Come l’Olocausto ha deciso la storia di Israele
Tra i saggi di storiografia legati a Israele più interessanti si segnala “Il settimo milione. Come l’Olocausto ha segnato la storia d’Israele” (Mondadori, 2001, 532 pagine) di Tom Segev, testo appartenente alla corrente della «nuova storiografia israeliana», inaugurata da Benny Morris nel 1988, che apre alle ragioni degli arabi senza necessariamente negare quelle israeliane, che riporta alla luce alcune pagine poco note della storia contemporanea, il cui filo conduttore è costituito dell’influenza determinante che lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti ha esercitato sull’identità di Israele, sulla sua ideologia e sulle sue scelte politiche, anche attuali. Sulla scorta di diari, interviste e di migliaia di documenti, Tom Segev ricostruisce l’atteggiamento tenuto da ‘yishuv’ (la comunità ebraica presente in Palestina prima della fondazione dello stato) nei confronti della Germania nazista.
Il libro affronta poi i temi più delicati e dolorosi della storia israeliana: la posizione dei sionisti di fronte al genocidio, non sempre lineare e favorevole ai connazionali trucidati dai tedeschi, ma spesso critico verso chi venne accusato di “essersi fatto massacrare”; il drammatico incontro fra i superstiti dell’Olocausto, simboli viventi dell’atroce violenza subita dal popolo ebraico, e una società che andava costruendo se stessa intorno al culto dell’eroismo e dell’«uomo nuovo»; i progetti di vendetta contro gli ex nazisti, fra cui quello di avvelenare gli acquedotti delle grandi città tedesche; i negoziati segreti con la Germania per giungere a un accordo sulle riparazioni di guerra e i negoziati durante la guerra fra l’estrema destra sionista (Jobotinski e il movimento del Betar in primis) e la Germania nazista
Nell’analizzare il rapporto della nazione con il proprio passato, in un clima segnato da una costante tensione emotiva e da accanite lotte politiche, Segev rivela in che modo questa pesante eredità sia stata manipolata e distorta a scopo ideologico o per calcolo politico: dalla vicenda dell’Exodus, la nave carica di profughi abbordata dagli inglesi, al processo Bichmann, alla guerra dei Sei giorni contro l’Egitto e i suoi alleati, al più recente caso di John (Ivan) Demjanjuk, il presunto «boia di Treblinka».
Ne emerge un quadro inedito e per certi aspetti sconcertante in cui, accanto alle figure di primo piano come David Ben Gurion, Menahem Begin o Nahum Goldmann, viene descritta la vita quotidiana degli israeliani, coni loro obiettivi comuni e i conflitti che ne hanno lacerato i legami sociali, una dimostrazione di quanto i tragici eventi del passato continuino a condizionare non soltanto la biografia dei singoli, ma quella di un’intera nazione.
Tom Segev, figlio di profughi tedeschi, vive a Gerusalemme, dove è nato nel 1945. Dopo gli studi di storia e scienze politiche all’università ebraica di Gerusalemme, è stato corrispondente dalla Germania per il giornale israeliano «Maariv» e caporedattore del settimanale «Koteret Rashit»; è editorialista di «Haaretz», uno dei più prestigiosi quotidiani del paese. È autore di un best seller molto controverso sulla fondazione dello Stato di Israele e di uno studio sui comandanti dei campi di concentramento nazisti.