Terzani e le ipocrisie dell’America in guerra
È proprio vero che la storia non è affatto maestra di vita e che il passato, o meglio gli errori del passato, si ripresentano ciclicamente, inesorabilmente. Leggendo “In America. Cronache da un mondo in rivolta” (Tea, 2020), raccolta di articoli di Tiziano Terzani pubblicati nel 1968 per la rivista “L’Astrolabio” diretta da Ferruccio Parri, è impressionante costatare come le bugie di Stato e le sconfitte militari dell’America degli anni sessanta non siano molto diverse da quelle dell’Iraq e dell’Afghanistan.
Nonostante l’indubbia superiorità tecnologica degli Stati Uniti di fronte all’uso della guerra di popolo da parte dei Vietcong – mutuata dagli insegnamenti del grande stratega Mao – gli Stati Uniti subirono cocenti sconfitte. Terzani infatti sottolinea come “l’invincibilità degli Stati Uniti, la superiorità della loro tecnologia siano state messe in crisi in Vietnam da un popolo asiatico e contadino; aerei supersonici vengono ancora oggi, in parte, abbattuti da singole pallottole sparate da vecchi moschetti, e due dei più avanzati aerei che la tecnologia americana abbia mai prodotto, gli F-111, sono scomparsi recentemente nel giro di pochi giorni dopo essere entrati in guerra”. Come non stabilire una immediata analogia con le sconfitte subite dagli americani in Afghanistan da parte dei talebani?
Ieri come oggi – si vedano a questo proposito le riflessioni sempre attuali di Noam Chomsky sulla necessità che le università siano autonome soprattutto rispetto al complesso militare e industriale americano – le istituzioni universitarie hanno svolto un ruolo di legittimazione della politica americana. Terzani ricorda infatti: “Durante le proteste presso la Columbia University gli studenti avevano chiesto di annullare i contratti di ricerca con il Dipartimento della difesa e con tutte quelle organizzazioni legate al Pentagono. Tutto ciò naturalmente non potrebbe che mettere in crisi la neutralità dell’università perché più del 50% dei fondi destinati alla ricerca provengono proprio da fonti governative. D’altronde, nel consiglio di amministrazione della Columbia University sono rappresentanti dalla IBM, dalla Chase Manhattan Bank e dalla Mobile Oil”. Se consideriamo che ad esempio l’Università di Yale è strettamente legata agli apparati di sicurezza americani – e più nello specifico alla CIA e all’NSA – non sembra che le cose siano cambiate dai tempi della guerra del Vietnam.
Dimenticare che le guerre di ieri – e di oggi – abbiano sempre costituito un lucroso affare per le industrie -petrolifere, siderurgiche e naturalmente delle armi- costituisce storicamente un fatale errore perché impedisce di comprendere la realtà effettiva delle cose. Terzani, non senza ironia, ricorda che “durante l’amministrazione di Johnson le principali aziende che beneficiarono della guerra del Vietnam furono la Lockheed Aircraft, l’Ibm, la General Dynamics, la Ford, la Westinghouse, sul cui libro paga figuravano a decine, come consulenti e amministratori, ex generali, ammiragli legati a doppio all’establishment militare e politico. Il Vietnam fu per molti settori economici americani un ottimo affare: la domanda di carburante proprio grazie alla guerra del Vietnam si intensificò e fu coperta grazie ad aziende come la Standard Oil,la Shell e la Texaco”.
Di particolare interesse furono i profitti nel campo dell’edilizia civile e militare. Una delle aziende che incassò somme enormi fu certamente la ditta Brown & Root del Texas diretta dai fratelli Brown legati a doppio filo a livello amicale con il presidente Johnson. Sono infatti loro ad aver costruito l’aeroporto di Tam Son Nuth ,la base di Danang, l’ambasciata USA Saigon. Nel bilancio del 1967, dei 33 miliardi di dollari destinati a contratti per la difesa, il 25% di questi veniva ripartito fra nove grandi costruttori fra i quali il pool di cui facevano parte i fratelli Brown. Ma la guerra in Vietnam consentì di fare affari d’oro anche al Giappone con il napalm che veniva prodotta nei sobborghi di Tokyo; per non parlare poi del fatto che la maggior parte degli autobus usati durante la guerra era di produzione giappones . Anche altre nazioni ebbero benefici rilevanti da questa guerra, tra i quali la Corea del Sud, la Thailandia, Taiwan e Singapore.
Vogliamo dimostrare l’assoluta attualità di questa tesi? Sarà sufficiente limitarsi a menzionare i rapporti fra la guerra in Iraq e l’industria petrolifera per avere un’idea esatta di come la storia sia veramente fatta di corsi e ricorsi troppo spesso tragici.
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