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Ex Kgb e potere economico, il patto che controlla la Russia

Ex Kgb e potere economico, il patto che controlla la Russia

Siamo a proporvi la traduzione dell’articolo “Russie. Comment le KGB a noyauté l’économie” apparso, a firma di Dimitrij Kartsev sul numero 1157 ( dal 3 al 9 gennaio 2013) del Courrier International (pagine 20-21-22-23), interamente realizzata da Andreas Massacra.

RUSSIA. COME IL KGB SI E’ INFILTRATO NELL’ECONOMIA

All’inizio degli anni ‘80. Jurij Andropov, il numero uno sovietico, prepara con il KGB un piano per fare man bassa delle ricchezze del paese. Il progetto, a metà strada tra autoritarismo e ultraliberalismo, fallirà. Ma con l’aiuto di Vladimir Putin, i membri dei servizi segreti controllano oggi il mondo degli affari. 

Appena 30 anni fa, il 12 novembre 1982, Jurij Andropov, capo del KGB [Comitato della Sicurezza di Stato], divenne segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS). Trascorrerà solo poco più di un anno alla guida del Paese, ma lascerà dietro di sé quasi più domande, leggende e speranze infrante di tutti gli altri leader [sovietici] del XX° secolo. Una voce persistente gli attribuisce il progetto di un insieme completo di riforme di cui la perestroika non sarebbe stata che la versione imbastardita. Inoltre sotto la sua direzione il KGB avrebbe sviluppato e poi applicato il piano per la redistribuzione della proprietà che ha visto i cekisti prendere il controllo dell’intera economia del paese dissimulandosi dietro gli “oligarchi”. Attraverso interviste a molti agenti con background complessi, noi abbiamo tentato di tracciare questo “piano del KGB”. “A mio avviso, c’è una cosa che l’opposizione russa attualmente non comprende, cioè che la sua utopia si è già concretizzata”. Il nostro interlocutore fa parte dell’entourage di Vladimir Kriuchkov (che ha diretto il KGB dal 1988 al 1991). Parla con calma, quasi senza smettere di sorridere. “Essi hanno questo slogan, che reclama ‘Elezioni oneste!’ ma quando le elezioni furono oneste e i comunisti le vinsero, gridarono: ‘Noi vogliamo un Pinochet!’ Così lo hanno avuto.”

Abbiamo parlato con agenti di profilo diverso: che siano al potere o meno, pro-Putin o all’opposizione, abbiamo ritrovato presso di loro una logica e una mentalità sorprendentemente simili. Da una parte e dall’altra, si distingue nettamente il marchio di una alleanza tra liberali e cekisti. La spiegazione non risiede evidentemente nella consueta teoria del complotto né nell’onnipotenza del KGB, fantasia preferita dell’intellighenzia. Essa è dovuta alle complesse e contraddittorie radici storiche della nuova Russia, al trauma della sua nascita. 

Si situa generalmente il debutto della storia contemporanea del nostro paese nell’aprile del 1985, allorquando Mikhail Gorbaciov ha annunciato il lancio della perestroika. Ma le parole dell’uomo a cui Gorbaciov ha dovuto la sua folgorante carriera politica -Jurij Andropov- hanno senza dubbio un’importanza ben superiore. “Ad essere sincero, non abbiamo sempre studiato come si conviene la società nella quale viviamo e lavoriamo, non abbiamo sempre scoperto le leggi che la reggono, in particolare nel campo economico” , ammetteva Andropov nel giugno del 1983.  “Per questo a volte siamo costretti ad agire in modo empirico, per così dire, concatenando in modo perfettamente irrazionale sperimentazioni ed errori”. 

Nelle parole del capo di Stato sovietico, non si trattava solo di mettere in evidenza “alcuni difetti”, e nemmeno di incompetenza dei funzionari del Paese. Significava anche, senza ambiguità, la necessità di sviluppare un programma d’azione ponderato e completo. E in particolare nel campo economico. Il segretario generale non aveva tuttavia specificato i dettagli del suo progetto, affogandoli in frasi rituali sul socialismo, etc. Un discorso tutto in allusioni, nel più puro stile cekista. Questo progetto, portato da Andropov di una riforma radicale del sistema sovietico, è entrato da tempo nella leggenda.

