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L’eccessiva durata dei processi e la riforma Cartabia: l’inganno della politica

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L’eccessiva durata dei processi e la riforma Cartabia: l’inganno della politica

Con piacere ospitiamo questa riflessione dell’avvocato Angelo Iannaccone sul tema della riforma della Giustizia italiana. Avvocato civilista che esercita a Milano, Iannaccone si occupa in particolare della materia della responsabilità civile, della responsabilità sanitaria e delle imprese, dell’infortunistica sul lavoro  e della contrattualistica, si occupa dei diritti civili e dei diritti dei consumatori, del diritto delle Assicurazioni e specialmente dei contratti assicurativi, è stato per 4 anni presidente di sottocommissione di esami di avvocato, dal 2015 è membro del Coordinamento di avvocati, che, nell’ambito delle iniziative a tutela dei diritti civili, ha sollevato innanzi alla Corte Costituzionale vari profili di incostituzionalità della legge elettorale Italicum, recentemente poi parzialmente dichiarata incostituzionale dalla Consulta, interviene quale relatore a convegni giuridici ed a corsi di perfezionamento per avvocati, scrive articoli giuridici.

La balla che “ce lo chiede l’Europa” è il solito abusato espediente per rifilare al paese l’ennesima pessima riforma della giustizia, che ripristina l’anomalia italiana, incapace di garantire processi brevi e giustizia per le vittime.

Si afferma che la prescrizione del reato che può maturare in pendenza del procedimento o la improcedibilità del giudizio per lo spirare del termine prefissato impediscano che i procedimenti durino in eterno, eppure, pur essendo l’unico paese europeo ad avere un tale sistema di prescrizione, ciò nonostante siamo tra gli stati che hanno la giustizia più lenta d’Europa.

 Quest’ultima non ci chiede affatto di introdurre un così anomalo regime di prescrizione (che non c’è negli altri paesi), o altri meccanismi che non facciano giungere a termine i processi, ma semplicemente di risolvere il problema della eccessiva durata dei giudizi sia civili che penali, che ci porta ad occupare gli ultimi posti quanto a velocità della giustizia.

Secondo l’ultimo report europeo sullo stato dei sistemi giudiziari l’Italia risulta nella percezione generale anche quintultima nell’Ue per indipendenza di tribunali e giudici, principalmente per “le interferenze o le pressioni del governo e della politica” (terzultima se al sondaggio rispondono le imprese).

La sola soluzione che le forze politiche riescano a prospettare è: o la reintroduzione del regime della prescrizione vigente prima della riforma Bonafede o la riforma Cartabia, che introduce per i giudizi che dovessero superare una durata predeterminata un sistema di improcedibilità, che realizza nella sostanza risultati analoghi a quelli della prescrizione.

Questa consiste nel fatto che decorso un tempo, determinato dalla legge, il reato si estingue ed il colpevole non può più essere condannato e punito.

In pressoché tutti gli altri stati europei la prescrizione non matura quando è in corso il processo penale. Nessuno lo dice, ma il sistema italiano è stato criticato dall’ Europa perché un sistema, che non garantisce che i giudizi accertino l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato ed in tempi ragionevoli, non tutela le vittime del reato, lasciando impunito il colpevole. Peraltro non tutela neppure l’accusato ingiustamente, perché l’innocente ha diritto ad una sentenza di assoluzione e non alla semplice pronuncia di prescrizione del reato, anche quando questa è maturata; insomma in sostanza “tutela” il colpevole.

Un esempio dei danni causati dalla anomalia della descritta normativa del nostro paese è il processo per la morte, nel tentativo di sfuggire ad un tentativo di stupro di gruppo, della povera Martina Rossi, che sembra essere proprio un caso di scuola. La sentenza della Cassazione ha reso definitiva la condanna di chi ha tentato di violentare la ragazza, che è morta cadendo dal balcone nel tentativo di sfuggire allo stupro, quindi non c’è ombra di dubbio: per i giudici gli imputati sono colpevoli. Ora però la condanna per questo tremendo delitto è di soli 3 anni (per il tentato stupro) perché per l’altra imputazione (aver causato la morte di una persona come conseguenza di altro reato) è già maturata la prescrizione, altrimenti la pena sarebbe stata più severa e più adeguata alla gravità del delitto. I colpevoli quindi (tali sono stati ritenuti con sentenza definitiva) ancora una volta sono stati salvati dalla prescrizione. Questo è l’effetto della anomalia del nostro paese. Qui c’è la condanna e quindi i colpevoli non posso dire di non essere stati ritenuti tali per via della sola pronuncia di prescrizione, come normalmente invece avviene, facendo passare questa per una assoluzione. È appena il caso di dire che la Cassazione è riuscita ad anticipare per il rotto della cuffia la prescrizione, che sarebbe maturata appena qualche giorno dopo anche per il reato di tentato stupro di gruppo.

