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La civiltà giudaico-cristiana – II

La civiltà giudaico-cristiana – II

Il termine “Occidente giudaico-cristiano” è stato utilizzato da molti commentatori e ideologi di stampo anglo-americano negli ultimi anni: Alessio Pinna spiega nel nuovo capitolo del suo dossier le radici di un concetto con forti richiami a processi di sincretismo.La civiltà giudaico-cristiana II

Ripercorrendo la storia possiamo incontrare l’utilizzo che del concetto di “giudeo-cristianesimo” fece, con valenza negativa, Friedrich Nietzsche[1]. Il filosofo tedesco previde, forse prima di tutti, il progressivo svuotamento del cuore di quella che un tempo era la culla della Cristianità, l’Europa. Non certo però, avendo preso giudaismo post-veterotestamentario e cristianesimo come un insieme coeso, che l’uno avrebbe occupato degli spazi lasciati liberi dall’altro. Idem dicasi per intellettuali di orientamento esoterico come Arturo Reghini o Julius Evola che cercarono di estrarre dalla cultura tradizionale dei popoli europei l’elemento cristiano non differenziandolo da quello giudaico e dunque presentando il tutto come allogeno. E se dobbiamo pensare a un collegamento tra la loro opera e chi poi cominciò a usare la stessa terminologia con valenza positiva non possiamo che farlo a livello di reazione. La quale però non è però avvenuta primariamente nella culla della Cristianità: per quanto si cerchi nella storia antica, medievale e moderna dell’Europa non si troveranno, tranne che in sporadici casi (come saltuariamente sotto giurisdizione nederlandese, polacca, elvetica, britannica, austriaca, francese o italica), che un diffuso sentimento di diffidenza nei confronti del giudaismo e continui casi di persecuzioni nei confronti delle comunità ebraiche.

È pur vero che l’illuminismo propugnò l’uguaglianza teorica delle religioni nella subordinazione di queste alla stessa legge temporale, ma i prodromi e gli sviluppi di questa impostazione li troviamo altrove, dove cioè il processo di secolarizzazione non generò più entusiasmo di un rinnovato fervore religioso: nel Nuovo Mondo, dove già nel 1788 – un anno prima della Rivoluzione Francese – veniva promulgata la Costituzione degli Stati Uniti che dichiarava la parità di tutte le confessioni religiose ed eliminava così il primato teorico del cristianesimo sul giudaismo. Spostando il nostro sguardo sul continente americano, e in particolare nelle terre dove si insediarono coloni nord-europei, possiamo renderci conto di come sia stato qui che la conservazione del retaggio pagano europeo inglobato nel cristianesimo abbia continuato, a partire dal già austero protestantesimo, a perdere importanza rispetto alla necessità di generarne e includerne uno nuovo.

Una ragione di questo processo è il fatto che le nuove composite comunità erano sì composte in larghissima parte da coloni cristiani provenienti dal Vecchio Mondo, ma anche da ebrei che progressivamente si spostavano dall’Europa e dal Medio Oriente in cerca di condizioni di vita migliori. Che infatti trovarono nel Nuovo Mondo e in particolare nella parte colonizzata non da cattolici ma da protestanti, sebbene anche questi fossero ancora in parte a loro ostili (vedasi l’opposizione rappresentata da formazioni estremiste come il Ku Klux Klan). Certamente spostandosi dall’Europa all’America passarono dallo status di emarginati per eccellenza a uno che comunque era superiore a quello di altre etnie, come i nativi americani e gli schiavi africani.

Un altro fattore che ha favorito l’avvicinamento del cristianesimo al giudaismo post-veterotestamentario (e, come detto, in parte anche al processo inverso) fu il sentimento di identificazione di molti coloni nella storia biblica del Popolo Eletto.

Per esemplificare questo sentire così diffuso nella religiosità americana (ma come detto ora in diffusione in tante altre parti dell’Occidente e del mondo) possiamo riportare alcune esaustive parole del discorso del vicepresidente statunitense Pence in visita presso il parlamento israeliano[2]: «Nella storia degli ebrei abbiamo sempre visto la storia dell’America. È la storia di un esodo, un viaggio dalla persecuzione alla libertà, una storia che mostra il potere della fede e la promessa della speranza. Anche i primi coloni del mio paese vedevano loro stessi come pellegrini, inviati dalla Provvidenza, per costruire una nuova Terra Promessa. Le canzoni e le storie del popolo di Israele sono stati i loro inni, e li hanno fedelmente insegnati ai loro figli, e lo fanno fino a oggi. E i nostri fondatori, come altri hanno detto, si sono rivolti alla saggezza della Bibbia Ebraica per trovare la direzione, la guida e l’ispirazione».