La maggior parte di coloro che ne hanno avuto conoscenza rimangono in silenzio. Con rare eccezioni. Arkadi Volski [consigliere economico di Andropov nel 1983-1984, poi presidente dell’Unione degli industriali e degli imprenditori di Russia dal 1990 al 2005] è stato il solo a evocare certi dettagli di questa ambiziosa iniziativa. “Egli aveva una idea fissa, quella di porre fine al principio delle nazionalità che strutturava l’URSS” , ha confidato poco prima di morire [nel settembre 2006], in un’intervista a Kommersant. “In URSS, le tensioni interetniche erano attutite. Un giorno, il segretario generale mi ha convocato per dirmi: ‘Finiamola con la divisione del paese per nazionalità. Presentatemi un progetto di suddivisione dell’Unione Sovietica in stati fondati su dei criteri demografici e di coerenza industriale. Disegnatemi una nuova carta dell’URSS’. Gliene ho rilasciate quindici versioni! Nessuna ebbe la fortuna di compiacerlo.” 

Entrato nella leggenda. Una riforma radicale doveva gioco forza scontrarsi con la feroce resistenza della vecchia élite della nomenklatura. Inoltre, era impossibile prevedere come avrebbe reagito la popolazione. Si può legittimamente immaginare che non doveva cessare di riapparire nella memoria di Andropov l’anno 1964, nel corso del quale i dignitari del Partito avevano spodestato senza troppi complimenti Nikita Kruscev, che aveva preso un giro di iniziative audaci. Ma Andropov sapeva anche che una tale cacciata sarebbe stata impossibile ai tempi di Stalin. Allora, secondo i nostri interlocutori, parte del piano del segretario generale consisteva  nell’instaurare per alcuni anni una severa dittatura quasi staliniana. Andropov voleva servirsene soprattutto contro la nomenklatura, che considerava, giustamente, la principale fonte dei mali che affliggevano il Paese, in particolare corruzione e burocrazia. In certi aspetti aveva anche pensato di sorpassare il “padre dei popoli”.

“Avrebbe certamente detto che il partito era degenerato e che non difendeva più gli interessi dei lavoratori” ci spiega un generale del KGB in pensione. “In quanto questa era la verità. Evidentemente, non sarebbe stata questione di libertà di espressione o di indipendenza della stampa. Il paese sarebbe andato incontro a grandi epurazioni, anche, probabilmente, al rilancio del sistema dei campi. Le riforme non sarebbero state popolari. Non doveva lasciare che i conservatori le minassero con la demagogia.” Pertanto, il tristemente celebre articolo 6 della Costituzione Sovietica, che affermava il carattere dirigente del PCUS, avrebbe dovuto essere soppresso. 

L’irrigidimento del regime politico non era fine a se stesso, ma l’unico mezzo per realizzare vaste riforme, che consistevano essenzialmente nel trasformare l’economia nel profondo. Al giorno d’oggi, la via nella quale Andropov avrebbe voluto impegnare l’URSS viene qualificata come “modello cinese”. Secondo chi gli era vicino, Andropov prevedeva di creare una decina di aree sperimentali che avrebbero avuto dei cambiamenti, e non necessariamente gli stessi. Non si trattava di avere “un paese, due sistemi” come la Cina dopo la restituzione di Hong Kong, ma “un paese, una decina di sistemi e sottosistemi”. Questo progetto avrebbe rappresentato una sorta di competizione socialista tra regioni e permesso di fare emergere il progetto più appropriato di modernizzazione. Ma è pressoché certo che i luoghi che sarebbero dovuti rimanere in stato di arretratezza, avrebbero conosciuto un crescente malcontento, che avrebbe dovuto essere arginato con pugno di ferro. 

