La rivoluzione rom cambierà l’Europa orientale?
Il cambiamento degli equilibri demografici in Europa orientale sta aumentando il peso e la rilevanza dell’etnia rom in diversi Paesi, dalla Romania alla Bulgaria passando per la Repubblica Ceca. Cosa implicherà questo in futuro per gli equilibri sociali, istituzionali e geopolitici? Il nostro Emanuel Pietrobon ha provato a indagare i trend indotti dall’ascesa demografica dei rom nel suo saggio “La rivoluzione rom” (2020) di cui oggi vi presentiamo un estratto.
Questo libro nasce con l’obiettivo di informare il pubblico laico ed accademico italofono su un fenomeno rivoluzionario di cui nessuno sta parlando: la rivoluzione rom. Non è un’esagerazione e non è una teoria del complotto partorita nel mondo delle estreme destre dello spazio postcomunista dell’Europa centro-orientale.
Si tratta di un evento reale, che sta accadendo sotto i nostri occhi, ma del quale nessuno parla perché scarso o nullo è l’interesse nei suoi confronti. Fra il 2040 e il 2100, una parte dell’Europa cesserà di essere ciò che è stata per secoli, assumendo un volto irriconoscibile che, oggi, ci si rifiuta di accettare, forse per paura, forse per incredulità.
Non è una questione di se, è una questione di quando. Il collasso del sistema comunista che per un sessantennio ha dominato il panorama politico-culturale dell’Europa centro-orientale ha comportato una serie di travolgimenti per quei Paesi, in primis una tremenda emorragia demografica che ancora non si riesce a curare.
Dall’inizio degli anni ’90 ad oggi, 2020, la popolazione dell’Europa centro-orientale, ed in particolare dei Balcani, si è ristretta notevolmente. Romania, Bulgaria ed ex Iugoslavia i Paesi più colpiti, ma la crisi ha colpito ovunque, indiscriminatamente. Milioni di persone hanno deciso di fare le valigie e cercare una vita migliore nella più prospera Europa occidentale, milioni di persone non sono mai nate per via degli aborti e a milioni sono morte prematuramente per via delle precarie condizioni di vita che ancora caratterizzano gran parte della scena postcomunista.
Sullo sfondo di tutto ciò, mentre gli autoctoni iniziavano una lenta ma inesorabile marcia verso l’estinzione, i rom – un gruppo etnico proveniente dalla valle dell’Indo, stanziatosi in Europa attorno l’anno Mille – cominciavano una silenziosa quanto inarrestabile ascesa, resa possibile da una peculiarità culturale che per secoli non ha rappresentato un problema: l’inclinazione alla costruzione di famiglie numerose, composte mediamente da 3 a 5 figli.
Il punto è questo: non si è mai giunti, neanche lontanamente, al punto di una rivoluzione etnica nell’attuale spazio postcomunista perché, per secoli, autoctoni e rom hanno avuto tendenze simili alla natalità, forse i primi più dei secondi.
Ma la fine dell’Unione Sovietica e delle dittature comuniste ha rappresentato la fine di un’epoca: l’inizio della migrazione di massa altrove, il decadimento delle strutture sanitarie e delle condizioni di vita – con annessi i riflessi sulla mortalità – e il rimpicciolimento forzato delle famiglie che hanno deciso di restare in patria perché private dei mezzi economici di sussistenza per crescere e mantenere dei figli.
Il sistema comunitario dei rom, un popolo che si regge su strutture clanistiche, rigidamente gerarchiche e patriarcali, all’interno delle quali esistono vincoli di collaborazione intracomunitaria che garantiscono forme primitive di, chiamiamolo così, stato sociale, ha invece funto da ammortizzatore per tutti questi accadimenti.
I rom hanno trovato all’interno delle loro comunità la risposta alla scomparsa degli stati sociali, continuando a porre un accento fondamentale sul valore economico della prole. La tendenza si è cristallizzata e, così, negli ultimi trent’anni si è assistito ad una forte e costante diminuzione degli autoctoni in tutti i Paesi dell’Europa centro-orientale e all’aumento simultaneo dei rom, i cui numeri, però, continuano ad essere grandemente sottostimati per via dell’inaccuratezza dei censimenti e dell’assenza di interesse, da parte dei governi e dei centri studi, nel condurre ricerche demografiche mirate.
Veniamo al dunque: perché è importante parlarne?
In primis, si tratta di un fenomeno destinato a produrre gravi conseguenze di natura sociale qualora non venisse trattato con la dovuta importanza. La convivenza fra autoctoni e rom, mai stata facile, negli ultimi anni è diventata più complicata e accadono con cadenza sempre più frequente eventi come guerre urbane interetniche, tentativi di pogrom e omicidi a sfondo razziale, e hanno fatto comparsa squadre di vigilanti e paramilitari impegnate nella caccia al rom.
Emblematico è quanto accaduto in Romania durante la pandemia di Covid-19: scontri e rivolte in tutto il Paese, corpi speciali di polizia dispiegati nei villaggi a maggioranza rom, vertici statali che hanno denunciato l’esistenza di una “epidemia di violenza”. E simili tensioni si sono registrate anche in Bulgaria, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.
In secundis, parliamo di un fenomeno che, oltre ad avere riflessi sociali, sarà anche portatore di potenziali travolgimenti geopolitici. Alcuni Paesi, i più lungimiranti, una volta preso atto della storicità della rivoluzione rom, potrebbero agire in contropiede, approfittando della miopia dell’Unione Europea e dei singoli Stati per estendere la loro influenza culturale e politica su questa minoranza sempre più numerosa.
Fantapolitica? Forse. Ma in Bulgaria è stato scoperto recentemente che degli imam operanti in alcuni campi rom del Paese predicavano dottrine estremiste e i loro sermoni hanno radicalizzato un numero imprecisato di fedeli, spingendo alcuni a partire in Siria, arruolandosi nello Stato Islamico. Rom musulmani e radicalizzazione religiosa eterodiretta dall’esterno, qualcosa di cui si è iniziato a discutere in Bulgaria.
Non complottismo spicciolo da bar funzionale alla conquista di voti da parte di qualche partito di estrema destra, ma un problema di sicurezza nazionale che ha spinto l’esecutivo bulgaro a rivalutare l’intero spazio di manovra concesso ad Ankara nel campo degli affari islamici nazionali. Un argomento meritevole di attenzione, oltre che di riflessione, che riceverà il dovuto approfondimento nel capitolo dedicato alla Bulgaria. La rivoluzione rom è destinata a cambiare per sempre e significativamente l’immagine di una parte d’Europa, parte che, tra l’altro, per via della sua cronica instabilità ha vinto legittimamente un appellativo: la polveriera. Quanto sta accadendo non potrà che aggiungere altra polvere da sparo nel calderone e, forse, ne causerà anche lo scoppio. Agire oggi significa evitare tutto questo.
Sergio Bevilacqua
Molto chiaro, molto sincero, un ottimo contenuto dell’osservatorio. Dovrebbe essere portato all’attenzione di forum esteri.
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