Un altro esempio è quello della strage di Viareggio del giugno 2009, nel cui processo d’appello bis sono cadute per prescrizione le accuse di omicidio colposo contro tutti gli imputati.

Si potrebbe continuare con molti altri casi.

È appena il caso di osservare che i reati, che più si avvantaggiano di tale sistema e della conseguente impunità, sono quelli dei colletti bianchi, cioè quelli, che più facilmente riguardano i politici o esponenti di primo piano del mondo dell’imprenditoria e della finanza.

Hanno ad esempio usufruito della prescrizione:

  • Giulio Andreotti (l’accusa era di associazione a delinquere con “cosa nostra”);
  • Silvio Berlusconi (nei processi Lodo Mondadori, All Iberian, falso in bilancio per il caso Lentini, rivelazioni sull’inchiesta Bnl-Unipol, tangenti a David Mills);
  • Umberto Bossi (truffa aggravata sui rimborsi elettorali);
  • Denis Verdini (corruzione);
  • Alfonso Papa (P4);
  • Roberto Calderoli (resistenza a pubblico ufficiale);
  • Beppe Grillo (violazione dei sigilli durante una manifestazione No Tav);
  • Carlo De Benedetti (accusa di corruzione nelle forniture pubbliche);
  • Franzo Grande Stevens e Gian Luigi Gabetti (agiotaggio Ifil-Exor);
  • Paolo Scaroni (disastro ambientale);
  • Stephan Schmidheiny (morti Eternit a causa dell’amianto);
  • Fabrizio Palenzona (conti esteri non dichiarati);
  • Luciano Moggi (associazione per delinquere);

l’elenco potrebbe essere molto lungo.

Nonostante prima della riforma Bonafede in Italia fosse possibile che la prescrizione si compisse durante il processo, il nostro paese ha comunque sempre avuto la durata più lunga dei processi. Ciò perché la durata di questi non dipende dalla prescrizione, ma dalle risorse investite e dall’organizzazione, in cui gli altri paesi hanno sempre fatto meglio di noi.

I tempi dei giudizi dipendono dal numero di giudici, dal numero di cancellieri, dalle risorse destinate, dall’organizzazione e dall’efficienza del lavoro, che però hanno un costo.

 Basti fare due esempi per comprendere come l’Italia non dedichi sufficienti risorse per garantire una giustizia veloce ed efficiente:

  • Per alleggerire il carico dei Tribunali sono stati istituiti i Giudici di Pace, ma questi sono pagati all’incirca € 36 per una intera giornata d’udienza e € 56 per una sentenza (il che peraltro spinge a portare le cause a sentenza piuttosto che definirle con una conciliazione non pagata); così recentemente l’Italia ha perso la causa, in cui un Giudice di Pace chiedeva il riconoscimento del diritto alle ferie pagate, davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha stabilito che, per quanto riguarda i diritti del lavoratore, i magistrati onorari debbano essere considerati come i magistrati togati (peraltro il pessimo trattamento economico ha anche ripercussioni sulla qualità del lavoro);
  • Succede di frequente che, a seguito dell’andata in pensione di un giudice, lo stesso non sia tempestivamente sostituito e le sue cause rinviate di sei mesi in sei mesi in attesa del sostituto, come se il pensionamento di un giudice sia un evento del tutto imprevisto, che coglie di sorpresa il nostro sistema giudiziario.

Non è giustizialismo criticare il sistema della prescrizione o la riforma Cartabia, ma solo il tentativo di portare l’Italia a giudizi veloci, efficienti e giusti come in altri paesi europei.

Il principio della ragionevole durata del processo va indubbiamente garantito, ma la soluzione non è la prescrizione. Ne è la prova il fatto che, nonostante l’anomalia esclusivamente italiana dei procedimenti che non giungono ad accertare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato, per la prescrizione maturata in pendenza del giudizio, comunque nel nostro paese i processi sono tra i più lunghi d’Europa. Inoltre proprio questa anomalia è piuttosto una delle cause della eccessiva durata dei giudizi penali, infatti quando l’imputato non ha alcuna possibilità di essere assolto, la strategia difensiva che rimane spesso è quella di trascinare più a lungo possibile il processo, anche attraverso impugnazioni infondate, per tentare di far maturare la prescrizione e garantirsi così l’impunità.  Esempi di strategia dilatoria sono presentare liste lunghissime di testimoni (che poi non si presentano costringendo a rinvii) o l’imputato che non compare alle udienze, ma poi all’ultima di queste fa presentare dai suoi avvocati certificati medici attestanti la sua impossibilità a presenziare, rivendicando il suo diritto ad essere presente e facendo così rinviare l’udienza, in modo da ritardare l’emissione della sentenza (recentemente un imputato, ricorso a tale espediente, ha poi gridato all’attentato alla propria dignità, quando il Giudice ha disposto una perizia per verificare la bontà dei certificati esibiti). Se non ci fosse l’anomalia del reato che si prescrive durante il giudizio, non ci sarebbe più il ricorso a queste astuzie, che allungano la durata dei processi, in quanto sarebbero in tal caso inutili.