“Quando ripenso a tutto ciò che abbiamo attraversato tra gli anni 1990 e 2000” pensa ad alta voce uno degli uomini con cui abbiamo discusso, “ciò che io ho potuto apprendere del progetto di Andropov, in quel momento e in seguito, mi pareva abbastanza ingenuo, un po’ come un gioco di ruolo. Vedete, non potevamo immaginare quanto si fosse deteriorato il sistema di governo dell’URSS. Andropov stesso ne aveva coscienza? Difficile a dirsi.” 

Egor Gaidar, già. Tuttavia, intraprendere delle riforme economiche necessita di professionisti. Per cominciare, fare appello ai più aperti tra gli altri funzionari del Partito avrebbe potuto essere sufficiente, ma da un punto di vista strategico affidarsi a loro era rischioso, perché la nomenklatura di allora era in pessime condizioni. Andropov cercava delle nuove teste. E certi cekisti affermano che ne ha trovate alcune, anche se il paese non ha scoperto i loro nomi fino a un decennio dopo. In effetti, molti di quelli che egli aveva selezionato, sarebbero entrati [a partire dal 1992] nel governo di Egor Gaidar [primo Primo Ministro della Russia post-sovietica dal 15 giugno al 14 dicembre 1992, incaricato del lancio della “terapia shock” , deceduto nel 2009]. “L’unione Sovietica non aveva più una scienza economica propria”, ci ricorda l’ufficiale superiore del KGB che ha lavorato sotto gli ordini di Vladimir Kriuchkov. “Jurij Andropov ne era ben cosciente. Era necessario formare degli specialisti.  E soprattutto dare loro la possibilità di familiarizzare con le teorie economiche occidentali del momento.” 

Ciò spiega l’assenza di reazione del KGB di fronte alle attività antisovietiche nelle quali si sono allora lanciate le personalità che avrebbero un giorno dovuto dirigere il primo governo liberale russo. “Giudicate voi stessi: a quel tempo, si poteva essere arrestati perché si stava leggendo un’opera di Solzhenitsyn che evocava degli avvenimenti vecchi di 40 anni, mentre si tenevano apertamente dentro anfiteatri dibattiti su dei progetti di riforma  che, molto concretamente, significavano la distruzione del sistema sovietico. Non lo trovate strano?” domanda Alexei Kondaurov , generale del KGB e anziano analista in capo all’interno della società petrolifera Iukos.

Egor Gaidar ha lui stesso spiegato in diverse interviste che i suoi amici e lui avevano cominciato a discutere di sconvolgimenti di grande ampiezza all’inizio degli anni ‘80. Questo è successo all’Istituto nazionale per gli studi sui sistemi. Precisiamo che questo istituto è stato la filiale sovietica dello Iiasa, l’Istituto internazionale per l’analisi dei sistemi applicati, fondato in Austria all’inizio degli anni ‘70. L’istituto di Mosca forse non offriva stage [in Occidente] ma permetteva ugualmente d’avere accesso agli ultimi lavori [stranieri] sulla questione. Pertanto, se non si può dire che i dibattiti sulle riforme fossero una creazione del KGB, essi sono almeno avvenuti con il suo tacito accordo. E data la portata del progetto che era germogliato nella mente di Andropov, non era certo un caso. “Evitiamo comunque di parlare di ‘agenti reclutati’”, suggerisce l’anziano assistente di Vladimir Kriuchkov, opponendosi con vigore a tutti i tentativi di assimilare i giovani riformisti a degli agenti del KGB.

“Gli economisti facevano il loro lavoro, la Polizia segreta il suo. Io stesso non sono sicuro che all’epoca, all’inizio degli anni ‘80, tutti quei futuri ministri avessero compreso che le loro riflessioni ci interessavano. Essi avevano 20 anni, 30 al massimo, erano ai margini dell’intellighenzia, era sufficiente che li si lasciasse pensare tranquillamente perché fossero contenti. 

