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Il dramma di Valere Solenas

Il dramma di Valere Solenas

Le politiche di genere sono diventate centrali nella agende di molti paesi e quindi dedichiamo il “Ritratto” ad una figura limite, quasi asintotica, del femminismo, per molti anni giudicata più per le sue azioni che per i suoi scritti e le sue idee e finita ai margini del dibattito, una marginalità che l’ha accompagnata dalla nascita alla morte: Valerie Solanas.

Valerie Jean Solanas nacque a Ventor City in New Jersey il 9 aprile 1936. Il Padre, Luis Solanas era un barista di origini catalane, la madre Dorothy Marie Biondo era italo americana di origine genovese, di professione assistente alla poltrona in uno studio dentistico. Il titolo del “Ritratto” lo si capisce fin dalla terribile infanzia e adolescenza. Dopo il divorzio dei suoi genitori, nel 1940 si trasferì ad Atlantic City. Lei viveva con madre e la sorella minore Judith. La bambina veniva ripetutamente abusata dal padre e sviluppò un carattere ribelle, incontrando l’ostilità del patrigno (la madre si era risposata nel 1949), venendo spedita dalla madre a vivere con i nonni. Solo che il nonno era un alcolizzato che sovente usava violenza sulla ragazza. Valerie venne quindi mandata in collegio nel 1950 dove partorì la figlia Linda che venne cresciuta in famiglia come sua sorella: era in realtà frutto degli abusi o del padre o del patrigno. A 17 anni, nel 1953 al termine degli studi liceali diede alla luce il secondo figlio, David avuto da un marinaio, molto più grande di lei, sposato, padre di tre figli che propose di dare in adozione il bambino ai coniugi Blackwell (suoi amici) in cambio del pagamento degli studi universitari della intellettualmente brillante Valerie.

Tra il 1954 e il 1958 studiò all’Università del Maryland, laureandosi in psicologia con ottimi voti, tanto da accedere al master in psicologia evolutiva all’Università del Minnesota. Abbandonò però gli studi, denunciando un sistema di retribuzione e selezione fortemente sessista. Dopo aver frequentato Berkeley, per alcuni corsi di approfondimento, si spostò nel 1962 a Manhattan. In quegli anni maturò le sue idee politiche, che mise per iscritto in tre opere di satira-politica: la commedia “Up Your Ass” (Su per il culo), il racconto “A Young Girl’s Primer on How to Attain the Leisure Class” (Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle) e il “Manifesto SCUM”, tutti tra il 1965 e il 1967.

La vita a Manhattan non fu facile e viveva di accattonaggio, prostituzione e quel poco che raccimolava dalla pubblicazione dei suoi scritti. Il “Prontuario” venne pubblicato dalla rivista Cavalier col sottotitolo “Come una signorina giovane e carina riesca a sopravvivere in città: il modo più facile per stare comoda è stare distesa”, sottotitolo non gradito però all’autrice. Nel breve racconto, la protagonista, che vive di accattonaggio, taccheggio ma che occasionalmente vende sesso e conversazione come simbolo di creatività, racconta, in modo mordente, il variegato mondo maschile, che si dispiega nella società capitalista come abuso di potere e cerca di contribuire, con le sue azioni, alla causa del socialismo.

