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Le illusioni della democrazia nell’interpretazione di Massimo Fini

Le illusioni della democrazia nell’interpretazione di Massimo Fini

Giuseppe Gagliano analizza, in due articoli distinti, il pensiero politico di Massimo Fini. In questo primo articolo, Gagliano ci guida al nucleo del principale filo rosso che Fini segue nel suo lavoro: la critica alla moderna democrazia rappresentativa.

Lo stile brillante con cui Massimo Fini ha espresso le sue riflessioni sulla democrazia accompagna un pensiero che denota un’efficace (stilisticamente parlando) sintesi di riflessioni mutuate dalla sociologia di Max Weber, dalle riflessioni di Vilfredo Pareto, dalla Scuola di Francoforte, dall’intellettuale francese Alain de Benoist, dalla sociologia di Wright Mills, e da una vasta gamma di pensatori che va da  Serge Latouche a Martin Heidegger (soprattutto in relazione alla tecnica) passando per George Simmel, Nietzsche e Giuseppe Prezzolini.

Vediamo di riassumere in punti essenziali alcune delle critiche che Fini muove alla democrazia.

Secondo il giornalista italiano l’esistenza dei partiti non rappresenta il fondamento della democrazia ma al contrario il vulnus della democrazia perché nega uno dei presupposti fondamentali e cioè la partecipazione. Il cittadino da solo non è in grado infatti di partecipare alle elezioni democratiche ma può farlo soltanto attraverso i partiti che ormai hanno occupato ogni ambito del settore pubblico e in gran parte di quello privato. Provocatoriamente l’autore afferma che i partiti non sono l’essenza della democrazia ma, al contrario, ne rappresentano la fine. Concretamente parlando la democrazia non è fatta dal popolo ma da un’aspra competizione tra oligarchie o poliarchie.

In secondo luogo coloro che fanno queste oligarchie, cioè gli uomini politici o la classe politica, sono persone che hanno come unico elemento fondamentale il voler fare politica,sono cioè dei professionisti della politica, che vivono di politica e sulla politica.

Quanto alla tanto conclamata formazione della nomenclatura politica, questa è puramente ed esclusivamente burocratica poiché avviene all’interno degli apparati di partito, attraverso lotte spietate analoghe a quelle che avvengono all’interno delle organizzazioni criminali. Infatti, secondo l’autore, la corruzione presente all’interno dei partiti e, quindi, della democrazie non è una variabile ma è una costante poiché i partiti pur di spartirsi il potere e, quindi, il denaro non hanno scrupoli di alcun genere.

In relazione alla questione del potere mafioso le riflessioni dell’autore sono nette: la linea che divide le oligarchie legali da quelli criminali è molto sottile poiché i valori sui quali questi gruppi si tengono insieme e si difendono verso l’esterno sono gli stessi e cioè la fedeltà, la lealtà, l’omertà rispetto gerarchico e molto spesso anche i metodi sono in parte coincidenti. In fondo la tangente politica non è altro che un pizzo. Insomma, alla luce di questo raffronto, la democrazia nella sostanza è un sistema di mafie fatta da alcune attività legali e da altre prevalentemente criminali.

Un terzo aspetto sottolineato da Fini è quello relativo all’adesione dei cittadini ai partiti, che non è in gran parte di una decisione da parte del popolo ma è frutto della possibilità di trarre vantaggi, benefici o favori secondo una logica esclusivamente clientelare.

Quanto poi alla cosiddetta reale libertà nel votare, ed è il quarto aspetto, da un lato questa è determinata da una continua e costante manipolazione che i partiti attuano attraverso i giornali, i mass-media e i social network e dall’altro lato sono i partiti o gli apparati che impongono al popolo i loro rappresentanti. A tale proposito, non senza ironia, Fini sottolinea come la vera attività dell’uomo politico – oltre a quella di amministrare il potere – sia quella di parlare, cioè di ingannare, e mentire attraverso la parola al popolo. Il vero politico, in fondo, non è altro che un vero e proprio demagogo.

Invertendo il processo democratico che si presume parta dal basso per arrivare all’alto, l’intellettuale italiano sottolinea che in realtà il vero potere della democrazie è di tipo verticale poiché il potere passa dal popolo ai suoi rappresentanti, da costoro ai partiti, dai partiti agli apparati ed dagli apparati ad un ristretto gruppo di persone per arrivare poi al segretario del partito. In fondo le caste politiche dei sistemi democratici non sono molto diverse da quelle sovietiche perché anche queste vogliono l’autoconservazione e cioè il mantenimento del potere e dei vantaggi che adesso sono collegati.

Andiamo adesso alla cosiddetta libertà d’informazione, che sarebbe uno degli elementi di maggiore differenza rispetto sistemi totalitari. In realtà, sottolinea l’autore, i grandi organi di informazione, e cioè quelli che contano, sono in mano a determinate oligarchie economiche strettamente legate, attraverso una serie di intrecci di natura politica e non alle oligarchie politiche. In buona sostanza tra il Corriere della Sera e la Repubblica ci sono in realtà differenze minime perché in fondo fanno gli stessi interessi, sottolinea Fini. D’altronde non si spiegherebbe come mai i partiti sono così attenti a lottizzare la televisione di Stato né si spiegherebbe come mai la carriera politica di Berlusconi è stata possibile anche grazie alle sue televisioni private.

Per quanto riguarda l’importanza del consenso popolare basterebbe notare come le politiche monetarie che riguardano miliardi di persone siano decise dalle banche centrali e dal Fondo monetario internazionale; per quanto poi riguarda le scelte di politica estera, nonostante la contrarietà delle opinioni pubbliche occidentali alla guerra in Iraq, questa si fece comunque. Tutto ciò accade perché il consenso che i leader politici cercano è puramente strumentale, cioè lo cercano solo per legittimare e o ampliare il loro potere.

L’omologazione alla quale ormai tendono tutte le società contemporanee è tale che la maggior parte dei partiti che si definisce di destra o di sinistra sono in realtà a favore del libero mercato che, insieme al modello industriale, è uno dei meccanismi fondamentali che determina la nostra stessa vita, i nostri stili di vita, di cui la democrazia costituisce solo l’involucro legittimante. Ed a proposito della presunta differenza tra destra e sinistra, non fu forse il democratico Bill Clinton a legittimare la guerra in Jugoslavia? Ebbene, gran parte della opinione pubblica italiana, non era forse contraria al cosiddetto intervento umanitario in Jugoslavia? O forse quando le guerre vengono promosse da un governo di sinistra sono legittime e nascono con l’intenzione di salvaguardare i diritti umani mentre quando vengono promosse da un governo di destra o di centro destra in realtà violano i diritti umani e sono la conseguenza di politiche imperialistiche?

Perché allora scandalizzarsi di fronte alla lottizzazione politica del CSM? Le oligarchie politiche, sottolinea l’autore, devono necessariamente autotutelarsi attraverso una serie di immunità e ,proprio per questo, è fondamentale il controllo del potere giudiziario. In alcune democrazie vi è un controllo diretto del potere giudiziario in altre il controllo avviene in modo più indiretto.

Nel 2011 ha fondato il Network internazionale Cestudec (Centro studi strategici Carlo de Cristoforis) con sede a Como, centro studi iscritto all'Anagrafe della Ricerca dal 2015. La finalità del centro è quella di studiare, in una ottica realistica, le dinamiche conflittuali delle relazioni internazionali ponendo l'enfasi sulla dimensione della intelligence e della geopolitica alla luce delle riflessioni di Christian Harbulot fondatore e direttore della Scuola di guerra economica(Ege) di Parigi

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