– Ma come mai l’orientamento scelto è stato quello dell’ultraliberalismo? È difficile immaginare qualcosa che possa attaccare più radicalmente il regime sovietico. 

– A metà degli anni ’80 l’ultraliberalismo era alla moda. Ricordatevi che era l’epoca del thatcherismo, dell’economia reaganiana. Certo, c’era anche il modello svedese, socilaista, ma il nostro obiettivo non era affatto somigliare alla Svezia… Ovviamente ci siamo seriamente ingannati. Ma penso che non ci fossero altre vie all’epoca. Le tigri del sud est asiatico stavano appena iniziando la loro ascesa, la Cina stava decollando più o meno alla nostra stessa ora e le capacità del capitalismo di Stato non erano ancora molto chiare. 

MIliardi all’estero. Sotto certi punti di vista, le idee della branca universitaria liberale che il KGB osservava con attenzione erano perfettamente in accordo con le idee di Andropov stesso. Non tardò a venire alla luce, con la pubblicazione, nella primavera del 1990, degli estratti de “Note analitiche sul concetto di transizione verso un’economia di mercato in URSS”. L’articolo portava un titolo eloquente, “Una politica dura”, ed era stato redatto da un gruppo di economisti diretto da un uomo che poche persone conoscevano a quel tempo, un certo Anatoly Chubais [economista orchestratore delle riforme liberali degli anni ‘90, ora presidente della direzione della società nazionale di nanotecnologie (Rosnano)]. “L’opposizione di larghe masse alla riforma è legata alla necessità che quella implica di adottare delle misure radicale e impopolari, e agli inevitabili inconvenienti che l’accompagneranno -abbassamento del tenore di vita, aumento brutale, e soprattutto legale, delle diseguaglianze sociali, speculazione legale di una ampiezza enorme, e ‘arricchimento iniquo’ di certi individui e categorie sociali, riciclaggio di denaro nell’economia parallela, comportamento provocatorio dei nuovi ricchi, etc.”

Al fine di combattere la resistenza alle riforme, gli autori raccomandavano le misure seguenti: “dissoluzione dei sindacati che si sarebbero opposti alle misure governative” , “legislazione di eccezione contro gli scioperi” , “controllo di tutti i media nazionali” , “repressione dei militanti di Partito”. Le similitudini con il progetto di Andropov tale e quale i nostri interlocutori dei servizi segreti ci hanno esposto saltano agli occhi. Ed esse non sono certamente fortuite, visto il vivo interesse che il KGB di Andropov manifestava nei confronti dei giovani economisti ricchi di futuro, di cui Chubais faceva incontestabilmente parte. E’ molto probabile che il risultato degli studi del gruppo di Gaidar e Chubais doveva servire come base per il regime economico di una delle zone sperimentali, ma non è affatto certo che questa esperienza avrebbe dovuto essere estesa a tutta l’URSS. Che, peraltro, doveva cessare d’esistere nella sua forma lenino-stalinista,e alla fine invece cessava del tutto di esistere.

La morte di Jurij Andropov [nel 1983] resta circondata dal mistero. Tra i cekisti si continua a ripetere che è stato ucciso da Svetlana Shcelokova, il cui marito era stato accusato da Andropov di numerosi crimini e licenziato dal suo posto di ministro dell’Interno. Poi si susseguono nella funzione suprema Konstantin Cernenko [1984-1985] e Mikhail Gorbaciov. E si succedono il plenum dell’aprile 1985, la perestroika, il crollo dell’URSS… l’idea liberale prende corpo. Inizialmente diretta contro la nomenclatura del Partito, essa in realtà, finisce nei fatti per rendergli un fiero servizio. Oggi, trenta anni dopo l’arrivo di Andropov al potere, la concentrazione di membri dei servizi segreti alla direzione dell’economia russa non può che impressionare. Si ha talora la sensazione che questi uomini si siano infiltrati in quasi tutte le aree del capitalismo del paese, capitalismo che si può ora ragionevolmente qualificare come cekista. E si inserisce perfettamente nel famoso progetto di Andropov. 