Tentare di risolvere il problema dell’eccessiva durata dei procedimenti con la prescrizione, l’improcedibilità e/o comprimendo il diritto di difesa equivale a rendere sempre più palese l’inettitudine dello stato a rendere la giustizia efficiente, come in altri paesi, per inadeguatezza politica e/o incapacità di destinare alla giustizia i fondi necessari a farla funzionare adeguatamente, con buona pace dei principi costituzionali. Ricorrere a tali sistemi equivale a scegliere di non far svolgere i giudizi, non essendo capaci di farli durare un tempo adeguatamente breve, insomma è come buttare l’acqua sporca con tutto il bambino. Sono decenni che la politica è incapace di offrire altre soluzioni.

La riforma Cartabia, invece che incidere sulla velocità dei processi, su cui evidentemente lo stato non sa o non vuole intervenire per non dover sostenere i costi necessari (assunzione di nuovi magistrati, cancellieri ecc., modernizzazione degli apparati ed acquisto di strumenti idonei ecc.), realizza risultati analoghi alla prescrizione e favorisce i colpevoli che riusciranno a tirare a lungo i procedimenti per superare il limite di durata stabilito, garantendosi così l’impunità.

L’Europa ha giustamente chiesto all’ Italia di velocizzare i giudizi, l’Italia invece appronta una riforma, che produce effetti non troppo diversi da quelli che produce la prescrizione e cioè quello di non fare i processi, che non riescano a rispettare i tempi prefissati, con grande gaudio dei colpevoli e beffa delle vittime. Per velocizzare i giudizi si deve investire nella giustizia, assumere magistrati, cancellieri ecc., insomma si deve spendere. Se invece i processi non si fanno, perché diventano improcedibili non si spende. Si è sempre cercato di intervenire su altri aspetti, comprimendo anche il diritto di difesa, nel tentativo di riforme che avessero costo zero o quasi. Ecco l’uovo di Colombo: non fare i processi per far durare meno i pochi che si fanno, senza dover investire altri soldi. Per raggiungere il risultato tutto va bene: prescrizione, improcedibilità, obbrobri giuridici.

Si profilano aspetti della riforma alquanto inquietanti. Non sembra ci si limiti al gioco “di prestigio” delle 3 carte con la prescrizione nel ruolo della carta da indovinare (guarda la carta, segui la carta, dov’è la carta?), per cui il giudizio dopo il primo grado non potrà essere vanificato per la prescrizione del reato, ma potrà esserlo per improcedibilità, insomma il risultato è lo stesso. Si intravede poi un possibile obbrobrio giuridico, infatti nel nostro ordinamento processuale da sempre l’estinzione del giudizio per improcedibilità nei gradi successivi al primo comporta che la sentenza di primo grado (se l’estinzione si verifica in appello) o la sentenza d’appello (se l’estinzione si verifica in Cassazione) passino in giudicato. Con la nuova riforma che cosa accadrà se l’imputato, condannato in primo grado, propone appello e questo poi diviene improcedibile? A differenza di tutte le altre ipotesi di improcedibilità, che faranno passare in giudicato la sentenza del grado di giudizio precedente, quella che si verifichi per lo spirare del termine di massima durata dei gradi di giudizio successivi travolgerà, invece che farle passare in giudicato, anche le sentenze dei gradi precedenti, che saranno come non pronunciate? Insomma un imputato condannato in primo grado, per un reato non prescritto, andrà esente da pena perché lo stato non riesce a far svolgere i processi in tempi ragionevoli?

Insomma il timore è che con la riforma Cartabia i delinquenti possano avere ancora più possibilità di restare impuniti.

In conclusione per abbreviare la durata dei processi il nostro paese sembra scegliere di non farli, anche questo è caso unico in Europa.  

La differenza tra il rendere i giudizi più veloci ed invece il non farli è chiara anche se non si è giuristi processualisti. Rendere i procedimenti rapidi è interesse del paese e dei cittadini, che chiedono giustizia, non fare i processi è nell’interesse dei delinquenti.

Avvocato civilista, esercita a Milano, si occupa in particolare della materia della responsabilità civile, della responsabilità sanitaria e delle imprese, dell’infortunistica sul lavoro e della contrattualistica, si occupa dei diritti civili e dei diritti dei consumatori, del diritto delle Assicurazioni e specialmente dei contratti assicurativi, è stato per 4 anni presidente di sottocommissione di esami di avvocato, dal 2015 è membro del Coordinamento di avvocati, che, nell’ambito delle iniziative a tutela dei diritti civili, ha sollevato innanzi alla Corte Costituzionale vari profili di incostituzionalità della legge elettorale Italicum, recentemente poi parzialmente dichiarata incostituzionale dalla Consulta, interviene quale relatore a convegni giuridici ed a corsi di perfezionamento per avvocati, scrive articoli giuridici.

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