Alla luce di queste constatazioni è ora possibile capire il perché di certe correnti protestanti puritane moderne dai tratti simil-farisaici, o di fenomeni che nell’età contemporanea inglobano logiche marcatamente veterotestamentarie come i Testimoni di Geova o i Mormoni, e di movimenti che si autodefiniscono evangelici o meglio pentecostali. Tra questi ultimi in particolare vi sono dei gruppi che, come altri originatisi negli Stati Uniti d’America e sempre più in espansione per gemmazione ovunque nel mondo, costituiscono alcune delle forme più evidenti di sincretismo giudeo-cristiano moderno. I più eclatanti tra questi sono quelli che, come i cosiddetti dispensazionalisti, hanno completamente ibridato la dottrina cristiana con la prospettiva sionista e conseguentemente con un messianismo d’impronta giudaica post-veterotestamentaria.

Lo Stato di Israele è infatti un altro fattore determinante nel processo di immedesimazione degli occidentali nella storia del Popolo Eletto, quasi fosse una prosecuzione della conquista del Nuovo Mondo con in più una connotazione religiosa esplicita.

Per esemplificare il rapporto di interdipendenza che si è venuto a creare fra sionisti ebrei e cristiani bastino le parole pronunciate dal presidente israeliano Bibi Netanyahu[3]: «Non abbiamo amici migliori al mondo della comunità evangelica, e la comunità evangelica non ha al mondo amici migliori dello Stato di Israele».

E ancora si noti con quanta disinvoltura innumerevoli intellettuali, tanto di indirizzo teo/neo-conservatore quanto progressista, usino nelle loro analisi una terminologia che equipara l’aggettivazione “giudaicocristiano” a “occidentale”, per esempio riguardo ai valori di riferimento.

Ma perché si arrivasse a tutto questo i sentimenti di empatia e di identificazione non sarebbero forse bastati se non si fossero venuti a creare altri fattori determinanti. Uno come accennato è la comparsa del citato Stato di Israele, che sempre più cristiani vedono come una manifestazione di profezie bibliche (inglobando quindi nella propria dottrina un’esegesi letteralista della Bibbia che è quella propria non del cristianesimo ma del giudaismo post-veterotestamentario), e l’altro è l’evento a esso indissolubilmente collegato, di proporzioni colossali sul piano storico quanto per le implicazioni teologiche: la Shoah.

Senza soffermarci oltremisura su questo pur cruciale elemento, pensiamo al fatto che ci si riferisce a tale avvenimento con la parola Olocausto, che letteralmente indica un sacrificio a scopo devozionale, e che solo per questo tragico evento usiamo la “O” maiuscola, come se indicassimo il sacrificio per eccellenza. Ovviamente nella dottrina cristiana questo è teoricamente quello di Cristo in croce, e in generale lo era per il sentire dei cristiani prima di tale avvenimento. Qua c’è evidentemente un qualcosa che tocca la sfera del Sacro ed è interessante a questo proposito rilevare che l’archetipo del sacrificio di Dio è proprio del cristianesimo e non del giudaismo post-veterotestamentario, a ulteriore riprova del fatto che la dinamica che stiamo esaminando è fondamentalmente un movimento del primo in direzione del secondo. O pensiamo al fatto che in molti Paesi occidentali è reato condurre delle ricerche sulla Shoah che possano arrivare a ridimensionarne in qualche modo la versione storicamente accertata o anche solo discuterne in modo improprio a livello di opinione personale. Anche qua non è necessario approfondire la questione, e meno che mai mettere in dubbio le dinamiche e le cifre ufficiali della Shoah, ma solo rilevare che se una verità è dispensata dall’indagine scientifica e non si può trattare soggettivamente è perché evidentemente gode di uno status paragonabile con le debite contestualizzazioni a quello che fino a prima dell’era moderna era riservato nella Cristianità alle sole verità di fede cristiane. Al contrario nessun legislatore oggi si sognerebbe mai di emanare una legge per condannare chi metta in dubbio, per esempio, la storicità della vita e della morte di Gesù Cristo.