“Evidentemente, egli prevedeva che lo Stato avrebbe designato gli acquirenti dei beni privatizzati”, dettaglia un anziano agente del controspionaggio al corrente di certe fasi di questo piano. “Non potrebbe essere più logico, dal momento che non c’era capitale di partenza nel paese e nessuno aveva intenzione di far entrare stranieri. Questi nuovi padroni non sarebbero stati necessariamente agenti, ma sicuramente avrebbero lavorato sotto il controllo del KGB. Erano in formazione…” Si doveva anche preparare loro il capitale di partenza. Nel 2005, questa versione delle cose è stata esposta in forma estrema nel Proekt Rossia [Progetto Russia], un’opera anonima ma che ha fatto un gran rumore: “Nel momento in cui l’URSS stava crollando, era necessario istituire urgentemente un sistema di controllo provvisorio delle immense risorse delle materie prime e delle ricchezze strategiche. Era fuori questione che queste si trovassero orfane. Si è allora optato di trasferire beni pubblici a privati, selezionati con cura”. L’autore suggerisce che il processo fosse stato messo in piedi e supervisionato da strateghi dei servizi segreti. In tal modo gli oligarchi attuali non sarebbero altro che degli impiegati, dei manager, controllati dai veri proprietari. 

L’anno stesso della pubblicazione dell’opera anonima, gli indizi potrebbero essere interpretati come tante conferme delle tesi che rivela. Analizzando il verdetto del primo processo Yukos [contro l’oligarca Mikhail Khodorkovsky, accusato di frode fiscale su larga scala], Alexandre Privalov, direttore scientifico della rivista russa Expert, ha notato che le due parti, l’accusa e la difesa, non avevano mai menzionato il nome di una oscura società offshore, Djamblik, che doveva essere la principale beneficiaria delle attività della compagnia petrolifera. Ciò che è più degno di nota è che la creazione di questa società risale all’8 novembre 1984.

In tal modo si potrebbe formulare l’ipotesi audace che nei lontani anni ’80, consapevoli che il sistema economico sovietico stava andando contro un muro, alcuni alti funzionari, per lo più appartenenti al KGB, avessero assicurato che parte degli utili fosse in conti all’estero. Per questo è stato necessario realizzare una rete offshore dove le somme dovevano accumularsi. Le fortune così costituite (che ammontano a decine di miliardi di dollari) avrebbero formato quel capitale di partenza, che avrebbe permesso alla nuova economia russa di avviarsi. Secondo questo schema gli oligarchi sarebbero dei semplici “operatori”, degli uomini a cui sarebbe stato dato il permesso di gestire proprietà acquisite con denaro che non apparteneva loro.

Gli agenti competenti. Interessante è vedere che delle società analoghe a Djamblik, create prima del crollo dell’URSS, si ritrovano nell’impero di altri importanti uomini d’affari russi. Sibir Energy, per esempio, diretta dal celebre businessman Shalva Chigirinsky, è stata fondata nel 1996 a partire dalla società londinese Pentex Energy, creata, questa, nel 1981 , “con lo scopo di attirare investimenti in URSS”. Ricordiamoci anche dello strano arricchimento del banchiere Alexandre Lebedev, l’origine della fortuna del quale, nell’ambiente bancario, è sovente associata al mitico: “oro del Partito Comunista”, visto il poco tempo impiegato, nel mezzo degli anni ‘90, per ritrovarsi al capo di importi colossali. Nel passato Lebedev aveva fatto parte dei servizi segreti e aveva lavorato sotto copertura per l’ambasciata sovietica in Gran Bretagna. 