Questa prima pubblicazione contribuì a rendere Solanas conosciuta nella cultura underground di New York, tanto da poter farsi ulteriormente strada con le altre due opere. Il Manifesto SCUM è un’opera interessante fin dal titolo. L’editore, Maurice Girodias, che ne comprò i diritti per $500, intese S.C.U.M. come “Society for Cutting Up Men” ma in una intervista del 1977, a seguito di una pubblicazione autonoma del Manifesto, senza le modifiche della Olympia Press di Girodias, la Solanas disse che SCUM (senza punti) stava proprio per “feccia”: le donne, feccia della società avrebbero ottenuto il riscatto portando ad un mondo nuovo. Sia come sia, all’inizio nel 1967 (prima di venderne i diritti), la Solanas ciclostilava il suo manoscritto e lo vendeva a 25cent alle donne e a1$ per gli uomini. Fu così che divenne nota nel mondo dell’editoria.Il Manifesto rovesciava il pregiudizio millenario che vedeva la donna come essere inferiore: tutti i difetti attribuiti alle donne erano in realtà dei maschi, che appunto per inferiorità hanno cercato il dominio, proiettando freudianamente le proprie manchevolezze sul sesso femminile: “le donne non soffrono l’invidia del pene, sono gli uomini a invidiare la figa”. Il mondo governato dal maschio aveva generato lavoro mercificato, guerra, prostituzione, sfruttamento, emarginazione. La donna veniva messa ai margini dal capitalismo maschile. Molte donne erano assuefatte e cooptate da questo capitalismo macho.

Maschilismo e capitalismo erano dunque interconnessi e per far cadere il primo occorreva liberarsi del secondo e arrivare all’abolizione del sistema binario e gerarchico dei generi. Le donne dovevano prendere posizioni di controllo per riformare davvero la società, eliminando il maschio, con programmi educativi, nuova urbanistica e automazione piena del lavoro che avrebbe concesso più tempo libero per una vita creativa da dispiegarsi in società. Proprio la necessità della dimensione sociale la portava a preconizzare il fallimento delle comunità chiuse degli hippy, troppo introverse in se stesse per non ricadere nei vizi da cui cercavano di affrancarsi. Essendo un manifesto ne aveva tutti gli strumenti retorici: umorismo, sarcasmo, gergo di strada, insulto, ma tanti erano i riferimenti alla psicologia e alla sociologia. Up Your Ass era invece una commedia, vagamente autobiografica, in un solo atto, in cui la protagonista, tale Bongi Perez, donna di strada, metteva alla berlina tutte le ipocrisie degli ideal-tipi delle persone che incontrava. E fu su questa commedia che il dramma personale della Solanas raggiunse il culmine. Ne aveva dato infatti una copia ad Andy Warhol, affinché la mettesse in scena. L’artista rifiutò per l’eccessiva volgarità dell’opera, forse sospettando potesse trattarsi di un tranello della polizia, che aveva stoppato diversi film della Factory per oscenità, e quando la scrittrice gli chiese indietro il manoscritto sostenne di averlo perso.

