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Tutti i vicoli ciechi della Sinistra liberal

Tutti i vicoli ciechi della Sinistra liberal

Secondo Jean-Claude Michéa «la peggiore delle illusioni in cui oggi può cullarsi un militante di sinistra è quindi quella di continuare a credere che quel sistema capitalista che egli afferma di combattere costituisca in sé un ordine conservatore, autoritario e patriarcale, i cui pilastri fondamentali sarebbero la Chiesa, l’Esercito e la Famiglia. Se si confronta questa prospettiva delirante con ciò che abbiamo realmente sotto gli occhi, ci si rende conto che poggia su una confusione micidiale fra le differenti figure proprie allo spirito borghese […] e allo spirito del capitalismo»[1].

Costanzo Preve, invece, notava che il neocapitalismo «ha liberalizzato la sua etica e il suo riferimento alla religione, e lo ha fatto spinto dalla sua intrinseca logica ad allargare la mercificazione universale dei beni e dei servizi, per cui oggi sono mercificati beni e servizi che la borghesia classica intendeva invece preservare dalla sua stessa attività mercificante. I marxisti sciocchi e superficiali naturalmente non capiscono questa distinzione elementare, e continuano a definire “forze conservatrici” le forze economiche e politiche capitalistiche, laddove ovviamente è il contrario. Esse non ‘conservano’ proprio nulla»[2].

I due, marxisti eretici ostracizzati nell’area in cui sono nati, non dicono paradossalmente nulla di eretico, ma in totale sintonia con quanto detto da Marx ed Engels nel “Manifesto del Partito Comunista” del 1848: i due studiosi non disconoscono affatto i grandi meriti della classe borghese e la sua «parte sommamente rivoluzionaria nella storia», che anzi ha spezzato le catene del dominio feudale e che «ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d’illusioni religiose e politiche». «Ogni fase di sviluppo percorso dalla borghesia – notavano i due filosofi – fu accompagnata da un progresso politico corrispondente.» «Dovunque conquistò il potere, essa calpestò le relazioni feudali e patriarcali. Tutti i vincoli multicolori che univano l’uomo feudale ai suoi superiori naturali essa li schiacciò senza pietà, per non lasciare sostituire, tra uomo, e uomo, altri vincoli che il freddo interesse, che la dura moneta contante. Essa annegò l’estasi religiosa, l’entusiasmo cavalleresco, il sentimentalismo del piccolo borghese, nelle acque ghiacciate del calcolo egoista. Essa fece della dignità personale un semplice valore di scambio; essa sostituì alle numerose libertà sì caramente conquistate, l’unica ed insensibile libertà del commercio. In una parola, al posto della spogliazione coperta da illusioni religiose e politiche, essa pose una spogliazione aperta, diretta e brutale.» In estrema sintesi, l’egemonia borghese, che ha investito tutti i livelli della società e della vita individuale (il lavoro, il denaro, la famiglia, il sistema di valori e di credenze) ha trasposto le proprie dinamiche su scala globale, può sussistere però solo come rivoluzione perenne che investa gli «strumenti di produzione, i rapporti di produzione, […] tutti i rapporti sociali»[3].

Ripeto, Marx ed Engels capirono la cosa nel XIX secolo, ma come notavano Michéa e Preve, molti sedicenti marxisti oggi cianciano di patriarcato, di vetero-borghesia agghindata con tuba & marsina che difende, sigaro in bocca e tricolore in mano, la sacra triade “Dio, Patria, Famiglia”, dimenticando che quella è la retroguardia della borghesia, ormai in crisi e in piena proletarizzazione grazie alla mondializzazione del capitale, non necessariamente produttivo ma speculativo, mentre oggi la borghesia è intrisa di cultura liberal nata negli Stati Uniti, che ripropone come dottrina universale dei diritti dell’uomo la retorica giusnaturalista relativa al carattere morale dell’individuo e l’unità spirituale di un indistinto genere umano. Una nuova cultura funzionale alla difesa degli interessi della nuova élite cosmopolita che domina la politica, l’alta finanza e l’industria culturale, una ricca classe distaccata dalle masse popolari che fa sua una “visione turistica del mondo”, così descritta dallo storico e sociologo Christopher Lasch ne La ribellione delle élite:

«Quanti ambiscono a entrare nella nuova aristocrazia tendono ad ammassarsi sulle due coste [degli Stati Uniti, n.d.a.], voltando le spalle al cuore del paese e cercando di costruirsi dei legami con il mercato internazionale mediante il rapido movimento del denaro, la moda, gli atteggiamenti, la cultura popolare. A questo punto, non è neppure sicuro che si considerino americani. Il patriottismo, certo, non occupa un posto particolarmente elevato nella loro gerarchia di valori. Il multiculturalismo, d’altro canto, si adatta loro alla perfezione, contribuendo a definire la piacevole immagine di una sorta di bazar globale in cui cucina esotica, modi esotici di vestire, musica esotici ed esotici costumi tribali possono venire assaporati indiscriminatamente, senza problemi e senza impegno. I membri delle nuove élite si sentono a casa propria soltanto quando si muovono, quando sono en route verso una conferenza ad alto livello, l’inaugurazione di una nuova attività esclusiva, un festival cinematografico internazionale o una nuova attività turistica non ancora scoperta. La loro è essenzialmente una visione turistica del mondo […] che non è esattamente una prospettiva che possa incoraggiare un’ardente devozione per la democrazia»[4].

[1] J.-C. Michéa, Il vicolo cieco dell’economia, Elèuthera, 2004, pp. 12, 13.
[2] C. Preve, Marx inattuale, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, p. 184.
[3] K. Marx, F. Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, a cura di Pietro Gori, Flaminio Fantuzzi, Milano, 1891.
[4] C. Lasch, La ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia [1994], Feltrinelli, Milano 2009.

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