Molti cekisti sono scettici su questa ipotesi, che è comunque lusinghiera per la loro professione, quando non si rifiutano apertamente di discuterla. Ne propongono un’altra che non coinvolge capitali al riparo fuori dai confini, ma che non nega il ruolo del KGB nella nascita del business russo: “Immaginate di avere un agente, impiegato in una impresa che lavora con l’estero, Podchipnikexport, per esempio. Questo fa tranquillamente il suo lavoro. Di tanto in tanto, vi fornisce informazioni e voi gli prestate servizi. Poi arriva la perestroika, la privatizzazione, e lui diventa imprenditore privato. La prima cosa che fa è di domandarvi di venire a lavorare per lui. Alla sicurezza. Allora dite a voi stessi: ‘Ma cosa posso fare per lui adesso?’ La risposta è semplice. Con il grande dossier che avete su di lui, è meglio che voi restiate in buoni rapporti. E poi voi avete relazioni nella sfera del potere e nei servizi segreti. Inoltre, contrariamente a lui, voi, contrariamente a lui, siete un vero analista, è il vostro mestiere. Del resto non è affatto detto che si sarebbe messo in affari senza le mance che gli avete dato. 

– Di colpo, ci si chiede chi è obbligato verso chi.

– Sta a voi. Avete più elementi del necessario.”

Negli anni ‘90, l’ultimo capo del KGB dell’URSS, Vladimir Kriuchkov, ha lavorato alla direzione del gruppo FK SISTEMA; Filipp Bobkov, il vecchio responsabile del dipartimento n° 5 del KGB, incaricato dell’ideologia, dirigeva il servizio di sicurezza di Most, il gruppo di Vladimir Gusinsky; Alexej Kondaurov, il vecchio capo del centro di relazioni pubbliche del ministero della Sicurezza, aveva aderito al servizio informazioni e analisi di Menatep, il gruppo di Mikhail Khodorkovsky. 

Ma alcuni assicurano ancora che, se i cekisti hanno una tale influenza nel mondo degli affari, essi non la devono che alle loro competenze. “Checché se ne dica, il KGB era praticamente privo di corruzione. I suoi agenti, soprattutto quelli del servizio informazioni estero, si distinguevano per la loro professionalità e la loro buona conoscenza, per i Sovietici, dell’economia occidentale”, precisa un vecchio agente che appartiene ormai ai servizi di sicurezza presidenziali. “Quando gli investitori stranieri sono venuti in Russia, la cosa più conveniente per loro era passare attraverso i cekisti per fare affari. Al tempo in cui è stato primo vicesindaco di San Pietroburgo incaricato delle relazioni economiche esterne, Putin ha lavorato molto affinché la Deutsche Bank potesse aprire una filiale in città. Gli stranieri impiegavano volentieri i vecchi agenti che imparavano da loro le basi del business. Ad ogni buon conto, in URSS, ogni compagnia ospitava necessariamente un agente del KGB, ufficialmente per fare da contro-spionaggio economico, ma in realtà per occuparsi di tutte le questioni legate alla sicurezza. Erano come doppi direttori. È ovvio che questi uomini seppero anche cavarsela molto bene durante gli inizi della privatizzazione, prima informale, poi ufficiale.”

Elite comunista. Altri non esitano ad affermare che, se gli uomini dei servizi segreti si sono riconvertiti nel business, è perché non avevano altra soluzione: “Immaginate che un bel giorno qualcuno sbarchi alla redazione del vostro giornale e vi dicesse: ‘Bene, lasciate perdere tutto, d’ora in poi tutto quello che avete fatto non vale niente, è inutile, e ancora, consideratevi fortunati che non vi mettiamo in prigione’” spiega un altro alto grado del KGB. “Alcuni di noi agenti sono rientrati dall’estero, dove essi avevano lavorato nella clandestinità, e si sono sentiti dire che per lo stato russo essi erano morti, e che non si voleva più sentir parlare di loro. In una situazione del genere si è pronti ad accettare qualsiasi offerta, che provenga da un oligarca o da un criminale.”

