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“Fuori gioco”: chi ha mercificato il calcio?

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“Fuori gioco”: chi ha mercificato il calcio?

Con grande piacere presentiamo, su gentile concessione di autori e editore, un estratto di “Fuori gioco”, libro edito da Paperfirst e scritto dai giornalisti Gianluca Zanella e Antonio Massari sul grande intreccio tra calcio, geopolitica, finanza.

Chi detiene – oggi – il controllo di uno sport in grado di spostare consensi, di ripulire l’immagine di un Paese, di iniettare nelle vene giuste fiumi di denaro? Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi – guidati dai nuovi “messia del pallone” – fanno tesoro di esperienze (e sbagli) maturati in Europa per generare un sistema, oliato da un imponente flusso di oro nero, che sta rivoluzionando i canoni del calcio mondiale. Ma è ancora lo stesso calcio?

«Salam aleikum, thank you very much», esordisce l’uomo in camicia bianca, cravatta e abito scuro, dinanzi a una platea di ministri – sceicchi in sandali e abiti tradizionali. «Passeremo i prossimi minuti parlando di football e probabilmente la prima domanda da farsi è: perché dovremmo parlare di football? Cosa ha da spartire il football con i servizi di un governo e con gli affari?» Già, bella domanda. Soprattutto per il contesto: il convegno è stato organizzato dal governo degli Emirati Arabi (siamo nel marzo 2014).

[…] Mezzo secolo prima (era il 31 dicembre 1970), in un’intervista a «L’Europeo», Pier Paolo Pasolini diceva: «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo […]». […] Ma cos’è il calcio nel nuovo millennio?

Il manager in abito scuro, dinanzi agli sceicchi degli Emirati Arabi, nel 2014 spiega con chiarezza: «Se vi chiedeste, vent’anni fa, trent’anni fa, quale fosse il modello di business di un club di calcio, era esattamente lo stesso di un circo, nel senso che avreste preso soldi da gente che andava allo stadio per vedere lo spettacolo dal vivo. […]. Oggi [quello del calcio] somiglia al modello di business della Walt Disney o Warner Bros. Walt Disney ha un personaggio: Mickey Mouse. La Warner Bros, Bugs Bunny. Con i personaggi fanno programmi tv, film, vendono cappelli. I club di football fanno la stessa cosa. Noi non abbiamo Mickey Mouse. Noi abbiamo Sergio Agüero. E con Sergio Agüero vendiamo tv, cappelli, giochi…». Questo è il calcio oggi: «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», con Messi e Ronaldo nei panni di Topolino e Bugs Bunny, pagati cifre iperboliche per vendere diritti tv, cappelli e giochi, in un mercato miliardario sempre più colonizzato dai sacerdoti di un altro dio al quale Pasolini aveva dedicato le sue attenzioni: il petrolio. E non sembra un caso che proprio adesso – mentre il dio petrolio sembra inesorabilmente destinato a perdere potere, considerata l’insostenibilità della nostra dipendenza dalle fonti combustibili fossili – gli sceicchi investano nel tempio del dio calcio. […]

Nel 2021 l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (opec) ha dichiarato di aver realizzato utili per cinquecentosettanta miliardi di dollari. La stima per il 2022 è di novecentosette miliardi. È evidente però che, al netto degli ultra profitti di questi ultimi anni, il cambiamento climatico dovrà ridimensionare il consumo mondiale di petrolio. Ed è altrettanto evidente che i giganti dell’oro nero hanno bisogno di affrontare – come i loro analisti sanno già da tempo – questa nuova situazione. In termini economici. E in termini d’immagine.

Tra i colossi del petrolio c’è la Saudi Aramco. 

Nel 2016 il principe saudita Mohammed bin Salman annuncia la trasformazione della Saudi Aramco in una holding che dovrà diversificare i propri investimenti. […] L’arrivo di Cristiano Ronaldo nel campionato saudita, con l’ingaggio astronomico di duecento milioni a stagione, rende più chiaro il piano annunciato da bin Salman: sarà anche il calcio a compensare la dipendenza economica dal petrolio.

Secondo uno studio della Rome Business School «a livello mondiale, il calcio è lo sport più redditizio. Con un fatturato globale di quarantasette miliardi di dollari, rappresenta il ventotto per cento del giro d’affari generato dallo sport nel mondo». C’è da spartirsi quindi una fetta da quarantasette miliardi che ha però un valore aggiunto: una sola dichiarazione di Ronaldo, che elogia i sauditi, è uno spot di portata mondiale per tirare su un altro ranking, quello dell’immagine di un Paese accusato di violare i diritti umani. Ma il piano, a giudicare dall’estate 2023, è molto più ambizioso: è l’intero campionato di calcio saudita che dovrà fare da vetrina. È sufficiente considerare una cifra: l’account Twitter di Ronaldo conta centonove milioni di follower. Quando il 27 luglio 2023 l’Al Nassr gioca un’amichevole in Giappone contro l’Inter, pareggiando 1-1, il tweet di Ronaldo, «Un altro buon test. Stiamo crescendo», viene cliccato da 9,8 milioni di persone.

[…]

Un piano strategico a lungo termine

L’Arabia Saudita di bin Salman nel 2021 acquista il New Castle e due anni dopo costruisce il campionato delle stelle. Gli Emirati Arabi nel 2008 acquistano il Manchester United, mettono in piedi una holding da duemila dipendenti, millecinquecento calciatori, una dozzina di squadre e nel 2019 sbarcano in India con un mercato vergine da un miliardo e quattrocento milioni di persone. Il Qatar nel 2009 si aggiudica i Mondiali del 2022. Nel 2011 tenta di prendere la presidenza della fifa. Com’è possibile non vedere un piano strategico, ormai pluridecennale, che soltanto adesso mostra platealmente i suoi frutti?

[…] Questo è il calcio fuori dagli stadi. E lontano dagli occhi dei tifosi. Questa è la fumeria d’oppio in cui, novanta minuti per volta, ogni appassionato di questo sport dimentica tutto per guardare quella palla rotolare, se possibile, nella porta avversaria. Ma quello che dimentica, quello che non vede, è innanzitutto il legame sempre più indissolubile tra il calcio e il potere. E l’Italia, su questo, ha potuto insegnare molto.

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