La rivoluzione dell’intelligence
Uno degli aspetti più significativi che hanno preparato ed accompagnato il processo di globalizzazione è stata la rivoluzione dell’intelligence iniziata a fine anni cinquanta e poi proseguita per mezzo secolo, sino a culminare nella teoria della guerra “asimmetrica” di cui ha scritto con dovizia di particolari Giuseppe Gagliano. Ma storici, sociologi e politologi sembrano non essersene quasi accorti, ritenendola una tematica periferica. Al contrario, si tratta di uno dei passaggi decisivi per capire la politica mondiale dal secondo dopo guerra ad oggi.
Le origini della svolta stanno nel dibattito sulla “guerra rivoluzionaria” –dottrina ufficiale della Nato- che si immaginava i sovietici stessero facendo all’Occidente. Fondamentali furono le elaborazioni del generale Andrè Beaufre, dello Stato Maggiore francese, che revisionò radicalmente gli studi strategici.
Il cuore delle sue teorie è nel concetto di strategia indiretta. L’autore parte dalla distinzione fra strategia diretta all’obiettivo e, che per sua natura, non può che avere carattere eminentemente militare e strategia indiretta, che punta ad un mutamento dei rapporti di forza attraverso il conseguimento di obiettivi collaterali che mutino gradualmente i rapporti di forza prima di affrontare lo scontro decisivo.
Nota Beaufre, la comparsa degli armamenti atomici rendono impossibile il confronto diretto (quantomeno fra le grandi potenze), per il pericolo che questo sfoci in conflitto totalmente distruttivo.
Ma questo non annulla le tensioni esistenti e, di conseguenza, spinge a cercare forme di conflitto che aggirino il tabù nucleare.
Pertanto risulta utile la strategia indiretta che si esprime con forme di conflitto non militare (destabilizzazione politica, la guerra economica, ecc.) e forme di guerra non ortodossa come le guerriglie, gli attentati, i sabotaggi eccetera che, ovviamente, devono essere condotte in modo coperto per evitare di arrivare allo scontro diretto.
Questo, peraltro, dà luogo al paradosso della “omertà degli avversari”. Anche l’eventuale aggredito è interessato a non sboccare in un conflitto aperto, per cui l’eventuale ritorsione avverrà in forma parimenti coperta, con una reciproca azione di protezione della zona d’ombra. Ovviamente un conflitto del genere deve per forza avere il suo strumento operativo nei servizi di sicurezza, e pertanto, l’intelligence, da attività tattica, collaterale e servente, quale è in un conflitto aperto, diventa strategica, centrale e dominante nel conflitto coperto. Questo implicava anche la cura del “fronte interno”: occorreva avere il controllo del territorio, inteso come “disinfestazione” del fronte interno, dagli agenti avversari.
Questo è il contesto teorico da cui prese le mosse la stagione della strategia della tensione.
Dopo il superamento di quella stagione le forme di azione dell’intelligence non tornarono più come prima, anzi, dopo una momentanea tregua, ripresero sempre più nella forma della strategia indiretta che, negli anni novanta, divenne la dottrina ufficiale dei servizi cinesi che può essere letta in Italiano nel libro “Guerra senza limiti” di Liang Qiao, Xiangsui Wang, pubblicato dalla Libreria editrice goriziana. Ma ormai non si tratta di una esclusiva di nessun paese, quanto di una pratica di tutti che si estende dalla destabilizzazione monetaria all’azione di influenza politica, dalla cyberwar allo spionaggio industriale, da forme di soft power all’appoggio a guerriglie e terrorismi eccetera.
Ormai i servizi di informazione e sicurezza, soprattutto nelle grandi potenze, non sono più una articolazione periferica del potere, ma il cuore dell’azione strategica: un mutamento negli equilibri di potere di cui occorrerà sempre più tenere conto.
Intelligence e globalizzazione
La globalizzazione ha cambiato il Mondo, si sa, ma questo non è vero in ugual misura nei vari tipi di attività: ce ne sono che hanno avuto cambiamenti limitati, mentre altri hanno registrato mutamenti molto più profondi e veloci. L’intelligence è forse –con la finanza- il settore dove il processo è stato più radicale.
In primo luogo l’Intelligence è diventata molto più importante del passato. Già nella seconda guerra mondiale e dopo nella guerra fredda, l’intelligence balzò alla ribalta come uno degli strumenti più importanti del conflitto, ma pur sempre restando in posizione ausiliaria rispetto agli stati maggiori militari e politici che delineavano le strategie usando le informazioni fornite dai servizi.
Oggi è l’intelligence in prima persona a fornire le linee strategiche attraverso il lavoro di analisi. Oggi l’Intelligence è insieme la “ghiandola pineale” nel matrimonio fra la moneta e la spada attraverso l’intreccio dei servizi di Stato e delle multinazionali, ma è anche lo strumento necessario alle operazioni coperte, dalla destabilizzazione monetaria al terrorismo, dalla guerra cognitiva alla manipolazione dell’hight frequency trading, dagli attachi dyber al reverse engegneering, dal classico spionaggio alla destabilizzazione politica.
Ovviamente, tutto questo implica anche un profondo mutamento dei campi di intervento, delle metodologie d’azione, della formazione professionale degli operatori. Dove l’intelligence della seconda metà del novecento era eminentemente ideologica, quella attuale si muove in una prospettiva eminentemente geopolitica. Dove le strategie precedenti avevano al centro l’obiettivo del controllo territoriale fondato sul limes, quella attuale pensa in termini di reti di commessione /dal web alle rotte aeree, dalle rotte marittime ai gasdotti, dagli istmi ai valichi di montagna).
L’enorme raccolta di dati (i “Big data”) impone tecniche di stockaggio, verifica, trattamento ed analisi per i quali i servizi si sono dotati di sofisticati sistemi di algoritmi ed, a volte, i risultati sono rivenduti ad imprese industriali e finanziarie. Per non dire della gara per la cyber war che sta modificando velocemente le gerarchie di potere delle grandi potenze.
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