E così via potremmo citare sentenze divenute di senso comune come «Dov’era Dio ad Auschwitz[4] o «Dio è morto ad Auschwitz»[5] in cui il campo di concentramento sembra diventare un nuovo e tangibile Calvario e Adolf Hitler con i suoi esecutori i carnefici per eccellenza. E ancora rilevare come nel continuo e doveroso riportare alla memoria quella immane tragedia ci sia una perenne riattualizzazione – proprio come una continua ripetizione è quella del memoriale della morte e della resurrezione di Cristo – cioè una sorta di liturgia laica nella quale le massime autorità sono coloro che l’hanno vissuta in prima persona, o coloro che sono deputati a portarne il ricordo, e alla quale tutti i cittadini sono chiamati a partecipare. Tutti, a prescindere dal credo o dal non-credere, perché ciò che rappresenta è alla base stessa della scala di priorità che si è data la civiltà nata dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, e per questo non può essere relegata, come ormai avviene nella nostra società per le espressioni religiose tradizionali, alla sfera personale o di comunità specifiche.

Specularmente troviamo quelli che vengono generalmente definiti come neonazisti o neonazi, benché spesso le loro argomentazioni politiche siano poco più che, come quelle religiose per taluni, un pretesto per esprimere un disagio personale connesso al sociale. Non di rado si tratta infatti di individui che pur avendo poche o nessuna cognizione di storia – e in parte proprio per questo – istintivamente si identificano con quello stesso male assoluto, esprimendo così in maniera esplicita il conflitto con una società che, ora come ieri e qua come ovunque, ritiene il tirarsi fuori dal sentire comune come uno dei più gravi oltraggi.

Si potrebbe arrivare ad affermare che in fondo anche quella attuale non è che una variante della dinamica innata del cristianesimo per cui questo finisce invariabilmente per assorbire elementi altri, e che semplicemente questi sono quelli del presente, diversi da quelli del passato. Il pagano-cristianesimo della nostra epoca insomma, se tale definizione non rischiasse di complicare le conclusioni a cui siamo giunti.

Cercando di riassumere il più possibile: le tanto decantate “radici giudaico-cristiane dell’Occidente” in realtà non esistono se non col significato di un relativamente recente retaggio delle composite comunità americane, e di ritorno, data la crescente egemonia politico-economica e culturale delle ex-colonie europee, del resto del cosiddetto Occidente; si può invece legittimamente affermare che la civiltà giudaico-cristiana oggi esista in quanto tale, ma non nel senso divenuto comune di sinonimo di Cristianità, ovvero di quella che tecnicamente andrebbe piuttosto definita come “civiltà pagano-cristiana”, quanto al contrario di una civiltà nuova che a questa si sta sostituendo e in parte si è già sostituita. La cosiddetta civiltà occidentale odierna è stata infatti riplasmata sul piano etico e spirituale da una serie di fattori che hanno generato l’ennesimo sincretismo fra cristianesimo e giudaismo post-veterotestamentario. Il quale sincretismo però, a differenza di quelli del passato, grazie a tutta una serie di fattori ha raggiunto per la prima volta nella storia un livello tale da sopravvivere ai tentativi di contrasto da parte delle rispettive ortodossie, e da ergersi anzi esso stesso al rango di credo ufficioso della civiltà ora correttamente definibile come giudaico-cristiana.

4 – continua

1 – La religione ufficiosa dell’Occidente: introduzione

2 – Le radici pagano-cristiane dell’Occidente

3 – La civiltà giudaico-cristiana – prima parte

4 – La civiltà giudaico-cristiana – seconda parte

5 – Constatazioni e ipotesi sulla religiosità ufficiosa dell’Occidente

Tratto da: Alessio Pinna, Una benedizione in mezzo alla Terra, Streetlib 2019.

Dibattito sull’Occidente



[1]Friedrich Nietzsche, L’anticristo. Maledizione del cristianesimo (Adelphi, 1977).

[2]https://www.whitehouse.gov/briefings-statements/remarks-vice-president-mike-pence-special-session-knesset/ – consultato il 22/05/2019.

[3]https://www.timesofisrael.com/netanyahu-speaks-to-brazil-evangelicals-presented-with-savior-stamp/ – consultato il 22/05/2019.

[4]cfr. Elie Wiesel, La Notte (Giuntina, 1986).

[5]cfr. Richard L. Rubenstein, After Auschwitz (John Hopkins University Press, 1992).

Alessio Pinna è un ricercatore attivo nel campo degli studi sulle religioni, autore di diverse pubblicazioni e svariati articoli. È stato docente IRC nella scuola pubblica, docente di Teologia delle Religioni Non-Cristiane presso il Centro Diocesano di Teologia di Oristano e collaboratore del settimanale diocesano L'Arborense. Nei suoi lavori fa uso, oltre che della metodologia propria della saggistica, di uno stile narrativo a suo parere necessario per trattare adeguatamente materie in parte intangibili come quelle che coinvolgono la metafisica

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