Sia come sia, all’inizio degli anni ’90, immense fortune si sono trovate sotto il controllo diretto o indiretto di ex agenti dei servizi segreti. Perché non ne hanno approfittato per prendere subito il potere, come Andropov, il loro idolo tra tutti, aveva loro ingiunto di fare? Perché, può essere, avevano giustamente paura di perdere tutti quei soldi. Ecco, per cominciare, la versione corporativa “ufficiale” tale e quale enunciata dal generale Kondaurov: “I cekisti sono addestrati ad analizzare, prevedere, smascherare i nemici, eseguire ordini, ma non a gestire un Paese. Sarebbe un errore credere che il KGB stesse facendo politica, non è vero. Andropov era una eccezione. Oltretutto non era stato formato nel KGB [ambasciatore, membro del Comitato Centrale del Partito, non era entrato nel KGB se non a 52 anni]. Il suo piano è scomparso con lui.”

Ecco ora una versione meno ufficiale, riportata dall’ex assistente anonimo di Kriuchkov, che è difficile sospettare di animosità verso il vecchio segretario generale e capo del KGB: “Il problema del progetto di Andropov, in sostanza, è che stava conducendo direttamente alla guerra civile. Stava per provocare la rabbia sia della popolazione che della nomenklatura. E soddisfare solo coloro che avrebbero realizzato profitti immediati. Ma chi li avrebbe protetti? Fisicamente? Era utopico. L’intero piano di Andropov era un’utopia. Perché non si riesce soli contro tutti. I servizi segreti non possono creare una giunta, non si sono addestrati per quello, nel complesso non hanno le armi adeguate. La via realista era un compromeso tra le élite, con la legalizzazione della proprietà, che, ovviamente, all’inizio, sarebbe essenzialmente tornata alla nomenklatura. Poi, è diventato possibile accedere gradualmente a posizioni chiave nel mondo degli affari e del potere. Questo è ciò a cui stiamo assistendo negli ultimi anni.”

Pertanto, all’inizio degli anni ‘90, gli eredi di Andropov avrebbero raggiunto un compromesso tattico provvisorio con i burocrati del Partito, strettamente legati ai generali, in cambio della possibilità di nominare la “loro” squadra di oligarchi e di riservare per loro medesimi posizioni vicine. Questo spiegherebbe il perché il piano iniziale di Chubais, che mirava ad eliminare la nomenklatura, sia stato parecchio alterato. Ma il compromesso non era destinato a durare.  

Alla vigilia dell’anno 2000, la vecchia nomenklatura del Partito, che aveva recuperato potere e ricchezze, si era messa in una situazione tale per cui non aveva più altra scelta se non quella di fare appello ai cekisti. “Nel 1999 la congiuntura è stata tale che i cekisti, come una corporazione, non potevano perdere [le elezioni legislative].” ricorda uno dei nostri interlocutori. “C’era Vladimir Putin [allora appena nominato Primo Ministro da Boris Eltsin] contro Evgenij Primakov (primo direttore dell’SVT, Servizio di informazione estero della Russia), la giovinezza contro l’esperienza, ma derivati sia uno che l’altro dalla stessa struttura. Senza contare la società Media-Most…” E in effetti, tutti sapevano cosa era la holding di Vladimir Gusinsky che portava il suo sostegno finanziario e mediatico alla coalizione Patria-Tutta la Russia [di Jurij Luzhkov, sindaco di Mosca, e Evgeny Primakov]. Il servizio di sicurezza di Media-Most era diretto da Fillip Bobkov, come già detto più sopra. E quando ci si ricorda che Vladimir Kriuchkov aveva trovato posto in AFK Sistema, vicino a Jurij Luzhkov, tutta la campagna legislativa del 1999 appare come un vasto regolamento di conti interni. Senza contare che Kriuchkov sarebbe riuscito a diventare consigliere di Putin. È qui che una confessione di Alexej Kondurov prende tutto il suo sapore: “Putin non mi è piaciuto fin dall’inizio e ho aiutato la squadra di Primakov. Mikhail Khodorkovsky lo sapeva molto bene e non vi si oppose, anche se preferiva Putin, che aiutava finanziariamente. Ha partecipato alla sua campagna il più possibile.” Ricordiamo che a quell’epoca Kondaurov era analista in capo per le imprese di Khodorkovsky. Le loro divergenze politiche non hanno ostacolato questa collaborazione. Era quasi un match tra camerati.