Il manoscritto fu poi ritrovato nei primi anni 2000 in un baule, di proprietà di Billy Name (il fotografo e archivista della Factory) dove erano contenute apparecchiature elettriche. Probabilmente era stato smarrito per davvero e Warhol le offrì un lavoro come dattilografa presso la Factory e una parte in due suoi film “I, a man” e “Bikeboy”. Una nuova visita di Girodias, per un nuovo libro, e il comportamento di Warhol la convinsero che i due stessero complottando contro di lei. Decisa a far pubblicare la sua commedia si recò dalla nota produttrice Margo Feiden che rifiutò. Solanas se ne andò, minacciando di sparare ad Andy Warhol. Era il 3 giugno 1968. La Feiden avvertì la polizia ma Solanas non aveva compiuto alcun atto illegale e nessun reato. Si recò alla Factory al 33 di Union Square West, attese l’artista per tutto il pomeriggio, chiese di essere ricevuta e, una volta nel suo studiò, gli sparò tre colpi di pistola: due lo mancarono ma uno gli perforò lo stomaco, il fegato, la milza, l’esofago e i polmoni. Operato di urgenza al Columbus Hospital, fu sottoposto ad un intervento di cinque ore rischiando di morire. Warhol rimase profondamente segnato da quell’evento, sia a livello fisico (dovette portare sempre un corsetto) che psicologicamente, temendo poi ogni contatto fisico. In quella folle sparatoria venne ferito all’anca anche il critico d’arte Mario Amaya e rischiò la vita pure Fred Hughes, il manager di Warhol, cui la Solans tentò di sparare a bruciapelo alla testa ma che sopravvisse perché la pistola si inceppò. Quella stessa sera si costituì alla polizia di Times Square confessando il tentato omicidio. E arriviamo alla parte finale del dramma. Le vendite del Manifesto SCUM schizzarono alle stelle, per la felicità di Girodias che si era accaparrato tutto per 500 dollari. Solanas non vide un soldo. Dopo una prima perizia venne ricoverata al reparto carcerario dell’Ospedale di Elmhurst, venendo incriminata per tentato omicidio, aggressione e possesso illegale di arma. Dichiarata affetta da schizofrenia di tipo paranoico con un’accentuata depressione, ne fu disposto il confinamento al Matteawan State Hospital, ospedale psichiatrico femminile, con un regime di detenzione piuttosto severo. A giugno del 1969 venne infine convocata a processo, dove si rappresentò da sola, ammettendo il reato ma non pentendosi e sostenendo le sue ragioni. Venne condannata a 3 anni di detenzione da scontare presso la New York State Prison. Ne scontò due, essendo rilasciata nel 1971, non prima di aver subito una isterectomia. Uscita di prigione, lavorò come redattrice al “Majority Report: The Women’s Liberation Newsletter”, una pubblicazione femminista bisettimanale e riprese a pedinare Warhol; entrò e uscì da varie istituzioni psichiatriche, poi andò in una comune di sole donne a Washington e infine a New York, dove la sorella minore Judith la fece ricoverare nel 1975 per l’aggravarsi della sua paranoia.

Nel 1979 la madre ne denunciò la scomparsa. L’epilogo è la parte più triste: prese lo pseudonimo di Onz Loh e sparì dalla circolazione vivendo da indigente prima a Phoenix e poi a San Francisco, alloggiando nel quartiere popolare di Tenderloin al Bristol Hotel, struttura che il governo della California riservava ai senza tetto. Lì venne trovata morta dalla polizia il 25 aprile 1988: stanza ordinata e manoscritti di un nuovo libro, parzialmente autobiografico, su cui lavorava almeno dal 1977, lei inginocchiata ai lati del letto, coperta di vermi per l’avanzato stato di decomposizione, essendo morta 5 giorni prima almeno, a causa di una polmonite. Tutti i manoscritti e gli oggetti personali vennero bruciati insieme alla salma per volere della famiglia. La figura di Valerie Solanas ha spaccato il mondo dell’attivismo femminista e lesbico (Solanas era dichiaratamente lesbica): la parte liberale prese le distanze, la parte radicale ne rivendicò l’originalità, e in parte la validità, delle tesi. C’è chi l’ha vista come un confine da non toccare e chi l’ha considerata la vera fondatrice del neo-femminismo. Certo si può dire che le sue tesi e i suoi scritti sono stati per lungo tempo relegati nell’oblio, offuscati dalla sua azione clamorosa e in tutti questi anni non è stata condotta una analisi critica che inquadrasse storicamente e politicamente quei non molti scritti che ci ha lasciato (in Italia rimandiamo all’opera “TRILOGIA SCUM. Tutti gli scritti” del 2018 e per una biografia a Valerie Solanas: Vita ribelle della donna che ha scritto SCUM -e sparato a Andy Warhol- del 2004). Un oblio morale, una damnatio memoriae. Ma studiamo e ammiriamo le opere di, come giusto che sia per altro, Caravaggio che era un omicida, Norman Mailer che accoltellò la moglie, Louis Althusser macchiatosi di uxoricidio, Paganini e Neruda i quali maltrattavano le donne… chi siamo noi per dire che di Solanas non bisogna parlare?

Laureato magistrale in Scienze Filosofiche all'Università degli Studi di Milano, è attualmente consigliere comunale nel paese di Cesano Boscone.

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