russi. La volontà è quella di dare una lettura unitaria della storia russa, senza divisioni che sono viste come accidenti della Storia e senza l’influenza, ritenuta dannosa, dell’ideologia. 

Un altro monumento dedicato a soldati russi caduti è quello inaugurato a Vladivostok il 27 aprile 2021. Protagonisti dell’opera, finanziata dagli apparati statali, sono i militari morti nel conflitto contro la Cina sull’isola di Damansky nel 1969. Scontri di cui, fino a pochi anni fa, non si parlava ma che ora vengono riscoperti in chiave patriottica. Allo stesso modo il monumento di Arcangelo dedicato ai coraggiosi geologi che esplorarono l’inospitale nord-ovest russo è ispirato dalla volontà di infondere un senso di unità nella popolazione.

L’Urss messa “tra parentesi”

Unità che sembra spezzarsi quando i cittadini russi vengono messi davanti al loro passato sovietico. Il 48% degli abitanti della Russia, secondo un sondaggio di Levada, è a favore di un monumento a Stalin. La cifra è il massimo di sempre da quando esiste la Russia contemporanea.  Addirittura il 60% degli intervistati per il sondaggio vuole un museo dedicato a Koba. A Bor, vicino Nizhny Novgorod è stato dedicato a Stalin un centro ricreativo tra l’incredulità di pochi e la soddisfazione di molti che ricordano la titanica lotta nella Grande Guerra Patriottica. Molto più divisi sono gli abitanti Mosca chiamati nei mesi scorsi al voto per decidere che statua mettere nella centralissima piazza Lubjanka. Si poteva scegliere tra un nuovo monumento di Nevksy o la ricomposizione di quello abbattuto nel 1991 raffigurante Feliks Dzerzinskij. Egli fu il fondatore della CEKA, soprannominato “Feliks di ferro” per la sua onestà oppure “Giacobino proletario” per la sua celeberrima incorruttibilità che lo avvicinava a Robespierre. Il referendum ha assegnato il 55% di voti all’eroe russo ma Dzerzinskij ha ottenuto un solido 45%. Ciò ha portato il sindaco di Mosca Sobjanin a dichiarare nulla la consultazione, c’era troppa incertezza tra i moscoviti. Piazza Lubjanka rimane senza monumento mentre i russi si dividono su cosa, e chi, salvare del loro ingombrante passato sovietico.

Il pantheon di Putin

Ma numerose altre statue sono state dedicate a personaggi cruciali della storia russa, Nevsky in primis. L’ultimo monumento è stato inaugurato l’11 settembre 2021 sul lago Chudskoe da Putin e dal patriarca Kirill. Nevsky fu principe di Novgorod e Vladimir. Egli portò i suoi principati al massimo splendore. Nel 1240 sconfisse gli svedesi cattolici in inferiorità numerica. Poi si esiliò per il troppo potere. Difensore strenuo dell’ortodossia russa, Nevsky tornò a Novgorod. Egli fu richiamato dal suo buen retiro, un po’ come Cincinnato, per salvare il suo popolo. Riuscì a vincere i Cavalieri teutonici nella leggendaria battaglia del Lago ghiacciato del 1242. Grazie al decisivo successo, Nevsky preservò la religione ortodossa messa in pericolo dalla volontà di conversione dei tedeschi. La sua memoria fu utilizzata sia da Pietro il Grande sia da Stalin come simbolo della Russia. Particolare il caso dell’ordine di Nevsky. È un’onorificenza ideata dagli zar, abolita da Lenin e ricreata da Koba. Putin l’ha mantenuta avvicinandola, come simbologia, a quella zarista. Il presidente russo ritiene Nevsky uno dei massimi esempi di patriottismo e devozione alla Madrepatria. 

Altro personaggio a cui è stato dedicato un monumento nell’ottobre 2016 è Ivan IV, il Terribile. A sud di Mosca svetta la sua statua. Egli fu il primo a darsi il nome di “zar”, sostenitore di una politica fortemente accentratrice. Ivan IV riorganizzò l’economia, la pubblica amministrazione e l’esercito. Sconfisse ripetutamente, tanto da assoggettarli, i Tatari e conquistò Kazan. Un mese dopo la statua del Terribile è stata inaugurata anche una statua a Vladimiro I, il Grande. Il monumento è vicino al Cremlino e celebra un principe di Kiev. Il segnale è chiaro: Ucraina e Russia hanno un’origine sola. Vladimiro portò il suo principato al massimo splendore riuscendo anche a convertire il suo popolo al cristianesimo nel 988. Un grande successo fu il matrimonio con la principessa bizantina Anna, sorella di Costantino VIII e Basilio III. Grazie a questa mossa la Russia si legò alla religione ortodossa e avanzò le pretese ideologiche per essere riconosciuta come “Terza Roma”. 

Conclusione

Non è un caso che la figura storica a cui si ispira maggiormente Putin sia Alessandro III. Un imperatore autocratico ma modernizzatore e capace di governare i suoi vasti territori con sicurezza, lasciando fuori le influenza esterne. Il leitmotiv che lega tutta la politica culturale di Putin è la volontà di sottolineare la cruciale importanza dell’unità, del patriottismo, del senso di continuità storica e della religione ortodossa. L’unità è cruciale perché la Russia ha dovuto affrontare, e affronta tutt’ora, spinte centrifughe. Il patriottismo raccoglie invece l’eredità del marxismo-leninismo come ideologia guida dello Stato. La continuità storica legittima il nuovo ordine, gli conferisce solidità e lo pone in diretto collegamento con i grandi personaggi del passato. La necessità, in questo caso, è quella di far capire ai russi che la loro Nazione ha alle spalle una Storia millenaria e non trentennale. Infine la religione ortodossa viene percepita come l’instrumentum regni per eccellenza, una sorta di imprescindibile alleata dello Stato. Il rapporto simbiotico tra “trono e altare” è parziale eredità del cesaropapismo zarista, a sua volta prodotto delle decisive influenze bizantine. In questo senso, il periodo sovietico è una parentesi. L’opera che Putin sta portando avanti con grande attenzione consiste di fatto in una ri-nazionalizzazione delle masse che hanno sbandato dopo le turbolenze degli anni novanta. Rimane il fatto che la complessità della sfida che la classe dirigente russa sta affrontando è massima.

Brianzolo nato nel 2000. Studente di Storia presso la Statale di Milano, appassionato di politica nazionale e internazionale. La sua attenzione maggiore si concentra sui rapporti tra Nazioni. Nutre un particolare interesse per le questioni sociali ed economiche che legano i vari Stati e tiene sempre un occhio fisso sulla storia. Collabora anche con L’Antidiplomatico dove gestisce lo spazio “Un altro punto di vista”.

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