Lotte fratricide. L’operazione di “messa in sella” di Putin terminò, e quest’ultimo menzionò questo successo durante il Giorno dei cekisti [il calendario russo è costellato di feste professionali, tra cui questa], il 20 dicembre 1999: “Volevo segnalare che il gruppo di agenti della FSB [successore del KGB] inviato a lavorare sotto copertura presso il governo, è riuscito nella prima fase della loro missione.” Il cerchio era chiuso. 

Di certo, l’arrivo al potere di Vladimir Putin non offrì però tutto il potere al KGB. Il gruppo dirigente è molto unito e piuttosto ristretto, e sicuramente non rappresenta la corporazione dei cekisti nel suo insieme. L’arrivo al potere dei membri degli organi della sicurezza ha intensificato anche le lotte fratricide. Differenti gruppi hanno periodicamente cercato di conquistare il potere, alcuni venendo dai servizi segreti, e qualche volta queste aspirazioni venivano palesate senza mezzi termini. La guerra contro le società Media-Most e Iukos [Vladimir Gusinsky è andato in esilio e Mikhail Khodorkovsky sta ancora languendo in prigione] può essere anch’essa considerata come un episodio della lotta interna. 

Dal 2003 i cekisti hanno continuato a esporre la loro biancheria sporca in pieno giorno, dall’affare Tri Kita [Le tre balene, una società di commercio di mobili al centro di un enorme scandalo di corruzione] alla storia del contrabbando di prodotti cinesi per un valore di miliardi, culminata nell’iniziativa del capo del dipartimento antidroga Viktor Cherkesov, pubblicando [nell’ottobre 2207] una lettera aperta che avrebbe fatto scalpore, dal titolo “Non lasciamo che i combattenti diventino commercianti”. Le battaglie interne continuano, e tra i capi dell’opposizione troviamo ancora oggi membri della corporazione cekista: Gennady Gudkov, colonnello del KGB, Alexander Lebedev, luogotenente colonnello del KGB…

Infine, torniamo alla conversazione che ha aperto questa storia, con l’assistente di Kryuchkov:

“Che genere di fenomeno è stato Pinochet? Il rappresentante di un gruppo militare, che, facendo affidamento su questo gruppo, e in modo antidemocratico, vale a dire senza dibattito pubblico, ha imposto una serie di trasformazioni impopolari, volte a modernizzare il suo paese e a occidentalizzarlo.

– Ma putin, lui è popolare.

– Non ha importanza alcuna. Ciò che conta è che tutte le sue grandi iniziative, siano esse la sostituzione delle prestazioni in natura con indennità, la riforma delle tasse, dell’istruzione, dell’esercito, quella del sistema sanitario che non dovrebbe tardare ad arrivare, si svolgono senza un vero dibattito pubblico. E notate che esse sono tutte risolutamente liberali. Se, malgrado tutto, rimane popolare, è perché i suoi consiglieri in comunicazione fanno miracoli. Putin utilizza a fondo le possibilità che ha di governare in dittatura, ma esse sono estremamente ristrette. Non può sciogliere il parlamento né effettuare un’epurazione totale della nomenklatura. In realtà il suo margine di manovra è assai limitato. Ecco perché si chiama Putin [e non Pinochet]. Penso che abbia raggiunto il massimo grado di occidentalizzazione che l’élite delle forze di protezione del paese potesse accettare. Perché è questo che a sua volta garantisce l’attuazione della modernizzazione. Questo è ben appunto il piano di Andropov, ma senza gulag e guerra civile. Da qui gli effetti che possono sembrare più modesti.”

Il mio interlocutore sorride sempre. Con un sorriso franco e affabile.

Laureato magistrale in Scienze Filosofiche all'Università degli Studi di Milano, è attualmente consigliere comunale nel paese di Cesano Boscone.

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